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lettore_sopravvalutato 's review for:
La rinascita di Shen Tai
by Guy Gavriel Kay
Condividere lo stesso cielo
" Un uomo doveva fare tutto quello che poteva per plasmare la propria pace, prima di passare alla notte lasciandosi il mondo alle spalle, il destino di tutti gli uomini, per essere dimenticato o ricordato, secondo quanto avrebbero decretato il tempo e l'amore."
"Il modo in cui ricordiamo cambia il modo in cui abbiamo vissuto. Il tempo scorre in entrambi i sensi. Facciamo storie delle nostre vite."
Guy Gavriel Kay è il classico scrittore che il tempo e il sistematico martellamento dei soliti noti nell'empireo delle librerie (Troisi, Brooks, Rowling, Tolkien, Martin, Ende) hanno lentamente coperto sotto una coltre di polvere. Cifra stilistica de La rinascita di Shen Tai, e più in generale di tutta la sua produzione portata in Italia tra gli anni '80 e '90, risulta il taglio introspettivo e profondamente poetico che ammanta la prosa e tutti i personaggi chiamati a danzare sotto i Nove Cieli dell'imperatore Taizu, in Cina, al tempo della Dinastia Tang.
Ed è proprio il worldbuilding, atipico e poco proposto all'interno del genere, a calamitare inesorabilmente l'attenzione del lettore. L'approfondimento certosino e minuzioso del contesto storico, indubbiamente un pregio per l'economia narrativa del romanzo, può paradossalmente configurarsi come difetto, se si considera l'effettiva utilità del sovrannaturale - la componente fantastica - innestata nel tessuto narrativo: i lettori puristi potrebbero rischiare di ritrovarsi tra le mani un romanzo quasi ascrivibile alla categoria "storici".
Assodato che il taglio corale non risulti completamente riuscito per alcune mancanze - la sottotrama di Li-Mei, importante nell'arco centrale e poi ripescata un po' così al termine; la clamorosa assenza della Principessa di Giada Cheng-Wan (donatrice dei cavalli sardiani) - nonché una certa frettolosità ravvisabile tra capitolo finale ed epilogo, la storia di Kay è un vivido caleidoscopio di esistenze che si avvicendano durante l'incedere del tempo; il più delle volte soffocate da rimorsi per scelte effettuate o costrette a indossare una maschera per sopravvivere all'interno di una società che non fa sconti né concede seconde possibilità.
I momenti di riscatto, non per forza veicolati dall'onnipresente senso dell'onore che detta regole e protocolli all'interno del Kitai, sono bivi che portano a decisioni capaci di elevare l'uomo rispetto al proprio passato; a diventare finanche un esempio al cospetto della storia.
In questa valorizzazione dell'individuo, responsabilizzato negli ideali propugnati e le azioni perseguite, risiede la bellezza di un romanzo come La rinascita di Shen Tai.
" Un uomo doveva fare tutto quello che poteva per plasmare la propria pace, prima di passare alla notte lasciandosi il mondo alle spalle, il destino di tutti gli uomini, per essere dimenticato o ricordato, secondo quanto avrebbero decretato il tempo e l'amore."
"Il modo in cui ricordiamo cambia il modo in cui abbiamo vissuto. Il tempo scorre in entrambi i sensi. Facciamo storie delle nostre vite."
Guy Gavriel Kay è il classico scrittore che il tempo e il sistematico martellamento dei soliti noti nell'empireo delle librerie (Troisi, Brooks, Rowling, Tolkien, Martin, Ende) hanno lentamente coperto sotto una coltre di polvere. Cifra stilistica de La rinascita di Shen Tai, e più in generale di tutta la sua produzione portata in Italia tra gli anni '80 e '90, risulta il taglio introspettivo e profondamente poetico che ammanta la prosa e tutti i personaggi chiamati a danzare sotto i Nove Cieli dell'imperatore Taizu, in Cina, al tempo della Dinastia Tang.
Ed è proprio il worldbuilding, atipico e poco proposto all'interno del genere, a calamitare inesorabilmente l'attenzione del lettore. L'approfondimento certosino e minuzioso del contesto storico, indubbiamente un pregio per l'economia narrativa del romanzo, può paradossalmente configurarsi come difetto, se si considera l'effettiva utilità del sovrannaturale - la componente fantastica - innestata nel tessuto narrativo: i lettori puristi potrebbero rischiare di ritrovarsi tra le mani un romanzo quasi ascrivibile alla categoria "storici".
Assodato che il taglio corale non risulti completamente riuscito per alcune mancanze - la sottotrama di Li-Mei, importante nell'arco centrale e poi ripescata un po' così al termine; la clamorosa assenza della Principessa di Giada Cheng-Wan (donatrice dei cavalli sardiani) - nonché una certa frettolosità ravvisabile tra capitolo finale ed epilogo, la storia di Kay è un vivido caleidoscopio di esistenze che si avvicendano durante l'incedere del tempo; il più delle volte soffocate da rimorsi per scelte effettuate o costrette a indossare una maschera per sopravvivere all'interno di una società che non fa sconti né concede seconde possibilità.
I momenti di riscatto, non per forza veicolati dall'onnipresente senso dell'onore che detta regole e protocolli all'interno del Kitai, sono bivi che portano a decisioni capaci di elevare l'uomo rispetto al proprio passato; a diventare finanche un esempio al cospetto della storia.
In questa valorizzazione dell'individuo, responsabilizzato negli ideali propugnati e le azioni perseguite, risiede la bellezza di un romanzo come La rinascita di Shen Tai.