A review by giovanni84
La vera storia del pirata Long John Silver by Björn Larsson

Abbandono la lettura di questo romanzo, arrivato al 31%.
Non è mia consuetudine scrivere commenti sui romanzi che non finisco; è possibile che il restante 70% sia una pura meraviglia, e non escludo un altro tentativo in futuro.
Ma mi sono rotto le scatole di QUESTO Long John Silver.
Come si sa, LJS è il memorabile pirata de “L’isola del tesoro”; Larsson decide di affrontare l’arduo compito di raccontarcene la vita. E decide che a raccontarla, in prima persona, è proprio Long John Silver. Una scelta narrativa decisamente azzardata e rischiosa, perché uno dei principali elementi di fascino di Silver, nel romanzo di Stevenson, era il suo essere un bugiardo, uno che cerca sempre di ammaliare e trascinare dalla propria parte l’interlocutore.
Poteva però essere un’idea interessante, un Silver narratore che cerca di farsi amico il lettore, di apparire una certa immagine di sé, ma con l’abile autore in grado di far emergere, dalle pieghe del racconto, la vera natura diabolica del personaggio. Difficile da scrivere una roba del genere, ma insomma i scrittori sono pagati per questo.
Larsson invece sceglie la via facile, e ci propina un Silver disposto a raccontare sinceramente la propria vita ed emozioni, senza nessun timore di apparire antipatico, anzi quasi provocando il lettore.
Una scelta che mi lascia perplesso, ma che è solo un primo aspetto di quello che è il vero problema del romanzo.
Quest’opera è una fan-fiction. Io ne ho lette, in passato, di ff, su internet… ne ho anche scritte (piuttosto deliranti). Uno dei tratti comuni delle ff, è questo: se l’autore ama particolarmente il personaggio, esplicita più volte la propria idea dello stesso, a volte con pipponi.
E’ quello che fa Larsson (senza pipponi, fortunatamente, almeno per questo primo 31%): la filosofia di Silver viene esplicitata più e più volte. Ma non viene MOSTRATA.
Non sono un fanatico della regola dello “show don’t tell”, ma nemmeno puoi esagerare nello “tell” senza “show”. Stevenson era un maestro in questo.
Qui abbiamo uno Silver che ribadisce, numerose volte, di essere uno che pensa a sé stesso, che vive solo per sé stesso. Lo dice una, due, tre, quattro, cinque volte; e ancora, ancora, ancora, ancora. Praticamente non c’è capitolo in cui non lo afferma. Magari nel prosieguo del romanzo arriva ad una morale diversa, ma non ha importanza: è il modo ossessivo in cui la esprime, ad essere noioso.
E ancora: si vanta, in più occasioni, della sua abilità nell’intortare gli altri con le parole. Peccato che in diverse occasioni, si cacci nei guai proprio URTANDO gli altri con le parole, e senza nemmeno reali motivi! In pratica, qui abbiamo un Long John Silver che è l’esatto opposto di quello del romanzo di Stevenson; un Silver che si fa dei nemici (inutilmente, ed in un caso in maniera clamorosamente stupida), per la sua assurda incapacità di nascondere i propri sentimenti. Se ne “L’isola del tesoro” era un maestro nel mostrarsi agli altri come più gli conviene, qui sembra a tratti privo della più elementare capacità di adattamento sociale.
In questo 31% succedono molte cose, e sono sicuro che mi stia perdendo avvenimenti esaltanti. Ma questo Long John Silver è un pessimo narratore, ed un personaggio fondamentalmente noioso; ed è questo il vero, grande, problema di questo romanzo.