A review by primix
La saga di Gösta Berling by Selma Lagerlöf

2.0

All'inizio questo libro mi ha annoiata un po'. Poi ho capito che mi stavo approcciando al tipo di opera in modo sbagliato: mi aspettavo di leggere un romanzo, in cui avrei dovuto trovare narrate le gesta di Gosta Berling e dei suoi compagni, e invece mi trovavo davanti a qualcosa di diverso, più simile a una raccolta di racconti che a una trama lineare. Penso che l'intento dell'autrice fosse quello di farci entrare nella sua terra, nei suoi paesaggi e nelle sue leggende, descrivendo eventi di un passato glorificato e anche in buona parte mitizzato. Spesso l'autrice si inserisce anche nel racconto in prima persona, come voce narrante da cui traspaiono malinconia e amore per la propria patria lontana. Questo crea un effetto di "storie raccontate accanto al fuoco" che contribuisce a spezzare la narrazione. Certo, c'è un punto d'inizio ben chiaro e un altrettanto ben chiaro punto di fine, ma nel mezzo ci sono tanti piccoli punti, tanti avvenimenti che si affastellano nell'arco temporale delineato, connessi da un filo molto sottile quando non proprio slegati. Quello che si racconta non è una vera e propria storia, ma una serie di episodi che portano i personaggi a cambiare, maturare e scoprire se stessi, fino ad arrivare ciascuno a dare un significato diverso alla propria vita.

All'inizio questo tipo di narrazione mi ha disorientata, ma da quando sono entrata in questa forma mentis, il libro mi è sembrato molto più scorrevole ed interessante. Tuttavia è probabilmente lontano da ciò che mi piace e da cosa stavo cercando. La prosa quasi lirica dà a tutto un sapore solenne e, francamente, antico; quando i personaggi parlano, anche se si tratta di dialoghi, spesso sembra che facciano dei monologhi decantando chissà quali grandi verità.

Sebbene ci siano degli spunti interessanti, ho trovato molti personaggi troppo caricaturali e legati ad un proprio stereotipo. Anche la consapevolezza che essi raggiungono a fine libro mi è sembrata una morale troppo spicciola e semplicistica, in linea col contesto di una narrazione epica ma estremizzata e superficiale. I cavalieri scoprono l'onore nel lavoro fatto per amore di altri, e questo è nobile. Ma Gosta che decide che rimanere povero sia meglio che essere ricco, per poter vivere una vita piena e felice, e la contessina con lui, mi è sembrata l'ennesima esagerazione del prete rinnegato per sentirsi perennemente martire. E sarebbe anche andato bene se non fosse stata presentata come una decisione positiva, a cui si piega anche la Signora di Ekebù.

In conclusione, mi aspettavo di più, o forse semplicemente mi aspettavo qualcosa di diverso.