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A review by storiedivalentina
Il ristorante dell'amore ritrovato by Ito Ogawa
1.0
Questo libro è il risultato di uno dei miei primi scambi, non conoscevo l’autrice o la casa editrice ma la trama era piuttosto interessante, anche se con un po’ di miele in più rispetto ai miei soliti gusti e poi ero molto curiosa di conoscere nuovi autori giapponesi quindi mi è sembrata un’opportunità ghiotta per fare nuove conoscenze. Grosso errore.
Sono molto pignola per quanto riguarda le traduzioni, soprattutto degli autori giapponesi, di questa casa editrice ho sempre sentito parlare bene ma leggendo questo libro mi viene da pensare che o la prosa della scrittrice ha una varietà di vocaboli pari a quella di un ragazzo delle medie oppure è stata tradotta veramente molto male. Non perché la scrittura semplice in sè sia un fattore negativo anzi, da un libro così leggero non mi aspettavo certo una prosa complessa, ma al linguaggio semplice si affianca un stile evocativo che non lega per niente alle parole e rende il complesso totalmente disarmonico e pacchiano.
Andando avanti con la lettura mi sono resa conto che lo stile di scrittura non è la sola cosa che stona in questo libro. Alla fine sono stata costretta prima a saltare sempre più pagine e infine ad abbandonare a circa 30/40 pagine dalla fine. Purtroppo la storia, già brutta dall’inizio, è entrata in un vortice di castronerie, una peggiore dell’altra, eventi totalmente casuali e assurdi che non portano eventi e/o personaggi da nessuna parte e visto che soprattutto in periodo esami non ho molto tempo da dedicare alla lettura ho voluto evitare di continuare a sprecare il mio tempo con un opera insulsa come questa.
Come ho accennato lo svoglimento della trama è completamente paradossale, la quarta di copertina da un forte peso al ruolo che i piatti preparati dalla protagonista hanno nel cambiare le vite delle persone, ma di queste persone non si parla praticamente niente. Vengono citati una quantita spropositata di personaggi secondari, clienti appunto del “Lumachino” e in alcuni casi del locale notturno della madre della protagonista, ognuno di loro si porta dietro una storia potenzialmente interessante, in cui la cena in ristorante poteva essere il fulcro del cambiamento ed invece l’autrice si è limitata a fare un minestrone di storie in cui nessun personaggio ha un importanza superiore alla mezza pagina.
La superficilità dei personaggi secondari sarebbe stata comprensibile visto l’utilizzo di uno stile narrativo in prima persona (anche se spesso e volentieri la coerenza della prima persona viene rotta comunque), ma dalla prima persona mi aspettavo almeno che l’introspettività della protagonista avesse un’importanza centrale nella storia, ovviamente anche in questo caso le mie aspettative sono state subito deluse. In particolare le scelte che Ringo fa durante la storia, che secondo me avrebbero potuto rendere almeno un minimo interessante lo svoglimento della trama, vengono riportate in modo frettoloso e superficiale, lei ha già le risposte prima ancora di pensarci. Tornare o restare, cambiare o continuare, fidarsi o no, sono tutte scelte di un determinato peso, cambiano completamente il percorso di vita di una persona, ma lei va tranquilla su una strada o l’altra senza che noi veniamo a conoscenza del come e del perchè. A questo fatto si aggiunge il fatto che non c’è nessuna crescita personale, che si tratti di capacità culinarie, sociali o psicologiche, Ringo e i personaggi satelliti restano identici per praticamente tutto il romanzo (a meno che non sia improvvisamente cambiato tutto nelle ultime 30 pagine, ma ne dubito), lei è brava da sempre in cucina e non smette mai di ripeterselo per ogni piatto che cucina e per ogni cosa che fa o scelta che prende. Non sappiamo il motivo, sappiamo solo che lei fa sempre le cose giuste. La situazione cambia leggermente dopo aver scoperto il passato della madre, tra l’altro un’altra storia che poteva risultare interessante trattata nella maniera più piatta e banale possibile oltre che con avvenimenti completamente assurdi.
Interi paragrafi vengono dedicati alle descrizioni ambientali, spesso ripetitive e con un linguaggio assolutamente inadeguato. Sembrava di leggere un testo scritto da un ragazzino che ha imparato 3 o 4 vocaboli complessi e cerca di fare un tema in cui li possa usare il più spesso possibile. Così troviamo una causale terminologia scientifica, che non sembra motivata da niente di più complesso di “questo lo conosco quindi lo scrivo”, affiancata ad una terminologia banale con una reiterazione di tre o quattro termini e metafore ricercate.
Recensione pubblicata su Chiacchiere Letterarie: http://www.chiacchiereletterarie.it/e107_plugins/userjournals_menu/userjournals.php?blog.442
Sono molto pignola per quanto riguarda le traduzioni, soprattutto degli autori giapponesi, di questa casa editrice ho sempre sentito parlare bene ma leggendo questo libro mi viene da pensare che o la prosa della scrittrice ha una varietà di vocaboli pari a quella di un ragazzo delle medie oppure è stata tradotta veramente molto male. Non perché la scrittura semplice in sè sia un fattore negativo anzi, da un libro così leggero non mi aspettavo certo una prosa complessa, ma al linguaggio semplice si affianca un stile evocativo che non lega per niente alle parole e rende il complesso totalmente disarmonico e pacchiano.
Andando avanti con la lettura mi sono resa conto che lo stile di scrittura non è la sola cosa che stona in questo libro. Alla fine sono stata costretta prima a saltare sempre più pagine e infine ad abbandonare a circa 30/40 pagine dalla fine. Purtroppo la storia, già brutta dall’inizio, è entrata in un vortice di castronerie, una peggiore dell’altra, eventi totalmente casuali e assurdi che non portano eventi e/o personaggi da nessuna parte e visto che soprattutto in periodo esami non ho molto tempo da dedicare alla lettura ho voluto evitare di continuare a sprecare il mio tempo con un opera insulsa come questa.
Come ho accennato lo svoglimento della trama è completamente paradossale, la quarta di copertina da un forte peso al ruolo che i piatti preparati dalla protagonista hanno nel cambiare le vite delle persone, ma di queste persone non si parla praticamente niente. Vengono citati una quantita spropositata di personaggi secondari, clienti appunto del “Lumachino” e in alcuni casi del locale notturno della madre della protagonista, ognuno di loro si porta dietro una storia potenzialmente interessante, in cui la cena in ristorante poteva essere il fulcro del cambiamento ed invece l’autrice si è limitata a fare un minestrone di storie in cui nessun personaggio ha un importanza superiore alla mezza pagina.
La superficilità dei personaggi secondari sarebbe stata comprensibile visto l’utilizzo di uno stile narrativo in prima persona (anche se spesso e volentieri la coerenza della prima persona viene rotta comunque), ma dalla prima persona mi aspettavo almeno che l’introspettività della protagonista avesse un’importanza centrale nella storia, ovviamente anche in questo caso le mie aspettative sono state subito deluse. In particolare le scelte che Ringo fa durante la storia, che secondo me avrebbero potuto rendere almeno un minimo interessante lo svoglimento della trama, vengono riportate in modo frettoloso e superficiale, lei ha già le risposte prima ancora di pensarci. Tornare o restare, cambiare o continuare, fidarsi o no, sono tutte scelte di un determinato peso, cambiano completamente il percorso di vita di una persona, ma lei va tranquilla su una strada o l’altra senza che noi veniamo a conoscenza del come e del perchè. A questo fatto si aggiunge il fatto che non c’è nessuna crescita personale, che si tratti di capacità culinarie, sociali o psicologiche, Ringo e i personaggi satelliti restano identici per praticamente tutto il romanzo (a meno che non sia improvvisamente cambiato tutto nelle ultime 30 pagine, ma ne dubito), lei è brava da sempre in cucina e non smette mai di ripeterselo per ogni piatto che cucina e per ogni cosa che fa o scelta che prende. Non sappiamo il motivo, sappiamo solo che lei fa sempre le cose giuste. La situazione cambia leggermente dopo aver scoperto il passato della madre, tra l’altro un’altra storia che poteva risultare interessante trattata nella maniera più piatta e banale possibile oltre che con avvenimenti completamente assurdi.
Interi paragrafi vengono dedicati alle descrizioni ambientali, spesso ripetitive e con un linguaggio assolutamente inadeguato. Sembrava di leggere un testo scritto da un ragazzino che ha imparato 3 o 4 vocaboli complessi e cerca di fare un tema in cui li possa usare il più spesso possibile. Così troviamo una causale terminologia scientifica, che non sembra motivata da niente di più complesso di “questo lo conosco quindi lo scrivo”, affiancata ad una terminologia banale con una reiterazione di tre o quattro termini e metafore ricercate.
Recensione pubblicata su Chiacchiere Letterarie: http://www.chiacchiereletterarie.it/e107_plugins/userjournals_menu/userjournals.php?blog.442