A review by ludovicaciasullo
Brevi interviste con uomini schifosi by David Foster Wallace

3.0

Questo è il primo libro di DFW che leggo, e devo ammettere di aver approcciato la lettura con un po' di scetticismo: chiunque sia così osannato e idolatrato è necessariamente, a mio avviso, sopravvalutato.

Purtroppo per i miei pregiudizi questo libro è scritto divinamente: la maestria dell'autore nel maneggiare i periodi e le divagazioni, una proprietà lessicale senza pari, tutto dà l'impressione di avere a che fare con qualcuno che la lingua la domina. È innegabile che si è di fronte a un'opera in cui la forma è impeccabile. Il fatto che l'autore sia completamente in controllo della complessità che inserisce nella sua scrittura lo percepivo mentre, leggendo un paragrafo lunghissimo e articolato, quasi "vedevo" il pensiero giungere a compimento.

La seconda cosa che si percepisce subito è che difficile leggere questo libro. Dopo una ventina di pagine ho dovuto abbandonare la versione in lingua originale per passare a quella in italiano, e anche una volta ricominciato il libro nella mia lingua avevo comunque difficoltà a seguire certi paragrafi. Sapevo che DFW è noto per la sua scrittura a incastri, per i periodi nei periodi, per le note interminabili, ma trovarsi di fronte una narrazione così tortuosa è comunque uno shock, per quanto previsto. Oltre alla complessità strutturale, c'è poi una ambiguità di fondo che rende la lettura tutt'altro che immediata.

La scrittura è bella esteticamente e complessa dal punto di vista strutturale, ma questa raccolta di racconti non è solo forma. Discutendone in un book club, qualcuno ha detto che Brevi Interviste è un studio etnografico, e forse la definizione è calzante. Mi è sfilata davanti un'umanità bizzarra, che ho guardato con un disgusto di fondo e qualche sprazzo di empatia. Come in uno studio, poi, è difficile affezionarsi ai personaggi, non perché non siano adeguatamente caratterizzati, ma perché è come se stessero dietro un vetro, come se l'autore ce li mettesse davanti per farceli guardare più che per lasciarceli dentro.

Non so se riesco a rendere l'idea di questo distacco che ho percepito leggendo, la sensazione di avere a che fare con un esercizio, di stile e di riflessione, magistralmente eseguito, ma pur sempre un esercizio. Non c'è, a mio avviso, in questi racconti, una partecipazione emotiva in quello che viene raccontato, e quindi anche l'esperienza di lettura mi è sembrata, in un certo modo, fredda.

Ho trovato comunque i vari racconti molto diversi fra loro, non soltanto per stile e temi, ma anche per qualità. "La persona depressa", per esempio, mi continua a ronzare in testa per la precisione chirurgica con cui racconta la manipolazione. "Non significa niente" mi ha lasciato dentro un profondo senso di malessere per la mancanza di comunicazione che rappresenta. Infine "Sul letto di morte, stringendoti la mano..." mi ha commossa, perché trovo che dia voce a degli aspetti della genitorialità che sono considerati quasi indicibili, per via della sacralità con cui guardiamo al ruolo di genitori. Questi tre esempi sono i casi in cui non ho sentito la freddezza di cui parlavo sopra, in cui i racconti mi hanno travolta e in cui la complessità formale non mi è parsa un filtro fra me e la storia, ma qualcosa di asservito alla storia. Non posso però dire lo stesso della raccolta nel suo complesso.