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A review by momotan
La banalità del male: Eichmann a Gerusalemme by Hannah Arendt
4.0
Il processo svoltosi a Gerusalemme nel 1961 ai danni di Eichmann, rapito dall'Argentina dove viveva sotto falso nome, per i crimini commessi contro il popolo ebraico durante il nazismo.
Abbiamo il resoconto del processo, dalla sua struttura alle accuse mosse, con ampie digressioni sulla situazione politica e geopolitica che avevano portato a questo punto.
Abbiamo la figura di Eichmann, al centro del processo e del libro e al centro di una sorta di autobiografia redatta dall'imputato stesso, una figura quasi paradossale che collabora ampiamente con i propri carcerieri raccontando la sua storia, la sua verità... ma una verità che spesso risulta errata, falsata, volontariamente o meno che sia.
Abbiamo un uomo che era chiaramente colpevole, ma che altrettanto chiaramente non era certo il vertice di tutte le sofferenze del popolo ebraico. Un uomo che più conosciamo per il tramite delle proprie dichiarazioni, più fa rabbrividire: non odiava gli ebrei, non aveva niente contro di loro e personalmente non aveva mai provocato dolore a qualcuno, fisicamente, in prima persona.
Era un burocrate, una persona mediocre finita in una struttura più grande di lui in grado di esaltarne le (poche?) qualità. Un ingranaggio del meccanismo nazista, ossequioso verso i superiori, ambizioso, invidioso dei successi altrui, leale alla figura del fuhrer (il cui pregio maggiore ai suoi occhi era quello di essere arrivato fino a lì pur partendo da una posizione bassissima, che rappresenta ciò che avrebbe voluto, più in piccolo, per sé stesso), pronto a incolpare gli altri e la sfortuna per ogni suo fallimento.
Un uomo che non riusciva a vedere il male che faceva, l'orrore delle proprie azioni quando organizzava i trasferimenti degli ebrei nei campi di concentramento. E questo pur ammettendo che non riusciva ad assistere a ciò che nei campi avveniva... riteneva anzi di agire per il loro bene, che visto che dovevano essere eliminati, la cosa più umana era eliminarli con efficienza e rapidità, senza prolungare inultimente le sofferenze.
La cosa tremenda che salta agli occhi, e che risalta nel titolo, è proprio la banalità del male, il fatto che non si tratti di un mostro, di un individuo chissà quanto sadico o malato o perverso. E' una persona normale, dipinta magari come un po' meno sveglia del dovuto, che si adegua all'imbarbarimento accettando tutto e adeguandosi, lavorando con solerzia per gli obbiettivi indicatogli dai capi. Al punto di criticare i suoi diretti superiori quando questi, vista la mala parata, cominciano a invertire la rotta per cercare di migliorare la propria condizione alla fine della guerra: come osavano interrompere le deportazioni ordinate dal fuhrer? Ai suoi occhi loro erano l'illegalità, lui rispondeva alla legge suprema tedesca di Hitler stesso, quindi era nel giusto a prescindere.
Ci sono poi svariati ragionamenti di ordine legale e di giurisprudenza internazionale su cosa sia stato giusto e cosa no in questo processo (il ratto, il luogo, la nazionalità dei giudici, la difesa, la spettacolarizzazione, i capi d'accusa, il concetto stesso di crimini contro l'umanità introdotto a Norimberga... tutto viene analizzato e vagliato).
Un libro non leggero, una lettura comunque che direi necessaria.
Interessante notare anche i capitoli dedicati al trattamento degli ebrei "da deportare" nelle varie nazioni europee: non avevo mai saputo dell'aperta ribellione danese che aveva destabilizzato le SS presenti sul posto quasi "convertendole", né dell'atto di sfida svedese (mentre stupisce meno il comportamento dell'europa orientale). E di certo non mi aspettavo le lodi all'Italia fascista, descritta come affatto antisemita e in grado di beffare a lungo i nazisti cedendo qualcosa (leggi razziali, deportazioni in campi italiani) ma sempre in modo "proforma", trovando cavilli per salvare la gente, evitando di applicare le norme, non dedicandoci minimamente attenzione.
Tutto mi sarei aspettato tranne queste lodi (o sapere che in costa azzurra si era sfruttato questo atteggiamento italiano per salvare gli ebrei francesi quando non avevano più dove fuggire, e lo stesso in altre zone sotto il controllo italiano).
Abbiamo il resoconto del processo, dalla sua struttura alle accuse mosse, con ampie digressioni sulla situazione politica e geopolitica che avevano portato a questo punto.
Abbiamo la figura di Eichmann, al centro del processo e del libro e al centro di una sorta di autobiografia redatta dall'imputato stesso, una figura quasi paradossale che collabora ampiamente con i propri carcerieri raccontando la sua storia, la sua verità... ma una verità che spesso risulta errata, falsata, volontariamente o meno che sia.
Abbiamo un uomo che era chiaramente colpevole, ma che altrettanto chiaramente non era certo il vertice di tutte le sofferenze del popolo ebraico. Un uomo che più conosciamo per il tramite delle proprie dichiarazioni, più fa rabbrividire: non odiava gli ebrei, non aveva niente contro di loro e personalmente non aveva mai provocato dolore a qualcuno, fisicamente, in prima persona.
Era un burocrate, una persona mediocre finita in una struttura più grande di lui in grado di esaltarne le (poche?) qualità. Un ingranaggio del meccanismo nazista, ossequioso verso i superiori, ambizioso, invidioso dei successi altrui, leale alla figura del fuhrer (il cui pregio maggiore ai suoi occhi era quello di essere arrivato fino a lì pur partendo da una posizione bassissima, che rappresenta ciò che avrebbe voluto, più in piccolo, per sé stesso), pronto a incolpare gli altri e la sfortuna per ogni suo fallimento.
Un uomo che non riusciva a vedere il male che faceva, l'orrore delle proprie azioni quando organizzava i trasferimenti degli ebrei nei campi di concentramento. E questo pur ammettendo che non riusciva ad assistere a ciò che nei campi avveniva... riteneva anzi di agire per il loro bene, che visto che dovevano essere eliminati, la cosa più umana era eliminarli con efficienza e rapidità, senza prolungare inultimente le sofferenze.
La cosa tremenda che salta agli occhi, e che risalta nel titolo, è proprio la banalità del male, il fatto che non si tratti di un mostro, di un individuo chissà quanto sadico o malato o perverso. E' una persona normale, dipinta magari come un po' meno sveglia del dovuto, che si adegua all'imbarbarimento accettando tutto e adeguandosi, lavorando con solerzia per gli obbiettivi indicatogli dai capi. Al punto di criticare i suoi diretti superiori quando questi, vista la mala parata, cominciano a invertire la rotta per cercare di migliorare la propria condizione alla fine della guerra: come osavano interrompere le deportazioni ordinate dal fuhrer? Ai suoi occhi loro erano l'illegalità, lui rispondeva alla legge suprema tedesca di Hitler stesso, quindi era nel giusto a prescindere.
Ci sono poi svariati ragionamenti di ordine legale e di giurisprudenza internazionale su cosa sia stato giusto e cosa no in questo processo (il ratto, il luogo, la nazionalità dei giudici, la difesa, la spettacolarizzazione, i capi d'accusa, il concetto stesso di crimini contro l'umanità introdotto a Norimberga... tutto viene analizzato e vagliato).
Un libro non leggero, una lettura comunque che direi necessaria.
Interessante notare anche i capitoli dedicati al trattamento degli ebrei "da deportare" nelle varie nazioni europee: non avevo mai saputo dell'aperta ribellione danese che aveva destabilizzato le SS presenti sul posto quasi "convertendole", né dell'atto di sfida svedese (mentre stupisce meno il comportamento dell'europa orientale). E di certo non mi aspettavo le lodi all'Italia fascista, descritta come affatto antisemita e in grado di beffare a lungo i nazisti cedendo qualcosa (leggi razziali, deportazioni in campi italiani) ma sempre in modo "proforma", trovando cavilli per salvare la gente, evitando di applicare le norme, non dedicandoci minimamente attenzione.
Tutto mi sarei aspettato tranne queste lodi (o sapere che in costa azzurra si era sfruttato questo atteggiamento italiano per salvare gli ebrei francesi quando non avevano più dove fuggire, e lo stesso in altre zone sotto il controllo italiano).