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gio_shelves 's review for:
La fiera della vanità
by William Makepeace Thackeray
"Il mio benevolo proposito è questo, amici e compagni: guidarvi attraverso i vari spazi della Fiera di Vanità, tra negozi e spettacoli, nel più sfolgorante insieme di rumori e di spensieratezza, per poi tornare tutti a casa alla propria triste solitudine."
Era da parecchio tempo che non leggevo un classico. Avete presente quando, tutto a un tratto, non potete soffrire qualcosa che amate? Ecco, a me è successo così. Volevo leggere questo e quello e quell'altro ancora, volevo iniziare a leggere seriamente la letteratura russa, volevo leggere Flaubert, volevo leggere di nuovo Dickens. E poi di improvviso quando me li sono trovati davanti...non volevo leggerli più. Li ho dimenticati sul tavolo a prendere polvere come dei giocattoli rotti. Sospetto che una buona parte dell'intera faccenda sia da attribuire alla continua stanchezza dell'anno scolastico. E, ora, avendo finito La fiera della vanità, mi sono accorta quanto effettivamente leggere classici mi fosse mancato.
Non penso di poter rendere minimamente giustizia al capolavoro di Thackeray. Ci sono dei libri di cui è relativamente facile parlare, nonostante li si ami profondamente, ma La fiera della vanità non è, almeno per me, uno di quelli. In parte per via della mole e degli intrecci credo, ma anche perchè mi ha ricordato quanto ami i tomi ottocenteschi. Ognuno ha un proprio periodo storico preferito e a me sono sempre piaciuti gli intrighi e i duelli.
Partiamo dall'ovvio: mai sottotitolo fu più azzeccato. La fiera della vanità è, in tutto e per tutto, un romanzo senza eroe. Come potrebbe essere altrimenti del resto? I salottini in cui i nostri personaggi si incontrano sono saturi dei più cattivi e maliziosi sentimenti. Si guardano, si sorridono, si scambiano convenevoli stucchevoli e parlano del più e del meno. Ad un secondo sguardo però questo sfarzo, questi sorrisi così aperti si rivelano così...marci. Le chiacchiere diventano pettegolezzi da rivolgere in proprio favore, le risate amichevoli sono tanto ironiche quanto false e lo sfarzo della stanza e dei vestiti si va ad aggiungere alla pila dei debiti che sovrasta i personaggi stessi. Questa "rivoluzione" è tanto immorale quanto piacevole a leggersi. La falsità, l'ipocrisia, l'ostentazione del lusso, l'inganno, sono tanto facili da criticare, ma qui lo è altrettanto farsene coinvolgere. È piuttosto triste, ma vero. Quanti possono dire di non essersi mai macchiati di questi vizi? Meglio non rispondere e non diventare persino bugiardi.
Il fatto è che le macchinazioni continue di Becky a discapito del prossimo sono affascinanti. Non sono neppure riuscita a odiarla. Era troppo divertente vederla tirare i fili delle sue marionette, fingere e raggirare le sue vittime, piangere a comando come un'attrice consumata.
Non so quanto ciò che sto per dire dica di me, ma...mi è stato molto più semplice odiare Amelia. Amelia, con la sua ingenuità, la sua bontà gratuita, il suo amore incondizionato, mi è risultata spesso insopportabile. Melensa e di una stupidità unica. E che dire di Dobbin? Il povero Dobbin, con il suo amore incondizionato e senza speranza e la sua fedeltà assoluta.
È impossibile non lasciarsi trasportare dalla fiera, dalle sue finzioni, dai suoi inganni e dalle sue infami attrazioni. Thackeray delinea i suoi personaggi in maniera perfetta e ci mostra, in maniera davvero pungente, quanto l'umanità abbia di marcio in sè. E nessuno di noi è esente da questa critica, perché chi più chi meno, tutti facciamo parte della fiera.
"Ah, Vanitas vanitatum! Chi di noi è felice a questo mondo? Chi di noi vide mai appagati i suoi desideri o, avendoli appagati, ne è soddisfatto? Andiamo, ragazzi, caliamo il sipario e riponiamo i burattini: la commedia è finita."
ultima cosa: indegna edizione la mia. Il lato puramente estetico dei romanzi BUR è tanto buono quanto vetusta è la traduzione. Il modo stesso in cui è stato stampato il testo è indice di sciatteria a mio modesto parere. Ma, se su questo si può chiudere un occhio, credo che non si possa fare altrettanto con la traduzione, che penso non renda giustizia al romanzo.
Era da parecchio tempo che non leggevo un classico. Avete presente quando, tutto a un tratto, non potete soffrire qualcosa che amate? Ecco, a me è successo così. Volevo leggere questo e quello e quell'altro ancora, volevo iniziare a leggere seriamente la letteratura russa, volevo leggere Flaubert, volevo leggere di nuovo Dickens. E poi di improvviso quando me li sono trovati davanti...non volevo leggerli più. Li ho dimenticati sul tavolo a prendere polvere come dei giocattoli rotti. Sospetto che una buona parte dell'intera faccenda sia da attribuire alla continua stanchezza dell'anno scolastico. E, ora, avendo finito La fiera della vanità, mi sono accorta quanto effettivamente leggere classici mi fosse mancato.
Non penso di poter rendere minimamente giustizia al capolavoro di Thackeray. Ci sono dei libri di cui è relativamente facile parlare, nonostante li si ami profondamente, ma La fiera della vanità non è, almeno per me, uno di quelli. In parte per via della mole e degli intrecci credo, ma anche perchè mi ha ricordato quanto ami i tomi ottocenteschi. Ognuno ha un proprio periodo storico preferito e a me sono sempre piaciuti gli intrighi e i duelli.
Partiamo dall'ovvio: mai sottotitolo fu più azzeccato. La fiera della vanità è, in tutto e per tutto, un romanzo senza eroe. Come potrebbe essere altrimenti del resto? I salottini in cui i nostri personaggi si incontrano sono saturi dei più cattivi e maliziosi sentimenti. Si guardano, si sorridono, si scambiano convenevoli stucchevoli e parlano del più e del meno. Ad un secondo sguardo però questo sfarzo, questi sorrisi così aperti si rivelano così...marci. Le chiacchiere diventano pettegolezzi da rivolgere in proprio favore, le risate amichevoli sono tanto ironiche quanto false e lo sfarzo della stanza e dei vestiti si va ad aggiungere alla pila dei debiti che sovrasta i personaggi stessi. Questa "rivoluzione" è tanto immorale quanto piacevole a leggersi. La falsità, l'ipocrisia, l'ostentazione del lusso, l'inganno, sono tanto facili da criticare, ma qui lo è altrettanto farsene coinvolgere. È piuttosto triste, ma vero. Quanti possono dire di non essersi mai macchiati di questi vizi? Meglio non rispondere e non diventare persino bugiardi.
Il fatto è che le macchinazioni continue di Becky a discapito del prossimo sono affascinanti. Non sono neppure riuscita a odiarla. Era troppo divertente vederla tirare i fili delle sue marionette, fingere e raggirare le sue vittime, piangere a comando come un'attrice consumata.
Non so quanto ciò che sto per dire dica di me, ma...mi è stato molto più semplice odiare Amelia. Amelia, con la sua ingenuità, la sua bontà gratuita, il suo amore incondizionato, mi è risultata spesso insopportabile. Melensa e di una stupidità unica. E che dire di Dobbin? Il povero Dobbin, con il suo amore incondizionato e senza speranza e la sua fedeltà assoluta.
È impossibile non lasciarsi trasportare dalla fiera, dalle sue finzioni, dai suoi inganni e dalle sue infami attrazioni. Thackeray delinea i suoi personaggi in maniera perfetta e ci mostra, in maniera davvero pungente, quanto l'umanità abbia di marcio in sè. E nessuno di noi è esente da questa critica, perché chi più chi meno, tutti facciamo parte della fiera.
"Ah, Vanitas vanitatum! Chi di noi è felice a questo mondo? Chi di noi vide mai appagati i suoi desideri o, avendoli appagati, ne è soddisfatto? Andiamo, ragazzi, caliamo il sipario e riponiamo i burattini: la commedia è finita."
ultima cosa: indegna edizione la mia. Il lato puramente estetico dei romanzi BUR è tanto buono quanto vetusta è la traduzione. Il modo stesso in cui è stato stampato il testo è indice di sciatteria a mio modesto parere. Ma, se su questo si può chiudere un occhio, credo che non si possa fare altrettanto con la traduzione, che penso non renda giustizia al romanzo.