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A review by ferliegram
Ombre sullo Hudson by Isaac Bashevis Singer, Elisabetta Zevi
5.0
Dopo essere stato in cima alla mia wish per quasi un anno, la settimana scorsa spinto da un avvilente blocco del lettore che si protaeva da troppo, ho deciso di acquistarlo e l’ho letteralmente divorato!
Fine anni ‘40, una New York piovosa di fine marzo (molto in linea con il clima di questi giorni), un gruppo di ebrei emigrati forzatamente dall’Europa in seguito agli eventi bellici si incontrano nell’Upper West Side a pochi isolati dalle brezze gelide dell’Hudson e dal coas di cui è impregnato Central Park
Uno dei rari esempi nella mia (limitatissima) esperienza da lettore di personaggi molto ben caratterizzati e pertanto indimenticabili. Nonostante la loro “numerosità”, Singer è abilissimo nel tratteggiare le loro personalità a 360 gradi (debolezze, vizi ricorrenti, drammi del passato che si ripresentano di tanto in tanto), così come fa con i luoghi dove si svolgono gli eventi: dopo un centinaio di pagine conosciamo a menadito l’appartamento di Grein sulla Quinta Avenue e la relativa vicinanza con quello di Anna sulla Lexington, o ancora la villa di Esther a Hicks Street svoltando a destra dopo il ponte di Brooklyn.
Un testo molto scorrevole nonostante le numerose dissertazioni filosofiche che potrebbero appesantire la narrazione e rendere più tortuosa l’esperienza di lettura ma che ho trovato molto illuminanti.
“In realtà ogni filosofo aveva concepito il suo sistema di pensiero soltanto per se stesso. Il principio di individualità era così forte che pensieri adeguati per una persona non lo erano per un’altra. La filosofia di Nietzsche era stata creata solo per Nietzsche, quella di Schopenauer solo per Schopenauer e quella di Spinoza solo per Spinoza. Se lo stesso pensiero veniva a due persone, diventavano due pensieri diversi. Come aveva detto Leibniz? Le monadi non hanno finestre. Come può un essere umano vedere all’interno di un altro? La vera conoscenza accessibile soltanto a Dio, che Leibniz definiva la monade di tutte le monadi”
E a proposito di esperienza di lettura, tirata d’orecchi ad Adelphi per la totale mancanza di un apparato note che mi ha costretto a dover interrompere la lettura di tanto in tanto per documentarmi circa il significato dei termini correlati all’ebraismo presenti in gran quantità nel testo: nomi di festività (Rosha Hashanah, Yom Kippur, Shabbat), nomi di testi sacri (Qohelet, Shulchan Arukh, Gemarah), oggetti rituali, accessori utilizzati durante le celebrazioni, pietanze tipiche e soprattutto interessanti episodi biblici molto connessi con gli eventi narrati (la cui conoscenza avrebbe arricchito il lettore doppiamente).
Insomma un autore Premio Nobel che sono contentissimo di aver scoperto e di cui voglio assolutamente leggere altro (mi incuriosisce molto “Nemici” ambientato sempre a New York) e di cui spero Adelphi continuerà a tradurre molte delle opere ormai fuori catologo.
Fine anni ‘40, una New York piovosa di fine marzo (molto in linea con il clima di questi giorni), un gruppo di ebrei emigrati forzatamente dall’Europa in seguito agli eventi bellici si incontrano nell’Upper West Side a pochi isolati dalle brezze gelide dell’Hudson e dal coas di cui è impregnato Central Park
Uno dei rari esempi nella mia (limitatissima) esperienza da lettore di personaggi molto ben caratterizzati e pertanto indimenticabili. Nonostante la loro “numerosità”, Singer è abilissimo nel tratteggiare le loro personalità a 360 gradi (debolezze, vizi ricorrenti, drammi del passato che si ripresentano di tanto in tanto), così come fa con i luoghi dove si svolgono gli eventi: dopo un centinaio di pagine conosciamo a menadito l’appartamento di Grein sulla Quinta Avenue e la relativa vicinanza con quello di Anna sulla Lexington, o ancora la villa di Esther a Hicks Street svoltando a destra dopo il ponte di Brooklyn.
Un testo molto scorrevole nonostante le numerose dissertazioni filosofiche che potrebbero appesantire la narrazione e rendere più tortuosa l’esperienza di lettura ma che ho trovato molto illuminanti.
“In realtà ogni filosofo aveva concepito il suo sistema di pensiero soltanto per se stesso. Il principio di individualità era così forte che pensieri adeguati per una persona non lo erano per un’altra. La filosofia di Nietzsche era stata creata solo per Nietzsche, quella di Schopenauer solo per Schopenauer e quella di Spinoza solo per Spinoza. Se lo stesso pensiero veniva a due persone, diventavano due pensieri diversi. Come aveva detto Leibniz? Le monadi non hanno finestre. Come può un essere umano vedere all’interno di un altro? La vera conoscenza accessibile soltanto a Dio, che Leibniz definiva la monade di tutte le monadi”
E a proposito di esperienza di lettura, tirata d’orecchi ad Adelphi per la totale mancanza di un apparato note che mi ha costretto a dover interrompere la lettura di tanto in tanto per documentarmi circa il significato dei termini correlati all’ebraismo presenti in gran quantità nel testo: nomi di festività (Rosha Hashanah, Yom Kippur, Shabbat), nomi di testi sacri (Qohelet, Shulchan Arukh, Gemarah), oggetti rituali, accessori utilizzati durante le celebrazioni, pietanze tipiche e soprattutto interessanti episodi biblici molto connessi con gli eventi narrati (la cui conoscenza avrebbe arricchito il lettore doppiamente).
Insomma un autore Premio Nobel che sono contentissimo di aver scoperto e di cui voglio assolutamente leggere altro (mi incuriosisce molto “Nemici” ambientato sempre a New York) e di cui spero Adelphi continuerà a tradurre molte delle opere ormai fuori catologo.