A review by giulidrago
Foe by J.M. Coetzee

1.0

Mascherato nei panni ingannevoli della riscrittura del famoso romanzo di Daniel Defoe, Foe non è altro che un asfissiante esercizio di stile che usa come pretesto l’esperienza di Robinson Crusoe, stavolta dal punto di vista di una donna, Susan Barton, per lanciarsi in una serie di elucubrazioni mentali sempre più astratte sul ruolo della narrativa e su che cosa sia una storia. In parole povere, un’occasione mancata su tutti gli aspetti.
Poche cose respingono un lettore quanto dover leggere un libro costruito palesemente per ostentare le proprie doti scrittorie e ottenere lodi per le proprie riflessioni sofisticate sul niente: Foe ne soffre terribilmente, e non solo non ha niente di valore da comunicare a chi lo sta leggendo, ma tenta con tutte le sue forze di convincerti del contrario e che tu non sia abbastanza colto da comprenderlo.
La storia viene ridotta all’osso con molti punti oscuri, lo stile è volutamente contorto, non spiacevole, anche se trabocca di pretenziosità fino allo sfinimento ed è appesantito dalle continue divagazioni deliranti di Susan che aumentano con il numero di pagine.
Coetzee avrà anche vinto un Premio Nobel, ma non è in grado di scrivere un personaggio femminile decente a costo di salvarsi la vita: la possibilità di sopperire e affrontare in maniera critica il problema della mancanza di donne presenti nella materia originale non deve essere stata presa in considerazione; è dolorosamente chiaro che dietro la voce narrante femminile che si interroga con dispiacere perché non ha mai sorpreso Cruso e Venerdì a spiarla mentre si faceva il bagno ci sia un autore maschio.
La decisione di porre Susan come protagonista ha perso ogni istanza rivoluzionaria dalla prima frase sessista pronunciata, e anche gli altri personaggi, sbattuti da una parte all’altra come marionette, destano non poche perplessità. Tutti i personaggi di Defoe subiscono trasformazioni non indifferenti in Foe, ma se Robinson mantiene intatta la sua identità di uomo bianco colonizzatore che vuole imporsi sul mondo a lui circostante, Venerdì viene rimodellato completamente da Coetzee, passando dall’essere un indigeno caraibico a uno schiavo proveniente dall’Africa che non può comunicare con gli altri per via della lingua mozzata. Con questo cambiamento di etnia il suo personaggio viene sradicato dalle fondamenta per crearne uno completamente nuovo, creando involontariamente un appiattimento dannoso e semplicistico che sembra indicare che non abbia importanza la provenienza e il background culturale di Venerdì, l’unico dettaglio importante della sua persona è la sua condizione di subalternità, come se non ci fosse differenza tra le due diverse esperienze. Se Coetzee ci teneva così tanto a inserire una rappresentazione del Sudafrica e degli orrori della tratta degli schiavi neri avrebbe fatto meglio a scrivere un personaggio ex novo al posto di smantellare Venerdì e renderlo qualcuno che non è.
Foe è impeccabile nella sua costruzione con una premessa interessante, ma risulta asettico, senz’anima, arido, ed è un peccato per un libro che in potenza poteva aver molto da dire.