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elena_1902 's review for:
The Seven Necessary Sins for Women and Girls
by Mona Eltahawy
Energico, rabbioso, analiticamente strutturato come suggerisce il titolo: “The 7 Necessary Sins for Women and Girls” è uno dei vari saggi scritti da una donna e attivista POC che tutti dovrebbero leggere per capire le condizioni sociali e geo politiche di cui si occupa il femminismo, quello vero e intersezionale, su grandissima scala.
È stato illuminante tanto quanto scomodo e toccate -sensazioni volute da una scrittura di questo tipo- leggere delle vicende di Mona Althawy, l’autrice di origine egizia che ha dedicato la sua intera vita a combattere per i diritti delle donne, in particolare donne dei suoi stessi territori e matrici culturali, donne che hanno subito la sua stessa violenza -tra stupri, abusi del potere da parte della polizia, attacchi mediatici e il rendersi nemica apertamente di certe figure politiche-, donne musulmane nelle loro pratiche religiose e anche solo condizioni sociali diverse dagli uomini della loro stessa appartenenza, donne e persone queer, donne povere, donne in difficoltà di salute e riconoscimenti.
Dopo un’introduzione biografica fatta di autocoscienza progressiva che l’autrice ha fatto nel suo percorso, di luoghi visitati e in cui ha lasciato messaggi nonostante gli ostacoli della politica, segue la struttura divisa in 7 capitoli: uno per ogni “peccato”, così definito dalla società patriarcale, attribuito alle donne, ri-inventando l’idea dei 7 peccati capitali nel senso che questo mondo gli ha dato; sono dei peccati quotidiani, parole apparentemente semplici che nascondono strutture di disparità di potere, luoghi comuni, riduzioni dell’auto determinazione individuale tanto quanto dell’associazionismo collettivo -che ha fatto tantissimo nelle varie ondate femministe e nei diversi gruppi del movimento, in particolare quelli delle donne dalle origini più marginalizzate-.
Essi sono, per citarne alcuni, “Rabbia”, “Ambizione”, “Profanità”, “Attenzione”, “Lussuria”, tutte quelle cose che nella vita quotidiana siamo state abituate a non ricercare mai o, se espresse, a subire conseguenze che per gli uomini sono completamente inesistenti o anzi li favoriscono.
Ma tutto ciò non è analizzato in modo banale legato ai semplici comportamenti che ripetiamo: ha degli esempi pratici e in eventi in politica, nelle manifestazioni, in diretta TV, sulla stampa, sui social, nei luoghi accademici; lascia quindi dei nomi nero su bianco di tutte quelle donne che hanno provato a “peccare” e, riuscendo in alcuni casi di più o di meno, hanno ugualmente fatto la loro storia per le comunità e i paesi di riferimento.
Ci sono per esempio tanti rimandi alla cultura Pop: ho particolarmente apprezzato, per mia grande passione per lə cantante, la descrizione di un concerto di Halsey del 2018:
“Halsey has said the lyrics about the young woman in “Hurricane,” which she cowrote when she was nineteen, “mean that she [the young woman] will not be victimized. She belongs to no one but herself.” […] “Halsey led the audience in a refrain from the song, “I’m a hurricane”—to which she added “Fuck.”
The force of hundreds of girls and gender-queer pre-teens (Halsey draws a young and queer audience) chanting, “I’m a fucking hurricane! I’m a fucking hurricane!” over and over is revolutionary! The walls shook with the reverberation. The collective power and rage in that concert hall could have gone out that night and torn the patriarchy to bits”
Così come l’importanza della sua dichiarazione di essere apertamente bisessuale nel 2017 -un anno recente eppure ancora molto diverso e più limitato di oggi per la comunità-, con la canzone “Bad at love” così come con “Strangers”, il primo featuring in duetto musicale con un’altra artista bisessuale, Lauren Jarengui, mai fatto nella storia.
…E tante altre storie hanno il loro spazio: oltre i paesi meno curati, riprendendo le lezioni nel passato di grandi attiviste come Angela Davis e Audre Lorde, ma anche creando nuove figure popolari che hanno coordinato proteste tanto in piazza quanto in luoghi interni più burocratici, di difficile accesso. Di tutte queste problematiche, l’autrice riesce a parlare con enorme precisione partendo da parole chiave come quelle dei titoli e mostrando che anche quello che crediamo di sapere, su come sono educate le bambine ad essere viste in un certo modo, a soddisfare gli uomini, a rimpicciolirsi e stare in silenzio, va oltre gli spazi della casa e delle nostre reti sociali: parte da lì nella nostra visuale, ma ha delle basi diffuse in tutto il mondo in diverse situazioni socio-politiche, diversi background storici, diverse possibilità di progredire.
E l’obiettivo del femminismo moderno intersezionale è proprio quello di dare a ogni luogo e comunità gli strumenti per rompere quelle costruzioni.
È un ottimo saggio per iniziare un percorso da una voce oppressa su vari altri aspetti, che quindi dia subito un impatto di cosa è necessario di cui si occupino le lotte ai giorni nostri, ma è anche ottimo per chi sa già molto e vuole approfondire, essendo di un certo numero i dati/nomi/anni/città menzionate; il tutto però è sempre accompagnato da descrizioni scorrevoli, in cui spesso entra il vissuto personale dell’autrice ma al contempo un distacco dato da conoscenze tecniche e antropologiche che, un modo di spiegare i fatti che rimane accessibile, per quanto certe vicende siano comunque molto ricche.
Ma il bello di imparare ogni esigenza che il femminismo si propone di risolvere, è proprio arrivare a sapere anche quelle cose che la nostra educazione -scolastica, personale, in famiglia, politica- non ci ha mai raccontato. E che voci forti come la sua possono invece urlare quanta strada ancora c’è da fare, quanto la modernità non sia ancora perfetta.
Le frasi finali di ogni capitolo sono esortative e speranzose, e soprattutto la conclusione del libro intero:
“Let us celebrate the audacity of teenage girls who save themselves and teenage girls who will save the planet. Let us celebrate teenage girls whose ability to “sin” catapulted them above the derision too often directed toward their cohort.
Let us celebrate women and girls who sin!”
È stato illuminante tanto quanto scomodo e toccate -sensazioni volute da una scrittura di questo tipo- leggere delle vicende di Mona Althawy, l’autrice di origine egizia che ha dedicato la sua intera vita a combattere per i diritti delle donne, in particolare donne dei suoi stessi territori e matrici culturali, donne che hanno subito la sua stessa violenza -tra stupri, abusi del potere da parte della polizia, attacchi mediatici e il rendersi nemica apertamente di certe figure politiche-, donne musulmane nelle loro pratiche religiose e anche solo condizioni sociali diverse dagli uomini della loro stessa appartenenza, donne e persone queer, donne povere, donne in difficoltà di salute e riconoscimenti.
Dopo un’introduzione biografica fatta di autocoscienza progressiva che l’autrice ha fatto nel suo percorso, di luoghi visitati e in cui ha lasciato messaggi nonostante gli ostacoli della politica, segue la struttura divisa in 7 capitoli: uno per ogni “peccato”, così definito dalla società patriarcale, attribuito alle donne, ri-inventando l’idea dei 7 peccati capitali nel senso che questo mondo gli ha dato; sono dei peccati quotidiani, parole apparentemente semplici che nascondono strutture di disparità di potere, luoghi comuni, riduzioni dell’auto determinazione individuale tanto quanto dell’associazionismo collettivo -che ha fatto tantissimo nelle varie ondate femministe e nei diversi gruppi del movimento, in particolare quelli delle donne dalle origini più marginalizzate-.
Essi sono, per citarne alcuni, “Rabbia”, “Ambizione”, “Profanità”, “Attenzione”, “Lussuria”, tutte quelle cose che nella vita quotidiana siamo state abituate a non ricercare mai o, se espresse, a subire conseguenze che per gli uomini sono completamente inesistenti o anzi li favoriscono.
Ma tutto ciò non è analizzato in modo banale legato ai semplici comportamenti che ripetiamo: ha degli esempi pratici e in eventi in politica, nelle manifestazioni, in diretta TV, sulla stampa, sui social, nei luoghi accademici; lascia quindi dei nomi nero su bianco di tutte quelle donne che hanno provato a “peccare” e, riuscendo in alcuni casi di più o di meno, hanno ugualmente fatto la loro storia per le comunità e i paesi di riferimento.
Ci sono per esempio tanti rimandi alla cultura Pop: ho particolarmente apprezzato, per mia grande passione per lə cantante, la descrizione di un concerto di Halsey del 2018:
“Halsey has said the lyrics about the young woman in “Hurricane,” which she cowrote when she was nineteen, “mean that she [the young woman] will not be victimized. She belongs to no one but herself.” […] “Halsey led the audience in a refrain from the song, “I’m a hurricane”—to which she added “Fuck.”
The force of hundreds of girls and gender-queer pre-teens (Halsey draws a young and queer audience) chanting, “I’m a fucking hurricane! I’m a fucking hurricane!” over and over is revolutionary! The walls shook with the reverberation. The collective power and rage in that concert hall could have gone out that night and torn the patriarchy to bits”
Così come l’importanza della sua dichiarazione di essere apertamente bisessuale nel 2017 -un anno recente eppure ancora molto diverso e più limitato di oggi per la comunità-, con la canzone “Bad at love” così come con “Strangers”, il primo featuring in duetto musicale con un’altra artista bisessuale, Lauren Jarengui, mai fatto nella storia.
…E tante altre storie hanno il loro spazio: oltre i paesi meno curati, riprendendo le lezioni nel passato di grandi attiviste come Angela Davis e Audre Lorde, ma anche creando nuove figure popolari che hanno coordinato proteste tanto in piazza quanto in luoghi interni più burocratici, di difficile accesso. Di tutte queste problematiche, l’autrice riesce a parlare con enorme precisione partendo da parole chiave come quelle dei titoli e mostrando che anche quello che crediamo di sapere, su come sono educate le bambine ad essere viste in un certo modo, a soddisfare gli uomini, a rimpicciolirsi e stare in silenzio, va oltre gli spazi della casa e delle nostre reti sociali: parte da lì nella nostra visuale, ma ha delle basi diffuse in tutto il mondo in diverse situazioni socio-politiche, diversi background storici, diverse possibilità di progredire.
E l’obiettivo del femminismo moderno intersezionale è proprio quello di dare a ogni luogo e comunità gli strumenti per rompere quelle costruzioni.
È un ottimo saggio per iniziare un percorso da una voce oppressa su vari altri aspetti, che quindi dia subito un impatto di cosa è necessario di cui si occupino le lotte ai giorni nostri, ma è anche ottimo per chi sa già molto e vuole approfondire, essendo di un certo numero i dati/nomi/anni/città menzionate; il tutto però è sempre accompagnato da descrizioni scorrevoli, in cui spesso entra il vissuto personale dell’autrice ma al contempo un distacco dato da conoscenze tecniche e antropologiche che, un modo di spiegare i fatti che rimane accessibile, per quanto certe vicende siano comunque molto ricche.
Ma il bello di imparare ogni esigenza che il femminismo si propone di risolvere, è proprio arrivare a sapere anche quelle cose che la nostra educazione -scolastica, personale, in famiglia, politica- non ci ha mai raccontato. E che voci forti come la sua possono invece urlare quanta strada ancora c’è da fare, quanto la modernità non sia ancora perfetta.
Le frasi finali di ogni capitolo sono esortative e speranzose, e soprattutto la conclusione del libro intero:
“Let us celebrate the audacity of teenage girls who save themselves and teenage girls who will save the planet. Let us celebrate teenage girls whose ability to “sin” catapulted them above the derision too often directed toward their cohort.
Let us celebrate women and girls who sin!”