A review by malitia
La donna del fango by Joyce Carol Oates

3.0


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Di Joyce Carol Oates ho letto solo un libro, notevole e appassionante. La ragazza tatuata era un racconto coinvolgente, sviscerale, che faceva del tratto psicologico il suo indelebile punto di forza. Credo che la Oates sia proprio questo genere di autrice: una che, dei suoi personaggi, conosce le più intima paura e ossessione, e che riesce a renderli davvero reali e in carne e ossa.
In questo caso l’approfondimento è stato talmente magistrale da ripiegarsi su se stesso. Ne La donna del fango la psicologia della protagonista, quasi morta, da piccolissima, perché affogata nel fango dalla madre e ora rettrice di un’università prestigiosa, sfuma fino a raggiungere i confini dell’insanità e dell’immaginazione. Non viene mai chiarita la differenza tra realtà e follia – e nemmeno di follia potremmo parlare, quanto di visioni e sogni -, quindi spetta al lettore scindere le due componenti e cercare – vanamente – un significato che probabilmente solo Freud potrebbe trovare.
M. R. è infatti una donna apparentemente equilibrata, amante da anni di un uomo freddo ed egocentrico, nei confronti del quale, nonostante i meriti ottenuti, si sente una bambina. Non si è mai ritenuta figlia di quei genitori che l’hanno adottata e da cui si è allontanata per frequentare l’università, contraddicendo le aspirazioni modeste che loro avevano sul suo futuro. I rapporti con l’altro sesso, con la sua femminilità e con la sua posizione di potere sono difficoltosi: M.R. cerca continuamente di emulare un modello maschile autorevole, essendo consapevole che il ruolo di rettrice donna la svantaggia. Il carico di aspettative e di avvoltoi che attendono un suo passo falso la pone in difficoltà prima di tutto con se stessa: M.R. cerca continuamente di essere all’altezza, controlla i suoi comportamenti, vuole essere materna e comprensiva e contemporaneamente ferma, autorevole e stimata. Vuole essere perfetta: la donna di cui l’intera università manterrà il ricordo e l’uomo efficiente che la porterà in auge.
Da queste forti aspettative e dalla conflittualità con se stessa – M.R. è l’abbreviativo del suo nome, Meredith Ruth, con cui spera di presentarsi in maniera asessuata – nasce il contrasto tra l’ “io” apparente di M.R., forte, determinata, controllata e irreprensibile, e quello del suo subconscio che si manifesta in maniera efferata, attraverso visioni di omicidi e incontri sessuali violenti.
Il percorso di M.R. confluisce nel ritorno al luogo in cui è nata e a quello in cui è cresciuta. Della sua formazione conosciamo ogni dettaglio: i capitoli della M.R. adulta si alternano a quelli della M.R. bambina e adolescente.
La narrazione è nevrotica, nervosa, spesso pesante. Il libro non decolla prima di pagina centocinquanta e il quadro della Oates è troppo minuzioso, così complesso da dare l’idea di non essere riusciti a cogliere moltissime delle sfumature del personaggio protagonista. I momenti di tensione sono pochi perché La donna del fango non ha una specifica trama, ma è quanto più un viaggio nell’interiorità di M.R., nei disturbi che la ossessionano e sfoceranno in un gesto finale che – forse – dà per perduto quel ritorno alla normalità apparentemente ormai ricostituito.
Ho letto il libro con difficoltà e senza troppo entusiasmo, con l’impressione che La donna del fango non fosse stato scritto per i comuni mortali. Non la definirei una lettura appassionante ma profondamente riflessiva, a tratti incomprensibile eppure affascinante, se si coglie la chiave di volta con cui Joyce Carol Oates ha voluto caratterizzare M.R.


Do una stellina in meno rispetto a La ragazza tatuata per l’obiettivo fallito del coinvolgimento emotivo da parte del lettore, seppur il tentativo di costruire un mosaico complesso – e anche riuscito, ma a danno della scorrevolezza e della piacevolezza della storia – lo renderebbe superiore alla storia dell’antisemita Alma.