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A review by marco_freccero
Arco di trionfo by Erich Maria Remarque
4.0
Siamo nel periodo che precede lo scoppio della Seconda Guerra mondiale e Parigi è piena di profughi. Tra i tanti ecco Ravic, non è il suo vero nome, quello lo conosceremo solo verso la fine del romanzo. Un profugo tedesco, senza documenti né possibilità di averli, che vive con altri profughi in un piccolo albergo. La polizia fa finta di nulla, la proprietaria sa, ma grazie a certe conoscenze tutto fila liscio.
Ravic, il protagonista di questa storia, era un chirurgo molto abile in Germania, e a Parigi continua a esercitare la sua professione perché dannatamente bravo. Ovviamente in nero.
Quando ci sono operazioni delicate, che il luminare di turno non sa affrontare, arriva Ravic. Si addormenta il danaroso paziente, subentra in sala operatorio il buon Ravic, opera e quando il paziente si risveglia ritrova accanto a sé non Ravic, ma il luminare. Che a Ravic pagherà una parcella ridicola.
La vita di quest’uomo è come sospesa. Forse la sua vita è già finita tempo addietro, quando è divenuto un profugo. E come tanti altri non ha progetti per il futuro. L’Europa infatti sta andando verso la Seconda Guerra Mondiale e non resta che operare, guadagnare un po’ di soldi, fare attenzione a non farsi beccare dalla polizia, che sì, ti espelle, ma poi si rientra sempre, e bere…
E magari innamorarsi. Cosa che succede a Ravic. Di una profuga.
Ma un uomo che ha perso il proprio Paese e non ha progetti per il futuro perché probabilmente non esiste alcun futuro, sarà in grado di amare? E lei, Joan, tornerà a gustare la vita oppure la sua fame di vita la porterà alla rovina?
C’è anche dell’altro in questo romanzo.
Mentre Ravic siede a un bistrot gli pare di vedere, tra la folla che passa sul marciapiede, il volto del suo aguzzino. Di colui che in Germania lo ha torturato. Si alza, cerca di seguirlo. Lo perde di vista.
Forse un’allucinazione.
Succede di nuovo. Lo perde di nuovo.
Infine, una sera, quel suo aguzzino se lo ritrova seduto al proprio tavolino. La vendetta può avere il suo corso, finalmente.
Su tutto il romanzo aleggia il sentimento della disfatta. Di questi uomini e donne che vivono nell’ombra, che vorrebbero fuggire altrove, ma non ci riescono (o meglio, non tutti ci riescono). Ma è la disfatta di un continente che sta correndo verso la Seconda Guerra Mondiale, e pare che non ci sia altra soluzione o via di scampo. E alla fine accade.
La Seconda Guerra Mondiale scoppia e d’un tratto la polizia di Parigi è abilissima a scovare tutti i profughi, che saranno rinchiusi in un campo di prigionia.
Anche Ravic certo.
Remarque riesce a costruire un romanzo che senza sbavature, senza sentimentalismi, ci avvicina a quel mondo dove tanti uomini e donne hanno vissuto senza prospettive una vita fatta di nascondimento e paura. E dove anche l’amore pare non avere più la forza di ridare a essi la voglia, il desiderio di vivere. Tranne quando tutto è davvero perduto. Solo allora sia Ravic che Joan si rendono conto di che cosa avevano in mano, e hanno lasciato scivolare via.
Per me una delle migliori letture del 2024.
Ravic, il protagonista di questa storia, era un chirurgo molto abile in Germania, e a Parigi continua a esercitare la sua professione perché dannatamente bravo. Ovviamente in nero.
Quando ci sono operazioni delicate, che il luminare di turno non sa affrontare, arriva Ravic. Si addormenta il danaroso paziente, subentra in sala operatorio il buon Ravic, opera e quando il paziente si risveglia ritrova accanto a sé non Ravic, ma il luminare. Che a Ravic pagherà una parcella ridicola.
La vita di quest’uomo è come sospesa. Forse la sua vita è già finita tempo addietro, quando è divenuto un profugo. E come tanti altri non ha progetti per il futuro. L’Europa infatti sta andando verso la Seconda Guerra Mondiale e non resta che operare, guadagnare un po’ di soldi, fare attenzione a non farsi beccare dalla polizia, che sì, ti espelle, ma poi si rientra sempre, e bere…
E magari innamorarsi. Cosa che succede a Ravic. Di una profuga.
Ma un uomo che ha perso il proprio Paese e non ha progetti per il futuro perché probabilmente non esiste alcun futuro, sarà in grado di amare? E lei, Joan, tornerà a gustare la vita oppure la sua fame di vita la porterà alla rovina?
C’è anche dell’altro in questo romanzo.
Mentre Ravic siede a un bistrot gli pare di vedere, tra la folla che passa sul marciapiede, il volto del suo aguzzino. Di colui che in Germania lo ha torturato. Si alza, cerca di seguirlo. Lo perde di vista.
Forse un’allucinazione.
Succede di nuovo. Lo perde di nuovo.
Infine, una sera, quel suo aguzzino se lo ritrova seduto al proprio tavolino. La vendetta può avere il suo corso, finalmente.
Su tutto il romanzo aleggia il sentimento della disfatta. Di questi uomini e donne che vivono nell’ombra, che vorrebbero fuggire altrove, ma non ci riescono (o meglio, non tutti ci riescono). Ma è la disfatta di un continente che sta correndo verso la Seconda Guerra Mondiale, e pare che non ci sia altra soluzione o via di scampo. E alla fine accade.
La Seconda Guerra Mondiale scoppia e d’un tratto la polizia di Parigi è abilissima a scovare tutti i profughi, che saranno rinchiusi in un campo di prigionia.
Anche Ravic certo.
Remarque riesce a costruire un romanzo che senza sbavature, senza sentimentalismi, ci avvicina a quel mondo dove tanti uomini e donne hanno vissuto senza prospettive una vita fatta di nascondimento e paura. E dove anche l’amore pare non avere più la forza di ridare a essi la voglia, il desiderio di vivere. Tranne quando tutto è davvero perduto. Solo allora sia Ravic che Joan si rendono conto di che cosa avevano in mano, e hanno lasciato scivolare via.
Per me una delle migliori letture del 2024.