A review by cartoline
Finché il caffè è caldo by Toshikazu Kawaguchi

2.0

Un libro avvolto da una filosofia spicciola, che finisce per essere freddo a causa di una scrittura troppo semplice ed impersonale. Certo, potrebbe essere colpa della traduzione, tuttavia il problema di questo romanzo non è solamente lo stile.

Prima di tutto, i personaggi sono pedine e agiscono in modo innaturale.

(Ora farò un esempio, senza troppi spoiler, ma se volete iniziarlo non sapendo nulla allora vi consiglio di saltare questa parentesi.

In uno dei capitoli, i proprietari del locale in cui è ambientata la vicenda vedono una ragazza seduta su una determinata sedia e capiscono che arriva dal futuro. La ragazza in questione vuole farsi una foto con Kei, la moglie del proprietario ma quest’ultima non la conosce. Ora, Kei avrà dei dubbi sull’identità di questa ragazza che è tornata nel passato unicamente per vederla e farsi una foto insieme, no?
Ovviamente no, perché “Kei non è mai sospettosa verso gli estranei”. Questa giustificazione mi sembra ridicola, credo che chiunque si farebbe due domande prima di accettare di fare una foto con una sconosciuta. Però la nostra cara Kei accetta felicemente e non le importa sapere chi sia la ragazza. O perlomeno, le sorgono delle domande dopo che la foto è stata scattata e che la ragazza si è già dileguata.
Tutto ciò perché l’autore ci svelerà il grande mistero in un altro capitolo, con un “colpo di scena” che ho trovato piuttosto prevedibile.)

I viaggi nel tempo, inoltre, non hanno un senso logico. C’è da dire che servono solo da espediente narrativo ma, dal momento in cui l’autore insiste nel ripetere le varie regole per tornare indietro nel passato almeno una dozzina di volte, mi sarei aspettata più precisione. Invece, ci sono tante cose che non sono chiare. Per esempio, se una persona viaggia nel passato e giunge in un momento in cui era già presente, coesiste con la sé stessa del passato? Non ci viene data una spiegazione perché è tutto molto accennato, anche se l’autore crea mille regole che spuntano a caso per far procedere la trama come vuole lui.

L’elemento che ha reso questo libro quasi insopportabile è stata la strumentalizzazione del dolore e del lutto. Sembra che basti aggiungere dei traumi ad un personaggio per renderlo interessante o farlo evolvere. Peccato che non sia così.
Durante la lettura avevo l’impressione che l’autore volesse farmi piangere e ci stesse provando a tutti i costi. Forse sono cinica io ma mi ha solo infastidita.

Mi dispiace esser stata così dura, perché non è un libro orribile, è solo terribilmente mediocre.
Per me, l’idea iniziale, che era abbastanza carina, è stata sprecata e il risultato mi ha convinta pochissimo. È uno di quei romanzi che vorrei fossero riscritti da qualcun altr*, perché sarebbe potuto essere nettamente migliore di così.