Se c’è un libro che merita di entrare nella lista dei “migliori libri letti nel 2022”, questo è sicuramente Pandora’s Jar. Scritto da Natalie Haynes e pubblicato nel 2020 (per ora disponibile solo in inglese), si presenta come una raccolta di 10 saggi che riprendono la storia di dieci donne della mitologia greca. L’operazione che l’autrice fa risulta molto efficace: riprende le più disparate fonti classiche (sia greche che latine), le analizza e porta alla luce anche il non detto. Tuttavia, la sua analisi non si ferma alla riscoperta dei testi antichi; infatti, spesso lo spunto per scoprire altri lati di queste donne mitiche parte da una “fonte” contemporanea – un film o un libro ad esempio. Tutto questo, unito qualche volta a un tocco di ironia che alleggerisce la lettura, serve ad aprire gli occhi al* lettor* e a renderl* più consapevole della storia di questi personaggi mitologici femminili di cui abbiamo sentito parlare almeno tra i banchi (e che, spesso, vengono presentati da un’unica prospettiva, quella maschile).
In particolare, l’autrice riprende e dà voce a, nell’ordine, Pandora, Giocasta, Elena, Medusa, le Amazzoni, Clitemnestra, Euridice, Fedra, Medea e Penelope. Alcune di loro sono molto più conosciute di altre, questo però non comporta un minore approfondimento dell’argomento. Anzi, tutto il contrario: Natalie Haynes dà a tutte la stessa rilevanza e, inoltre, si pone l’obbiettivo di fornire un quadro più che completo sulla loro identità e, come si diceva sopra, di restituire la parola a ognuna di loro.
L’opera si apre con colei che dà il titolo a quest’opera: Pandora. Tutti noi conosciamo la sua storia: Pandora è colei che, aprendo un misterioso vaso, libererà tutti i mali del mondo, condannando l’umanità intera a soffrire. È, forse, uno tra i personaggi negativi per antonomasia, ma perché di lei ricordiamo solo questo? Perché in pochissimi conoscono la storia di Pandora stessa? Perché omettiamo/dimentichiamo che dietro questa donna ci sono, in realtà, le macchinazioni degli dèi? E ancora, è vero sì che Pandora ha liberato tutti i mali del mondo, ma è anche vero che nel vaso rimane la speranza, e questo dettaglio, come ci viene spiegato da Haynes, è importantissimo dato che modifica (anche positivamente) le eventuali interpretazioni del mito.
C’è anche Medusa, vittima per eccellenza, ma di cui preferiamo ricordare il lato più disumano (come se poi gli dèi fossero dei santi *coff coff* Zeus che si trasforma in qualsiasi cosa pur di stare con un soggetto di sesso femminile contro la sua volontà *coff coff*). Infatti, Medusa è universalmente ricondotta ad un essere mostruoso: incute timore con quei capelli-serpenti e con quel suo sguardo che pietrifica chiunque la guardi. Eppure, pochissimi si ricordano che Medusa è una vittima; prima di Poseidone che abusa di lei nel tempio di Atena, e poi della dea della sapienza stessa (che, evidentemente, si era scordata di esserlo) che la condanna ad essere un mostro – a causa della violenza usatale da Poseidone. Ma se Medusa non fosse come tutti la dipingono? Alcune fonti dimostrano infatti che questo “mostro”, pur di stare lontano dagli esseri viventi e non provocare dolore, avesse deciso di vivere isolato con la sola compagnia delle due sorelle, immuni in qualche maniera alla sua maledizione. È, dunque, così cattiva come tutti ci immaginiamo? È l’esempio di crudeltà fatta a persona? A me non pare, anche perché, a voler esser pignoli, il famoso e coraggioso Perseo, non le taglia la testa mentre lei sta per pietrificare un intero villaggio, ma mentre è completamente inerme e ignara di quelle che le sta per accadere.
Per non parlare di Elena, messa in mezzo ad una contesa e poi accusata di essere la causa di una sanguinosa e tragica guerra. Qualcuno ha mai chiesto ad Elena cosa ne pensasse di essere al centro di una contesa a lei totalmente estranea? E in pochi raccontano della fierezza delle Amazzoni, forti guerriere il cui pregio era quello di combattere insieme e insieme affrontare qualsiasi avversità (here we are, il nostro girl power all’ennesima potenza). E praticamente nessuno si è mai davvero domandato se Euridice avesse tutta questa voglia di tornare in vita, perché il dolore e il canto di Orfeo era più grande e più importante della voce di una donna morta (non fraintendetemi, a me si spezza il cuore ogni volta che sento nominare Orfeo e Euridice, ma, effettivamente, forse a lei mica andava così tanto di tornarsene in superficie e, banalmente, lei doveva avere la possibilità di dire la sua sul suo corpo, vivo o morto che fosse).
In sostanza – e in conclusione – pochissimi (forse nessuno) hanno fatto le domande giuste, né hanno fatto parlare queste donne. Natalie Haynes prova – e riesce – a farlo: con Pandora’s jar ci fa riflettere, ci costringe a grattare la superficie, ad andare oltre le semplici nozioni che possediamo dei miti greci portando a galla l’altra faccia della medaglia, senza però essere troppo pedante o accademica: l’elemento ironico e i riferimenti al mondo contemporaneo, infatti, rendono la lettura piacevole e molto scorrevole. Ciò che però mi ha colpito di più è stato sicuramente il ridare voce, soprattutto appoggiandosi a una serie di documenti già esistenti, alle protagoniste dei miti che spesso vengono messe da parte e zittite, oscurate e incolpate. È vero, tra queste dieci protagoniste ci sono donne assassine e moralmente ambigue, ma l’autrice non vuole redimerle, semplicemente cerca di dare un quadro completo, assume il loro punto di vista e ce lo propone donando nuove sfumature di significato a questi specifici miti greci, dando quella dignità mancante alle figure femminili che conosciamo ma di cui ci dimentichiamo troppo facilmente.