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«L'unica dicotomia che conta è quella tra chi agisce e chi non agisce». Il primo insegnamento che colgo da questo importante libro è che abbiamo passato già troppo tempo a stare dietro ai negazionisti del cambiamento climatico. Tanto per capirci, come dice Safran Foer, «solo il 14 percento degli americani nega il cambiamento climatico, vale a dire una percentuale nettamente inferiore a quella di chi nega l'evoluzionismo o che la Terra orbiti intorno al Sole. Il 69 percento degli elettori americani - compresa la maggioranza dei repubblicani - ritiene che gli Stati Uniti sarebbero dovuti rimanere nell'Accordo di Parigi sul clima».

Quindi il problema non sta nell'essere convinti o meno dell'esistenza del problema. Sta nelle cose da fare. Jonathan Safran Foer, come si capisce dal titolo, ha una proposta piuttosto convincente. Intervenire su ciò che mangiamo.

Sull'impatto che il nostro sistema di alimentazione ha sul clima ci sono due posizioni molto lontane. Secondo uno studio commissionato dalla FAO, l'industria alimentare produce circa il 15% dei gas serra totali. Secondo un altro redatto per conto della WorldWatch, questa percentuale è addirittura del 51%. Safran Foer è incline a prendere per buona questa seconda stima e nella parte finale del libro spiega bene perché. Ma anche il dato FAO, chiamiamolo così, ci dice quanto l'ìmpatto di ciò che mangiamo sia devastante, sul nostro clima.

Quindi certo, prendiamocela con Trump che boicotta ogni sforzo per abbattere le emissioni di gas serra e che rilancia l'anacronistica industria del carbone. Malediciamo pure Bolsonaro che non protegge l'Amazzonia (anzi). Ma teniamo presente che le piante dell'Amazzonia vengono quasi sempre rase al suolo per far spazio ad animali che poi, alla fine, mangiamo noi.