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A review by iammmartina_
Anna Karenina by Leo Tolstoy
challenging
dark
emotional
funny
hopeful
inspiring
lighthearted
reflective
relaxing
sad
slow-paced
- Plot- or character-driven? Character
- Strong character development? Yes
- Loveable characters? It's complicated
- Diverse cast of characters? Yes
- Flaws of characters a main focus? Yes
5.0
“Le famiglie felici si somigliano tutte, le famiglie infelici lo sono ognuna a suo modo”
Questo romanzo di potrebbe definire come un ritratto analitico della società russa della seconda metà dell’800: tra sfarzo, noia, feste e balli in società, ipocrisia e ozio.
La figura della protagonista, Anna, emerge non solo come personaggio che partecipa alla storia narrata ma anche, e soprattutto, come metafora dell’amore e della trasformazione; infatti nonostante il libro porti il suo nome, lei fa la sua apparizione solo dopo molti capitoli, con la sua gioia e briosità (aggettivo utilizzato spesso per descriverla). All’inizio rappresenta la perfetta donna di società: spigliata, sempre allegra e contenta di portare allegria, dedita all’amore per il figlio e rispettosa nei confronti del marito; fino a che, in visita a Mosca dal fratello, conosce l’affascinante conte Vronskji con il quale instaurerà un profondo rapporto che la porterà via via alla sua sciagura. L’amore passionale di Anna e Vronskji può essere inizialmente accettato dall’ipocrisia del “bel mondo” dove era prassi avere degli amanti frivoli per scappare dal coniuge che si è sposato solo per convenienza, ma viene prontamente condannato quando Anna, contrapponendosi a quest’ideologia, decide di andare fino in fondo alla relazione con Vronskji, rinunciando a tutto per lui. Inizia così il suo allontanamento dall’alta società e di conseguenza la sua solitudine, le paranoie, le preoccupazioni che diventeranno via via ingombranti nella sua vita di tutti i giorni, fino al finale tragico, già anticipato da scene premonitrici che si ripetono (gli incubi di Anna riguardanti Karenin e Vronskj, entrambi Aleksej, e il luogo della stazione).
L’amore passionale sopra citato si contrapporrà in maniera evidente a quello “puro” e “angelico” di Levin e Kitty, che a differenza di Anna e Vronskji, avranno un lieto fine, intuibile fin dall’inizio.
Una seconda contrapposizione viene fatta tra le città di Mosca e San Pietroburgo, la prima rappresenta la vera essenza russa, la capitale meritocratica del Paese, la massima rappresentazione del popolo russo, mentre San Pietroburgo è la capitale di fatto, la città Europea che tende sempre di più all’Occidente mascherando la propria essenza russa (non per niente è a San Pietroburgo che è più diffuso l’uso del francese nei discorsi), la città della frivolezza e del bel mondo, la città degli zar.
Tolstoj mette in questo romanzo anche se stesso, utilizzando come allegoria il personaggio di Levin (porta difatti il suo nome), ovvero tutto ciò che l’autore voleva o avrebbe voluto rappresentare: un aristocratico ricco che nonostante il proprio status di nobile non capisce la propria classe sociale, ma si sente sempre più vicino al mondo rurale e povero della campagna, avvicinandosi sempre alla vita dei contadini. Grandi parentesi sono riservate a questi personaggio, risultando spesso invasive è quasi ripetitive o noiose; ad Anna e a Levin viene riservato quasi lo stesso spazio, nonostante il nome stampato in copertina sia quello di Anna.
Un libro che è un bel mattoncino di 900 pagine ma che vale la pena di leggere; capitoli corti che volano via uno dopo l’altro, nonostante le lunghe pause di riflessione dedicate a Levin, alla psicologia dei personaggi e alle descrizione meticolose è quasi maniacali dell’autore. Nonostante ci siano parti che potrebbero essere considerate “morte” in fin dei conti credo che siano comunque essenziali alla comprensione profonda dei personaggi e alle loro reciproche contrapposizioni (ognuno di loro ne rappresenta una diversa tipologia).
Un libro che respira l’eternità, che nonostante gli anni, risulta sempre attuale e calabile ai giorni nostri.
Ciò che mi ha lasciato quest’opera non si può descrivere a parole ma penso di sentirmi rappresentata dalla frase di Sergej Dovlatov (giornalista russo): “La peggiore sciagura della mia vita? La morte di Anna Karenina”
“Non potremo mai essere amici, e lo sapete. Potremo essere le due persone piú felici del mondo. O le piú infelici. A voi la scelta” (il conte Vronakji ad Anna Karenina)
Questo romanzo di potrebbe definire come un ritratto analitico della società russa della seconda metà dell’800: tra sfarzo, noia, feste e balli in società, ipocrisia e ozio.
La figura della protagonista, Anna, emerge non solo come personaggio che partecipa alla storia narrata ma anche, e soprattutto, come metafora dell’amore e della trasformazione; infatti nonostante il libro porti il suo nome, lei fa la sua apparizione solo dopo molti capitoli, con la sua gioia e briosità (aggettivo utilizzato spesso per descriverla). All’inizio rappresenta la perfetta donna di società: spigliata, sempre allegra e contenta di portare allegria, dedita all’amore per il figlio e rispettosa nei confronti del marito; fino a che, in visita a Mosca dal fratello, conosce l’affascinante conte Vronskji con il quale instaurerà un profondo rapporto che la porterà via via alla sua sciagura. L’amore passionale di Anna e Vronskji può essere inizialmente accettato dall’ipocrisia del “bel mondo” dove era prassi avere degli amanti frivoli per scappare dal coniuge che si è sposato solo per convenienza, ma viene prontamente condannato quando Anna, contrapponendosi a quest’ideologia, decide di andare fino in fondo alla relazione con Vronskji, rinunciando a tutto per lui. Inizia così il suo allontanamento dall’alta società e di conseguenza la sua solitudine, le paranoie, le preoccupazioni che diventeranno via via ingombranti nella sua vita di tutti i giorni, fino al finale tragico, già anticipato da scene premonitrici che si ripetono (gli incubi di Anna riguardanti Karenin e Vronskj, entrambi Aleksej, e il luogo della stazione).
L’amore passionale sopra citato si contrapporrà in maniera evidente a quello “puro” e “angelico” di Levin e Kitty, che a differenza di Anna e Vronskji, avranno un lieto fine, intuibile fin dall’inizio.
Una seconda contrapposizione viene fatta tra le città di Mosca e San Pietroburgo, la prima rappresenta la vera essenza russa, la capitale meritocratica del Paese, la massima rappresentazione del popolo russo, mentre San Pietroburgo è la capitale di fatto, la città Europea che tende sempre di più all’Occidente mascherando la propria essenza russa (non per niente è a San Pietroburgo che è più diffuso l’uso del francese nei discorsi), la città della frivolezza e del bel mondo, la città degli zar.
Tolstoj mette in questo romanzo anche se stesso, utilizzando come allegoria il personaggio di Levin (porta difatti il suo nome), ovvero tutto ciò che l’autore voleva o avrebbe voluto rappresentare: un aristocratico ricco che nonostante il proprio status di nobile non capisce la propria classe sociale, ma si sente sempre più vicino al mondo rurale e povero della campagna, avvicinandosi sempre alla vita dei contadini. Grandi parentesi sono riservate a questi personaggio, risultando spesso invasive è quasi ripetitive o noiose; ad Anna e a Levin viene riservato quasi lo stesso spazio, nonostante il nome stampato in copertina sia quello di Anna.
Un libro che è un bel mattoncino di 900 pagine ma che vale la pena di leggere; capitoli corti che volano via uno dopo l’altro, nonostante le lunghe pause di riflessione dedicate a Levin, alla psicologia dei personaggi e alle descrizione meticolose è quasi maniacali dell’autore. Nonostante ci siano parti che potrebbero essere considerate “morte” in fin dei conti credo che siano comunque essenziali alla comprensione profonda dei personaggi e alle loro reciproche contrapposizioni (ognuno di loro ne rappresenta una diversa tipologia).
Un libro che respira l’eternità, che nonostante gli anni, risulta sempre attuale e calabile ai giorni nostri.
Ciò che mi ha lasciato quest’opera non si può descrivere a parole ma penso di sentirmi rappresentata dalla frase di Sergej Dovlatov (giornalista russo): “La peggiore sciagura della mia vita? La morte di Anna Karenina”
“Non potremo mai essere amici, e lo sapete. Potremo essere le due persone piú felici del mondo. O le piú infelici. A voi la scelta” (il conte Vronakji ad Anna Karenina)
Graphic: Suicidal thoughts, Suicide, and Suicide attempt