A review by elisa_valenti
Storia di una vedova by Joyce Carol Oates

1.0

Mentre mi perdo tra le pagine di un libro, ogni tanto riemergo per cercare informazioni sull'autore o autrice...
Davvero Joyce Carol Oates ha scritto così tanti libri? E il marito, cosa insegnava? Che faccia hanno i due studiosi?
Ed era mentre vagavo tra queste digressioni che mi sono imbattuta nella notizia: sei mesi dopo aver perso il marito, compagno per 50 anni, la Oates ha conosciuto un altro uomo e poco dopo si è risposata. Il libro sarebbe stato ampiamente criticato per aver taciuto questo dettaglio. Ebbene ho chiuso il libro e deciso che non volevo sapere oltre. Continuate a leggere, please, perché non è come sembra!
Se le critiche alla Oates sembravano mosse dal voler denunciare un' ipocrisia, la mia era una rabbia diversa, femminista se vogliamo.
La Oates sceglie di non raccontare del secondo matrimonio (cosa tra l'altro che non è un segreto) perché pensa che questo l'avrebbe delegittimata come vedova, che questo avrebbe delegittimato il suo dolore. Quante persone tra i tuoi lettori, professoressa Oates, sono vedove? Probabilmente poche e non avendo vissuto la tua esperienza non dovrebbero permettersi di criticarla.
Ebbene, però, accade anche che tra le tue lettrici ci siano donne che hanno perso l'amore della propria vita e scelgono il tuo libro per un confronto. Vogliono sapere come altre donne vivono il lutto, se anche loro odiano il mondo o non lo odiano, se hanno speranze per il futuro o se sperano solo nella fine del mondo, se sono arrabbiate, quanto sono arrabbiate.
Io sono tra queste lettrici.
E l'omissione della Oates è un tradimento. Avrebbe potuto dire sinceramente che un giorno ha sorriso di nuovo, ma che la voragine per la perdita del marito non poteva essere colmata. Avrebbe potuto dirci che era in questa situazione insolita in cui amava due uomini, ma uno era morto e l'altro era vivo. Oppure poteva dirci che si sentiva sola e aveva incontrato un uomo che la faceva stare se non bene, decentemente, e preferiva passare il resto della sua vita condividendo l'economia domestica piuttosto che sola in una grande casa. Poteva raccontare qualunque cosa. Invece quello che emerge è il volersi conformare a uno standard, in cui la vedova è piangente e deve mantenere sempre un contegno. E tutto ciò deve essere ostentato. Non importa quanto stai male dentro, l'importante è non mostrare tracce di felicità fuori, altrimenti il tuo dolore viene delegittimato, e tu sai quanto è grande, non puoi permetterlo.
Ecco, io non penso abbia alcun senso scrivere un'autobiografia sul lutto di questo tipo. Parlare del proprio lutto e dei propri traumi è un gesto coraggioso. Se non sei pronta a farlo onestamente, non farlo. Il lutto non è una finzione letteraria e contribuire a divulgare l'immagine della vedova sempre vestita di nero che deve ostentare il suo dolore per essere creduta non aiuta nessuno.