momotan 's review for:

The Amulet of Samarkand by Jonathan Stroud
4.0

Dopo aver cercato invano questo libro, il primo della Trilogia di Bartimaeus, in italiano -risultava sempre irreperibile- me lo sono preso in inglese. Risparmiando, immagino, e non soffrendo affatto visto che la scrittura di Stroud è abbastanza semplice.

Siamo in un’Inghilterra alternativa.
In questo mondo la magia esiste da sempre, e la storia del mondo è stata fatta dalla magia.
I faraoni egizi, re Salomone, l’Impero Romano… tutti i grandi regni hanno visto l’impiego della magia. In massiccie dosi.
E siamo nell’epoca moderna, al giorno d’oggi. Il libro immagino rientri quindi nell’urban fantasy, anche se le atmosfere mi facevano sempre pensare a una sorta di Inghilterra magica Vittoriana, non so perchè. Mi dovevo sforzare di ricordarmi che si era nell’epoca moderna, ma a volte era dura.

Urban fantasy, allora. Che tratta di magia, è il tema portante.
Che tipo di magia?
La magia dei Guardiani Russi? Dei maghetti Potteriani? Degli investigatori soprannaturali che si muovono tra vampiri e licantropi nelle tante serie urban fantasy gialle?
No. E’ una magia diversa. Intrigante.
Direi che questo tipo di magia è uno dei punti di forza del libro.

Perchè i maghi hanno un solo potere: sono in grado di evocare e comandare -seguendo determinati rituali- creature di altri piani. Demoni, potremmo chiamarli, anche se vanno dagli imp ai djinni a creature Lovercraftiane.
Solo questo potere. Sono le creature schiavizzate da questi maghi, poi, a compieree magie. Creature intrappolate in dischi di metallo fungono da spie rendendo i dischi degli strumenti per scrutare; creature imprigionate in medaglioni sono costrette a proteggere il loro padrone….
Un tipo di magia che non dà alcun vero potere agli umani se non quello della conoscenza, e che li rappresenta come enormemente meschini.

Il protagonista del libro è Nathaniel, un giovane apprendista mago. Il suo maestro è un mago di poco conto, assegnatogli quando il bambino è stato scelto per divenire mago, che lo ritiene un idiota e non ne sa riconocere l’enorme talento. Così Nathaniel studia da solo i libri del maestro, e quando un ospite lo ridicolizza davanti a tutti decide di vendicarsi.
E da solo, evoca un djinni. Abbastanza potente, e molto furbo.
Bartimeus.

Gli assegna come compito quello di rubare a Lovelace, il mago che lo ha umiliato, un medaglione appena ottenuto: l’amuleto di Samarcanda.
Non sa cosa sia nè quale sia il suo valore, sa solo che mentre lo spiava con un disco che si era costruito aveva visto un inquietante individuo, sporco di sangue, consegnarlo a Lovelace in cambio di denaro.
Il piano del ragazzo era semplice. Rubare l’amuleto, nascondendolo tra gli oggetti del maestro per evitare che venisse trovato; trovare le prove del furto compiuto da Lovelace; denunciarlo e vendicarsi.

Le cose però si mettono male fin da subito, prima con Bartimeus che si scontra con difese potentissime per impossessarsi dell’oggetto e successivamente con la scoperta di una vasta cospirazione facente capo a Lovelace, che pare intenzionato a uccidere il Primo Ministro per prenderne il posto.
In Inghilterra infatti i maghi sono al potere, e occupano le cariche di governo.
Gli altri, i comuni, vivono a un livello inferiore, trattati come plebaglia insignificante. E ovviamente non ne sono contenti, tanto che è sorto un movimento di resistenza che ruba oggetti magici e si prepara a colpire i padroni della nazione.

Nathaniel, per uscire da questa situazione nella quale si ritrova invischiato, trova il modo di vincolare al suo desttino Bartimeus. Il demone è così costretto ad aiutare per giorni il ragazzo, a tenerlo in vita togliendolo dai pericoli… fino a quando non si arriva allo scontro finale.

Una lettura piacevole e scorrevole, mi è piaciuta la divisione dei capitoli in capitoli incentrati su Nathaniel e capitoli dedicati a Bartimeus.
Ben fatti anche i personaggi. Nathaniel che sprizza talento da tutti i pori e vorrebbe vedersi apprezzato, Nathaniel che per orgoglio perde tutto e sopratutto l’affetto dell’unica persona che gli volesse bene. E reagisce cercando la vendetta, invece di ammettere le proprie responsabilità. E’ abile, ma non può competere con alcun mago adulto (non è un ragazzino superiperpotente, per fortuna). Non sa nulla della vita al di fuori della casa dove ha sempre vissuto.

Bartimeus invece è “uomo” di mondo. Ha visto imperi sorgere e cadere, ha combattuto per millenni agli ordini di maghi umani. E’ enormemente furbo e acuto, qualità che compensano il suo non essere un djinni di massimo livello.
E’ ironico e sarcastico, ed è lui a darci la maggior parte delle informazioni sui maghi, sulla storia, sulla magia.
Ed è anche lui a fare praticamente tutto il lavoro.

Nathaniel è idealista e sognatore, Bartimeus è pratico e sbrigativo. Un’ottima coppia.

In alcuni momenti temevo che gli eventi prendessero una piega scontata, invece la storia è rimasta sempre abbastanza originale.

Lati negativi… non mi convince il metodo di reclutamento degli apprendisti maghi, per cominciare. Come non mi piace il maestro Underwood, sembrava quasi fatto apposta per far crescere Nathaniel solo quasi quanto Harry Potter.
Non sono riuscito a calarmi nell’atmosfera “moderna”, e continuavo a visualizzare il libro in un’epoca vittoriana. Probabilmente perchè i riferimenti tecnologici erano pochi, purtroppo.
Ovviamente tutti i maghi adulti cadono nel trucco da prestigiatore di Lovelace e guardano la mano che gesticola mentre l’altra prepara il trucchetto.

Il finale in compenso mi ha convinto, un finale che sembra far prevalere il punto di vista di Bartimeus su quello di Nathan.