Take a photo of a barcode or cover
A review by lettore_sopravvalutato
Le otto montagne by Paolo Cognetti
2.0
La noia bucolica
“Forse è vero, come sosteneva mia madre, che ognuno di noi ha una quota prediletta in montagna, un paesaggio che gli somiglia e dove si sente bene. La sua era senz’altro il bosco dei 1500 metri, quello di abeti e larici, alla cui ombra crescono il mirtillo, il ginepro e il rododendro, e si nascondono i caprioli. Io ero più attratto dalla montagna che viene dopo: prateria alpina, torrenti, torbiere, erbe d’alta quota, bestie al pascolo. Ancora più in alto la vegetazione scompare, la neve copre ogni cosa fino all’inizio dell’estate e il colore prevalente è il grigio della roccia, venato dal quarzo e intarsiato dal giallo dei licheni. Lì cominciava il mondo di mio padre.”
“Siete voi di città che la chiamate natura. È così astratta nella vostra testa che è astratto pure il nome. Noi qui diciamo bosco, pascolo, torrente, roccia, cose che uno può indicare con il dito. Cose che si possono usare. Se non si possono usare, un nome non glielo diamo perché non serve a niente.”
Libro piuttosto immobile; ed è un peccato doverlo giustiziare, a fronte degli entusiasti pareri che hanno lastricato il percorso del romanzo sino al Premio Strega 2017. Non ritrovo quell'essenzialità così incisiva che in Una cosa piccola che sta per esplodere l'autore era riuscito a modellare nei racconti, sino a raggiungere quel mirabile lavoro di cesello che risponde al nome de La stagione delle piogge (Le otto montagne in miniatura). Quei racconti funzionavano nella dimensione in cui riuscivano a restituire una visione attenta per delle storie ruvide, tumultuose nel loro dipanarsi; in questo romanzo non vi è nulla che richiami quell'irreparabile conflitto insito nella crescita. Siamo dinnanzi a una storia immobile sui sentimenti, all'insegna di una pulizia che rasenta la patinatura; e la stessa montagna ridotta alla stregua di una raffigurazione da cartolina. Costipare la complessità introspettiva in un'ovattata dimensione limbica temo non rientri nella buona letteratura.
“Forse è vero, come sosteneva mia madre, che ognuno di noi ha una quota prediletta in montagna, un paesaggio che gli somiglia e dove si sente bene. La sua era senz’altro il bosco dei 1500 metri, quello di abeti e larici, alla cui ombra crescono il mirtillo, il ginepro e il rododendro, e si nascondono i caprioli. Io ero più attratto dalla montagna che viene dopo: prateria alpina, torrenti, torbiere, erbe d’alta quota, bestie al pascolo. Ancora più in alto la vegetazione scompare, la neve copre ogni cosa fino all’inizio dell’estate e il colore prevalente è il grigio della roccia, venato dal quarzo e intarsiato dal giallo dei licheni. Lì cominciava il mondo di mio padre.”
“Siete voi di città che la chiamate natura. È così astratta nella vostra testa che è astratto pure il nome. Noi qui diciamo bosco, pascolo, torrente, roccia, cose che uno può indicare con il dito. Cose che si possono usare. Se non si possono usare, un nome non glielo diamo perché non serve a niente.”
Libro piuttosto immobile; ed è un peccato doverlo giustiziare, a fronte degli entusiasti pareri che hanno lastricato il percorso del romanzo sino al Premio Strega 2017. Non ritrovo quell'essenzialità così incisiva che in Una cosa piccola che sta per esplodere l'autore era riuscito a modellare nei racconti, sino a raggiungere quel mirabile lavoro di cesello che risponde al nome de La stagione delle piogge (Le otto montagne in miniatura). Quei racconti funzionavano nella dimensione in cui riuscivano a restituire una visione attenta per delle storie ruvide, tumultuose nel loro dipanarsi; in questo romanzo non vi è nulla che richiami quell'irreparabile conflitto insito nella crescita. Siamo dinnanzi a una storia immobile sui sentimenti, all'insegna di una pulizia che rasenta la patinatura; e la stessa montagna ridotta alla stregua di una raffigurazione da cartolina. Costipare la complessità introspettiva in un'ovattata dimensione limbica temo non rientri nella buona letteratura.