ludovicaciasullo 's review for:

3.0

Il nome della protagonista compare una volta sola in tutto il libro, e questo dettaglio per me rappresenta bene il fatto che noi la nostra voce narrante non la conosciamo granché. La intravediamo e basta, è una narratrice inafferrabile, più che inaffidabile.

Il libro è la storia, in prima persona, di una donna che ci racconta la sua infanzia e la sua adolescenza: una madre che giganteggia su di lei, un fratello che appare e scompare, amiche che vanno e vengono, un paio di "amorazzi". La sua non è una formazione come tante altre, perché la nostra protagonista è povera. Per me il libro parla di questo, di come non avere le cose cambia completamente il tuo modo di stare al mondo, la tua postura, la tua relazione anche fisica con gli oggetti, figurarsi con le persone. C'è una bambina che non ha nulla di davvero suo, e che tramite questa lente guarda tutto: prima è una ragazza che cerca di prendersi quello che merita, poi diventa una giovane donna che si rassegna al fatto che non può avere nulla, e smette di provarci. Da ragazzina sottrae con furia violenta la racchetta del suo compagno di classe che le ha tolto la propria, e con la stessa gelida rabbia qualche anno dopo liquida la sua amica quando inizia a sospettare possa essere anche amica di qualcun'altro. Nella stessa ottica ho interpretato il suo rapporto con i libri. All'inizio non ne possiede nessuno, legge solo quelli della biblioteca con fare quasi religioso. La madre le impone di leggere come alcuni di noi sono stati obbligati ad andare a messa, eppure la protagonista continua ad andare in biblioteca e a leggere anche quando sfugge al controllo materno, nel tempo libero (si porta L'Idiota in spiaggia con gli amici, lega con Iris proprio parlando dei loro personaggi preferiti). Lo fa di sua spontanea volontà, eppure sempre vagamente controvoglia, come si approccerebbe un "compito" (più volte parla del momento in cui avrà finalmente "letto tutti i libri"). Mi pare che ami i libri solo per quello che crede rappresentino, cioè una strada fuori dalla miseria, magari fuori dalla provincia, e la passione per le storie sia una specie di effetto collaterale. I pochi libri davvero suoi, quelli che ha letto e studiato durante l'università, se li lascia alle spalle di nascosto dalla madre, assieme alla speranza che siano in grado di traghettarla altrove. Insomma, quasi tutto quello che la protagonista ci dice di sé credo possa essere interpretato nell'ottica di questa tensione: non avere, prendersi, rivendicare, strappare, custodire.

In questo, l'autrice fa un lavoro davvero eccezionale. Il problema, secondo me, è che tutto il resto viene curato meno, non approfondito, e questo mi ha lasciata un po' insoddisfatta. Avevo letto una serie di paragoni con la Ferrante che mi hanno prima esaltata, e poi, dopo qualche pagina, delusa, dato che il paragone mi è presto sembrato fuori luogo: è vero che Ferrante, come Caminito, ci presenta personagge sgradevoli, parla di amicizia femminile e di povertà, ma nell'approfondimento di questi caratteri è molto più spietata, più precisa, affonda nelle storie che racconta e scoperchia molta ricchezza e complessità. Questo romanzo è ben più scarno, si concentra su poche emozioni e poche dinamiche, e leggendo ero piuttosto frustrata dal fatto che tanti altri pezzi che sarebbe stato bello guardare erano ignorati.

Per esempio: la scena in cui Mariano vuole andare a Genova per il G8 e quella in cui dice alla madre di non voler votare a Natale sono praticamente identiche in quanto a "funzione narrativa", la seconda non ci dice molto di più di questa famiglia né della protagonista, mi sembra un'occasione sprecata di farci approfondire il rapporto fra fratelli. Lui è un modello per lei? Gli vuole bene, ma non si apre con lui, perché? Troppe cose che sarebbe stato bello sviscerare e invece sono lasciate lì in favore di questa scena con la busta di pandoro che esplode, che mi è parsa inutilmente teatrale. Così come ci sono tante emozioni "sprecate", così tanti personaggi "monchi": il padre, i gemelli, tutta la sua cerchia di amici, chi sono, che ci fanno lì?

Mi sembra insomma che sia un libro con un focus molto ristretto: l'unico personaggio davvero approfondito è la protagonista, e anche lei resta sempre vagamente impenetrabile, il che mi ha lasciata in più occasioni frustrata.

Per esempio, nella descrizione del rapporto della protagonista con il sesso abbiamo un sacco di informazioni che sembrano contrastare e non vengono mai ricondotte a unità. Da una parte il fatto che alle medie Carlotta sia disinibita la disturba, la mette a disagio; dall'altra però fin da bambina è consapevole della vita sessuale dei suoi genitori, e mostra una certa precocità nella comprensione dell'intimità e delle sue forme, che diventa poi nella prima adolescenza solo repulsione. All'inizio del liceo ci viene detto che va a letto col suo fidanzato, e la cosa non viene minimamente affrontata (c'è una breve discussione su come non le piaccia, su come non ci sia intimità, ma nient'altro): come è passata dalla repulsione per quei corpi nudi sullo schermo di Carlotta alla decisione di relazionarsi con il corpo nudo di quel ragazzo? Non sembra che lui l'abbia in alcun modo forzata, eppure mi sembra una bella differenza rispetto anche solo all'estate prima che l'autrice non sente di doverci non dico spiegare, ma almeno vagamente farci intravedere.

Questo, come altri argomenti, personaggi, dinamiche, fanno parte dello sfondo ma non vengono approfonditi, come se il libro volesse parlare d'altro. La povertà, il desiderio di uscirne, la frustrazione per non esserci riuscita, mi sembrano gli unici temi davvero portanti e davvero sviscerati.

Eppure ci sarebbe tanto altro a cui guardare. Mariano mi sembra un personaggio estremamente interessante ma appare e scompare come una meteora. Anche la madre è davvero magnetica: vorresti proprio sederti con lei a incollare carta di giornale su pezzi di legno mentre ti racconta la sua vita, e invece anche lei mi sembra abbia troppo poco spazio.

Per quanto riguarda lo stile, mi ha lasciata un po' tiepida. Non mi è piaciuto che le connessioni venissero tessute e poi esplicitamente indicate. Per esempio, ancora in quella scena natalizia, l'autrice fa esplicito il collegamento fra la busta del pandoro e il suicidio di Carlotta, quando, a mio parere, sarebbe stato meglio evitare e lasciare a ciascuno la possibilità di trarre e proprie analogie: è come se l'autrice fosse un mago che contestualmente al gioco di magia ti spiega il trucco.

Similmente, penso che il suo stile di scrittura abbia lo stesso effetto: così incentrato su lunghi elenchi e frasi spezzate, insiste così tanto su questi artifici che manca di naturalezza, almeno dal mio punto di vista, e quindi è come se fosse un'insegna al neon che mi distrae dal paesaggio.

La mia impressione è che sarebbe potuto essere un gran bel romanzo se non avesse provato ad esserlo (e in questo mi ha ricordato Tre piani di Nevo). Avrei voluto che l'autrice mi avesse fatta entrare con un po' più di naturalezza in questa provincia che da inospitale diventa casa, che mi avesse fatto conoscere un po' meglio questa gioventù disorientata ma piena di slancio. Invece mi sono sentita come a una seduta di terapia da uno psicoterapeuta molto preparato ma un po' goffo, che vuole a tutti i costi collegare sul momento i pezzi di te che metti sul tavolo, e che continua a chiederti di tuo padre anche se stai parlando di tutt'altro.

I libri hanno di certo una qualità che fa per me, sono inermi, e come materia inerte subiscono.