A review by momotan
Uno di noi by Michael Marshall Smith

2.0

Questo libro è stato scritto nel lontano 1998, ma francamente mentre lo leggevo pensavo risalisse a parecchi anni prima.
Il futuro fantascientifico che prospetta è un futuro molto simile al presente (e si svolge più o meno verso il 2020), con giusto qualche differenza tecnologica che basta a classificarlo come fantascienza.
Per cominciare, e la cosa è di fondamentale importanza per la trama, sono state create macchine per togliere ricordi e sogni dalla mente di una persona, e immetterli in altre persone. Pratica, quando si parla di ricordi, alquanto illegale visto che senza il ricordo di un crimine neanche l’efficace siero della verità in uso in questa epoca può inchiodare un criminale.
Poi internet è una vera e propria realtà virtuale, un mondo ricalcato su quello materiale dove la gente può entrare con apposite strumentazioni, muovendovisi normalmente.
Si possono acquistare coincidenze, dosi che garantiscono un certo numero di coincidenze nelle prossime giornate, ma di qualità variabile, non prevedibile. Puoi imbatterti nel biglietto vincente della lotteria, o pensare a una persona proprio mentre questa ti sta per chiamare.
E visto che i conti bancari fisici non usano schede magnetiche o chips ma riconoscono l’impronta digitale del cliente, il mercato nero offre illegalissime dita mozzate, valide finché il proprietario non viene dichiarato morto (e tenute in forma da apposite sacche di plasma).

Fin qui sembra un normale futuro tecnologico.
Un futuro un poco fantascientifico in cui si muove Hap, un delinquentello da quattro soldi che ha passato gran parte del suo tempo vagabondando per l’America, facendo il barman qua e là, compiendo piccoli crimini per stare a galla.
Ha un solo vero amico, Deck, un grande amore ormai sparito, Helena, un quasi amico divenuto il suo acerrimo nemico, Trevis, e una folta schiera di comparse pseudo-malavitose che gravitano nei paraggi.
Le cose cambiano quando Hap va a lavorare per Strasser, che gestisce la REMtemp. Comincia col ricevere i sogni dei clienti, ed essendo molto dotato mnemonicamente fa rapidamente molti soldi, poi passa all’attività vagamente illegale di conservare per brevi lassi di tempo i ricordi dei clienti.
Infine, riceve un lavoro in nero.
Prendersi per sempre un certo ricordo da una cliente.
Accetta, sono tantissimi soldi. Accetta a scatola chiusa.

E la storia comincia con Hap che dà la caccia a questa sconosciuta cliente per costringerla a riprendersi i suoi ricordi, visto che si tratta dei ricordi di quando lei ha ucciso il tenente di polizia Hammond, pluridecorato e recentemente trovato morto. Hap non ha a che fare con l’omicidio, ma visto che a indagare è lo stesso Trevis che da anni cerca di trovare le prove della sua colpevolezza in una vecchia storia comprendente una rapina in banca e dei morti, preferisce non rischiare.
Farà bene? Farà male? Fatto sta che dei misteriosi e inquietanti personaggi, tutti uguali tra loro, che erano arrivati a giochi compiuti anche sulla scena del crimine, sembrano dare la caccia a lui e a Laura, la sua cliente.
Una donna isterica e ubriacona, attraente ma scontrosa. Paranoica e depressa.

E quando la trova, che fa? Si mette a fare il gentiluomo, senza pressarla per farsi dire tutto sull’omicidio di cui rischia di essere accusato.

La storia si trasforma in una sorta di poliziesco mischiato con elementi fantascientifici, una corsa contro il tempo di Hap e del fedele amico Deck per scoprire chi vuole incastrare Hap e magari salvare anche Laura. Prima che Trevis lo prenda, e prima che l’ex-moglie di Hap, Helena, arrivi a ucciderlo per riscuoterne la taglia.
Già, perché a quanto pare Helena è una spietata killer. Ma le cose potrebbero essere anche diverse da come sembrano, mano a mano che l’autore si degna di fornirci dei particolari sul passato di Hap.

Detta così, la storia sarebbe intorno alla sufficienza… un cinque, alla peggio, dovuto al fatto che i dettagli forniti si fanno pregare, e alla noncuranza con cui Hap evita di indagare con Laura.
E anche per il voler dare a tutti i costi ai personaggi un’aria hard-boiled.

Peccato che ci siano un paio di elementi che distruggono l’atmosfera, rendendola assurda.
Il primo elemento sono gli elettrodomestici. Qui tutti gli elettrodomestici, gli oggetti elettrici e persino le serrature sono senzienti. Parlano, si muovono… l’orlogio di Hap lo insegue ovunque per dargli la sveglia, le serrature si possono corrompere, la segreteria parla al suo proprietario, e lungo le strade deserte si incrociano colonne di forni o frigoriferi ormai abbandonati, intenti ad attraversare la strada diretti verso chissà dove.
Una nota weird che sarebbe interessante, e molto, se non fosse che ha rilevanza solo in un certo punto della storia, usata come una sorta di deus ex-machina e priva di senso con i comportamenti tenuti in passato (cioè, Hap ha maltrattato enormemente l’orologio, e viene visto come un Messia?), salvo ogni tanto citare questi branchi di elettrodomestici. Inutile ai fini della storia, e troppo ricorrente per essere un divertissement.
L’altro elemento sono i sei tizi che inseguono Hap, e l’uomo vestito di scuro. Quando dalla fantascienza tecnologica siamo passati agli alieni e poi addirittura a Dio e agli Angeli, mi sono cadute le braccia. Una conclusione che non mi è piaciuta per niente.

Peccato, perché la storia in sé non era male.
Ma tutta la parte -decisiva- su quei sette personaggi enigmatici non sono riuscito a digerirla.