A review by sara_fangirl98
Attalea princeps by Vsevolod Garshin, Manuela Lazzerotti

5.0

Cosa sareste disposti a fare in nome della Libertà?
Questo racconto breve di appena 27 pagine, scritto da Vsevolod Garšin e pubblicato da Sellerio Editore Palermo nel 1992, risponde alla domanda in maniera tanto struggente quanto realistica.
In una città fredda e grigia sta una serra splendida e piena di piante. Tutte loro, dalla più piccola erbetta alla palma più alta provano una forte nostalgia per le loro terre d’origine, della sensazione del vento fresco che fischia tra le foglie e quella del sole caldo che riscalda i loro rami. Più di tutte però, è l’Attalea Princeps la più malinconica, perché la più vicina a quel cielo così diverso da quello che era abituata a vedere in Brasile. Ma solo quando uno straniero la chiama con il suo vero nome, quello che solo chi ha abitato la sua terra d’origine conosce, l’Attalea capisce che deve tornare libera e sfiorare di nuovo il cielo con i suoi lunghi rami.
Tenta invano di coinvolgere anche le altre piante, ma loro si dicono felici della vita che fanno, perché vengono curate e nessuna di loro viene tagliata o grattugiata. Perciò l’Attalea è sola in questa impresa, o quasi: con lei c’è un’erbetta vecchia e rinsecchita, che ricopre il terreno circostante la palma da molto tempo ormai e prova per lei una profonda ammirazione. Spronata dalle parole dell’erbetta, l’Attalea inizia a crescere ogni giorno di più, con l’obiettivo di rompere con i suoi rami quel freddo tetto di vetro che la divide dal cielo sempre livido, dal pallido sole e dalla tanta agognata libertà. Ma quando finalmente le travi di ferro cedono sotto la pressione e il vetro si infrange, fuori è ormai inverno e ad accoglierla non c’è nessun sole caldo ma una tempesta di pioggia e vento pungente, che penetra nella serra.
Lo scienziato perciò ordina non solo di far aggiustare il tetto, ma anche di tagliare l’Attalea e di gettarla via, piantando al suo posto un albero.
Ecco come termina la storia di un’Attalea e di un’erbetta, sua compagna: entrambe giacciono prive di vita in una discarica, senza poter mai più sentire il calore del sole sulle loro foglie, ma solo il freddo di una vita senza libertà.
Venni a conoscenza di questo breve racconto attraverso Instagram, e subito mi mobilitai per trovare anche io una copia.
La trama mi sorprese: non era solo una storiella su un manipolo di piante malinconiche, era un inno alla vita e alla libertà.
Purtroppo non conosco le circostanze che hanno portato l’autore a scrivere queste pagine, ma leggendole si sente il forte e pericoloso desiderio di essere liberi, di vivere una vita sotto la luce del sole e non protetti da una cupola di vetro. L’Attalea era ben consapevole che sarebbe potuta morire nell’impresa, che ci sarebbero potuti essere degli intoppi e dei problemi nel tragitto, ma non le interessava: ha continuato a crescere imperterrita sotto gli occhi carichi di giudizio delle altre piante, e ce l’ha fatta, seppur per qualche istante. Le sue foglie e i suoi rami, grazie alla sua enorme forza di volontà, sono stati in grado di distruggere il tetto della serra, piegandone il ferro e infrangendone il vetro spesso. È riuscita a sentire il sapore della Libertà e lo ha fatto contando solo su se stessa, sulle sue sole forze.
Ogni essere umano su questo pianeta, proprio come l’Attalea Princeps nella sua serra, sta combattendo una battaglia in nome della Libertà: contro i pregiudizi, contro leggi ingiuste, contro la propria persona. Ognuno di noi sta cercando di rompere quel vetro. Molti ci riescono, altri muoiono o rinunciano prima di poterlo anche solo sfiorare, ma l’importante sta nel provarci, nel non accontentarsi di una vita che ci sta stretta, nonostante tutto e tutte le difficoltà che si possono incontrare.
In conclusione, questo racconto è stato una scoperta piacevole, che mi ha aperto gli occhi e mi ha portato a riflettere sul valore che ciascuno di noi dà al concetto di Libertà e quanto siamo in grado di mettere in gioco per ottenerla, per viverla e vivere.