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Giù nella valle by Paolo Cognetti
3.0

Sono tra le file di coloro che adorano Cognetti. Lo conobbi per caso grazie alla lettura de "Il ragazzo selvatico", per me a oggi il suo titolo più bello, e da lì iniziò il viaggio alla scoperta degli altri suoi libri, del documentario "Il Grande Nord" e del film "Le otto montagne".

In merito a "Giù nella valle" ho letto sui social persone dire che "Le otto montagne" era tutta un'altra cosa. È vero, ma non servono paragoni, in questo caso si torna più alla "Felicità del lupo", ma in modo diverso.

Lo ammetto senza problemi, l'inizio di "Giù nella valle" mi ha fatto pensare "ahi, che delusione". Ho continuato la lettura disillusa e un po' infastidita, e forse è lì che a un certo punto è scattato qualcosa, quando non mi aspettavo più nulla ho ritrovato ciò che cercavo. Tanti piccoli tasselli che pian piano sono andati silenziosamente al loro posto, un puzzle incorniciato dall'epilogo, nel quale tante cose è come fossero state illuminate finalmente da un sole tiepido.

L'ho sempre detto, Cognetti tocca livelli altissimi quando parla di Stati Uniti e di montagna, tranne forse le donne che la abitano, native o "foreste" che siano. Le sue donne le trovo sempre figurine inanimate, utili solo "per fare l'amore" e poco più, è una cosa che notai anche ai tempi del tanto acclamato "Sofia si veste sempre di nero", ma lo stesso lo vedo in Mauro Corona, forse è una cosa da montanari. Ma va bene, l'artista deve scrivere, sperimentare, essere lasciato libero, avere le sue ombre per farci notare ancora di più la luce delle sue stelle.