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Lost Connections, ovvero “Connessioni perse”. Questo è il titolo originale di quello che probabilmente è il libro più rivoluzionario, che io abbia mia letto. Una lettura densa, che ti fa mancare la terra sotto i piedi. E ti fa mettere in dubbio tutto quello che hai sempre creduto in merito alla depressione e all’ansia.

Johann Hari è un giornalista, ma prima di questo, è una persona. Una persona che ha sofferto per buona parte della sua vita di depressione. Una persona che ha creduto, per buona parte della sua vita, a quello che gli hanno sempre detto rispetto a questo disturbo. Che qualcosa nel suo cervello non funzionava come avrebbe dovuto; che c’era qualcosa di sbagliato in lui, qualcosa che loro, i medici, i farmaci, gli psicofarmaci, avrebbero potuto risolvere. Come un guasto all’auto, come un pezzo da sostituire, come un errore, che non avrebbe dovuto esserci. Ma se nonostante tutto, nonostante i farmici, nonostante i consulti medici e le terapia, ti rendessi conto che sei ancora depresso? Cosa potresti fare a quel punto?

Johann Hari fa un inchiesta. Gira il mondo, parla con specialisti e gente comune; entra in contatto con realtà differenti, con mondi differenti. Ascolta le esperienze di persone provenienti da ogni angolo del pianeta; e scopre che persino una mucca può essere un “antidepressivo”.

“La fine del buio” non è un libro sovversivo, che si schiera contro la medicina occidentale. Nè Johann Hari è un complottaro, che denuncia le lobby farmaceutiche. Lui fa parte di quel mondo occidentale, e ha basato la sua visione del mondo su quella medicina. Ma ha imparato anche che a volte (molte volte) non è sufficiente un questionario, per fare una diagnosi; nè una manciata di pillole per guarire.