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A review by stephthepanda
La casa sul mare celeste by TJ Klune
4.0
Sono davvero entusiasta di aver finalmente recuperato questa lettura!
Questo libro è una di quelle opere che, con una dolcezza disarmante e una delicatezza unica, ti spingono a guardarti dentro. Non solo nel "qui e ora" (nel mio caso, quello di una giovane adulta), ma anche nel passato. Ti porta a riflettere sull’adolescente che eri, sul bambino che sei stato, su ciò che hai fatto e su ciò che non hai avuto il coraggio di fare.
Ti costringe a chiederti quanto il pregiudizio e la paura (sia dell’ignoto sia della mancata comprensione) abbiano condizionato le tue scelte e influenzato la tua vita.
E questa riflessione non arriva con forzature, ma con una naturalezza sorprendente, ma soprattutto senza alcun giudizio. Come Linus Baker, il protagonista, comincia a porsi domande, a mettere in discussione le sue certezze e a permettersi di cambiare prospettiva, anche tu, lettore, ti ritrovi a fare lo stesso.
Quello che Arthur fa con Linus e con i SUOI bambini, lo fa anche con noi; ci prende, ci accoglie, ci fa mettere in discussione e ci insegna.
Il ritmo della narrazione è incalzante, fluido e dinamico, eppure non sacrifica mai i momenti importanti né, soprattutto, i personaggi. E questo è fondamentale, considerando il numero di figure presenti: Linus, Arthur, i ragazzi dell’orfanotrofio (Chauncey, Talia, Lucy, Sal, Phee e Teo), Zoe, i membri del DIMAM e molti altri.
Come si fa a gestire tanti personaggi senza che nessuno risulti trascurato o poco definito? Io non saprei dirlo, ma T.J. Klune ci riesce magistralmente. Ognuno di loro ha una personalità unica, una storia ben costruita, un perché che lo rende vivo. Nessuno è lasciato indietro, nemmeno quello apparentemente più silenzioso di tutti (Sal, mi ha toccato nell'animo).
Devo ammettere che all’inizio temevo che alcuni bambini potessero finire in ombra, soprattutto considerando il carisma irresistibile di Lucy. Lui, con il suo magnetismo, cattura per forza di cose l’attenzione (e, in alcuni momenti, quasi si impone come co-protagonista). Eppure, con mia grande sorpresa e felicità, questa paura si è rivelata infondata: Lucy non ruba mai la scena agli altri. Ogni personaggio ha il proprio spazio, ogni momento è dedicato a qualcuno in modo esclusivo.
Quando, ad esempio, Talia, la gnoma, si prende cura del suo giardino, sei lì con lei, immerso nel suo borbottare sulla voglia di scavare "buche", e mentre lo fai, sai che altrove Chauncey sta provando davanti al suo amato specchio battute per diventare il miglior concierge della città. La narrazione riesce a darti la sensazione che il mondo sia in movimento, senza però mai distrarti dal cuore della scena che stai leggendo.
L’ambientazione è pura magia. Spesso mi sono ritrovata con la sensazione di trovarmi anch’io sull’isola, accanto a Linus e agli altri, ero con loro in cucina, ero con loro in quelle tanto amate ed allo stesso tempo odiate avventure (anche io come loro, con dei discutibili pantaloni color cachi), o persino in quella soffocante cantina (vi avviso: prendete dei fazzoletti appena Linus entra lì dentro). Ogni dettaglio è così vivido che non puoi fare a meno di sentirti parte della storia.
Se proprio devo trovare un difetto, direi che il climax della storia avrebbe potuto essere più carico di tensione. Non fraintendetemi: c’è stato un momento in cui mi sono preoccupata, ma mi aspettavo di arrivare al punto di disperarmi.
Questo, però, non toglie valore al viaggio complessivo, che rimane straordinario. È un percorso fatto di paure, pregiudizi e dubbi, ma anche di crescita, accettazione e scoperta di sé. Un viaggio che ci ricorda quanto sia importante accogliere gli altri e, soprattutto, noi stessi.
Infine, credo fermamente che questo libro debba essere portato nelle scuole, parla di accettazione, diversità, pregiudizio, sentimenti e di dignità.
Questo libro è una di quelle opere che, con una dolcezza disarmante e una delicatezza unica, ti spingono a guardarti dentro. Non solo nel "qui e ora" (nel mio caso, quello di una giovane adulta), ma anche nel passato. Ti porta a riflettere sull’adolescente che eri, sul bambino che sei stato, su ciò che hai fatto e su ciò che non hai avuto il coraggio di fare.
Ti costringe a chiederti quanto il pregiudizio e la paura (sia dell’ignoto sia della mancata comprensione) abbiano condizionato le tue scelte e influenzato la tua vita.
E questa riflessione non arriva con forzature, ma con una naturalezza sorprendente, ma soprattutto senza alcun giudizio. Come Linus Baker, il protagonista, comincia a porsi domande, a mettere in discussione le sue certezze e a permettersi di cambiare prospettiva, anche tu, lettore, ti ritrovi a fare lo stesso.
Quello che Arthur fa con Linus e con i SUOI bambini, lo fa anche con noi; ci prende, ci accoglie, ci fa mettere in discussione e ci insegna.
Il ritmo della narrazione è incalzante, fluido e dinamico, eppure non sacrifica mai i momenti importanti né, soprattutto, i personaggi. E questo è fondamentale, considerando il numero di figure presenti: Linus, Arthur, i ragazzi dell’orfanotrofio (Chauncey, Talia, Lucy, Sal, Phee e Teo), Zoe, i membri del DIMAM e molti altri.
Come si fa a gestire tanti personaggi senza che nessuno risulti trascurato o poco definito? Io non saprei dirlo, ma T.J. Klune ci riesce magistralmente. Ognuno di loro ha una personalità unica, una storia ben costruita, un perché che lo rende vivo. Nessuno è lasciato indietro, nemmeno quello apparentemente più silenzioso di tutti (Sal, mi ha toccato nell'animo).
Devo ammettere che all’inizio temevo che alcuni bambini potessero finire in ombra, soprattutto considerando il carisma irresistibile di Lucy. Lui, con il suo magnetismo, cattura per forza di cose l’attenzione (e, in alcuni momenti, quasi si impone come co-protagonista). Eppure, con mia grande sorpresa e felicità, questa paura si è rivelata infondata: Lucy non ruba mai la scena agli altri. Ogni personaggio ha il proprio spazio, ogni momento è dedicato a qualcuno in modo esclusivo.
Quando, ad esempio, Talia, la gnoma, si prende cura del suo giardino, sei lì con lei, immerso nel suo borbottare sulla voglia di scavare "buche", e mentre lo fai, sai che altrove Chauncey sta provando davanti al suo amato specchio battute per diventare il miglior concierge della città. La narrazione riesce a darti la sensazione che il mondo sia in movimento, senza però mai distrarti dal cuore della scena che stai leggendo.
L’ambientazione è pura magia. Spesso mi sono ritrovata con la sensazione di trovarmi anch’io sull’isola, accanto a Linus e agli altri, ero con loro in cucina, ero con loro in quelle tanto amate ed allo stesso tempo odiate avventure (anche io come loro, con dei discutibili pantaloni color cachi), o persino in quella soffocante cantina (vi avviso: prendete dei fazzoletti appena Linus entra lì dentro). Ogni dettaglio è così vivido che non puoi fare a meno di sentirti parte della storia.
Se proprio devo trovare un difetto, direi che il climax della storia avrebbe potuto essere più carico di tensione. Non fraintendetemi: c’è stato un momento in cui mi sono preoccupata, ma mi aspettavo di arrivare al punto di disperarmi.
Questo, però, non toglie valore al viaggio complessivo, che rimane straordinario. È un percorso fatto di paure, pregiudizi e dubbi, ma anche di crescita, accettazione e scoperta di sé. Un viaggio che ci ricorda quanto sia importante accogliere gli altri e, soprattutto, noi stessi.
Infine, credo fermamente che questo libro debba essere portato nelle scuole, parla di accettazione, diversità, pregiudizio, sentimenti e di dignità.