A review by primix
Vento & Flipper by Antonietta Pastore, Haruki Murakami

3.0

Allora, premessa: sono d'accordo con chi dice che per fare un'analisi più completa di questi due racconti serva una conoscenza più approfondita di Murakami. Io ho letto solo Norwegian Wood, ma già solo quello mi ha aiutata a capire meglio alcune dinamiche.
Leggere questo libro fa un effetto strano perché è come guardare qualcosa di non ancora del tutto formato, in divenire.

Nel primo racconto ci sono alcuni dei temi che ritorneranno in Murakami maturo: il suicidio (che ritroviamo anche in Norwegian Wood e nel secondo racconto), la solitudine, il rapporto con l'universo femminile, l'importanza della musica. Tuttavia si fa fatica a mettere insieme i pezzi. La prosa di Murakami non è mai lineare, nemmeno successivamente, procede a balzi e saltelli, un po' qui e un po' lì, condito da metafore da interpretare, ci dà varie informazioni che il lettore deve ricostruire in un percorso che a volte somiglia più a un flusso di coscienza che a una narrazione di una storia. Però in questo primo racconto c'è qualcosa che stride, come se i vari spezzoni non si incastrassero bene insieme, come se ci fosse attrito tra loro e ciascuno faticasse a trovare il proprio posto in un quadro più grande. Con Murakami siamo abituati alla surrealità ma qui c'è proprio qualcosa che non funziona come dovrebbe.

Il secondo mi sembra già più coeso. Ritroviamo lo stesso protagonista, a distanza di qualche anno. I pensieri sono sempre i suoi, la voce narrante è sempre la sua, ma il tutto scorre decisamente meglio. Ora ha finito l'università, ha un lavoro dove guadagna bene, si è inserito nella società. Parallelamente alle vicende del narratore ci sono quelle del Sorcio che, al contrario, è ancora alla ricerca di un suo posto nel mondo. Sono però entrambi accomunati da un senso di insoddisfazione, di perdita, che li lega al passato, al quale guardano con immensa nostalgia e che nessuno dei due sembra capace di lasciare andare. Un romanzo parzialmente autobiografico sulla difficoltà di diventare grandi e di accettare che le cose passate sono ormai perse, a prescindere da ciò che si desidera e da quanto si possa tentare di farle rivivere, proprio come il vecchio flipper che dà il titolo al racconto.