A review by malitia
The Accursed by Joyce Carol Oates

4.0

Della pressoché sterminata produzione di Joyce Carol Oates è stata tradotta, in Italia, una parte infinitesimale. Il quinto libro della cosiddetta Gothic Saga, ad esempio, è stato pubblicato senza che vedessimo traccia dei precedenti quattro: Bellefleur (1980), A Bloodsmoor Romance (1982), Mysteries of Winterthurn (1984) e My Heart Laid Bare (1998). Il danno non è ingente, dato che si tratta di romanzi autoconclusivi, ma dà prova della parzialità delle informazioni letterarie che abbiamo su questa autrice – fatta eccezione, ovviamente, per chi la legge in Lingua.

Il maledetto non dispone, quindi, di pietre di paragone con altri romanzi dello stesso genere scritti dalla Oates – non nella mia esperienza di lettura, almeno, ma sono quasi sicura che non siano stati pubblicati in Italia altri suoi libri simili a questo. E quindi ci avviamo dentro a un campo quasi del tutto sconosciuto: Joyce Carol Oates che indaga il soprannaturale, in verità, non l'avevamo mai vista. Il risultato è un romanzo che conserva moltissime delle caratteristiche tipiche di questa scrittrice: già la finzione narrativa parte da una presunta verità storica e il libro è disseminato di personaggi realmente esistiti, alcuni dei quali svolgono la funzione di protagonisti.

Imponente il lavoro di ricerca che si nota alle spalle di questo tomo di 600 pagine, e che riesce a rendere in maniera fedele le atmosfere e il modo di vivere di una cittadina americana del primo Novecento. L'azione è svolta a Princeton – dove l'autrice vive e insegna – e racconta di una Maledizione che sembra essersi scagliata contro la comunità: ragazze di buona famiglia che fuggono con misteriori sconosciuti, apparizioni di fantasmi, omicidi senza spiegazione.

I punti di vista adottati sono molteplici ma tutti accattivanti, il libro scorre con pochi momenti di noia, caratterizzato dall' alternarsi di eventi realistici e fantastici – questi ultimi dotati di una grande potenza espressiva e da richiami ai maestri del genere. Memorabile il capitolo con la descrizione di un decadente castello orrorifico, dove trionfano personaggi grotteschi e spaventosi – nonostante si ricavi l'impressione che, di questi, non si parli abbastanza approfonditamente. Ma il motivo è semplice: il lato sovrannaturale, che resta sempre immerso in un clima onirico e che ha confini sfumati, viene affidato a una narrazione riportata da terzi. E il richiamo alla razionalità è presente nelle parole di chi collaziona queste vicende, uno storico che, ottant'anni dopo, ricostruisce minuziosamente gli eventi susseguitesi nei quattordici mesi tra il 1905 e il 1906. I suoi interventi all'interno del romanzo tendono spesso a chiarire verità ambivalenti, di cui i personaggi – voci narranti – non sono a conoscenza; ma anche a contestualizzare e a ribattere alle probabili critiche che i “colleghi storiografi” potrebbero muovergli. Già da subito il racconto è infatti presentato come una cronaca, e l'intenzione principale di chi la racconta è quella di riportare, nei minimi dettagli, fatti che erano stati da altri taciuti perché considerati frutto di farneticazioni. Diari personali, epistolari, confessioni scritte concorrono a formare il quadro documentario del lavoro di ricerca, e tingono di mistero e brivido le pagine del romanzo. Mai, in realtà, il lettore prova paura o terrore: la narrazione della Oates è quella sospesa tipica del primo genere fantastico – “Lo Strano caso del Dr Jeckyll e del Signor Hyde” – e le situazioni che vengono a costruirsi rimandano all'horror puro. Vari e differenziati i personaggi, tormentati, razionali, pusillanimi o temerari, forse troppi per il complesso di pagine e alcuni dei quali un po' abbandonati a se stessi – avrei preferito, ad esempio, una maggiore caratterizzazione di Wilhelmina, che rivela un potenziale inespresso.

Decisamente piacevole questo ultimo lavoro di Joyce Carol Oates, sebbene mi fossi aspettata qualcosa di diverso e sebbene si noti una certa differenza con gli altri romanzi dell'autrice – dove è innegabile ci sia maggiore pregnanza e incisività. Tuttavia la penna risulta essere l'autentica manifestazione del talento di Joyce Carol Oates: con una scrittura che oserei definire maschile, che non cede alle digressioni sentimentali ma che riporta analiticamente gli eventi in modo asciutto e oggettivo, la scrittrice americana riconferma il suo talento indiscutibile di narratrice.