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blackjessamine 's review for:

L'anno in cui imparai a raccontare storie by Alessandro Peroni, Lauren Wolk
3.0

Dunque, credo di dover mettere le mani avanti, prima di provare a mettere in fila qualche pensiero su questo romanzo: è un periodo in cui faccio davvero molta fatica a concentrarmi, e terminare un libro (qualsiasi libro, anche quelli che mi piacciono molto) è un’impresa titanica. Questo libro invece l’ho finito, e anche in tempi piuttosto brevi, per cui direi che già questo è da considerarsi un grande successo. E sicuramente l’ho letto partendo con lo stato d’animo sbagliato, perché ero prontissima a trovare ogni difetto e a usarlo come scusa per abbandonare l’ennesima lettura, quindi le mie opinioni potrebbero essere falsate da un picco di criticità immotivata.
Il libro, nel suo complesso, mi è piaciuto: ho apprezzato i temi trattati e il modo in cui vengono trattati, partendo da una protagonista che ha dodici anni e si comporta davvero come una ragazzina di dodici anni, facendo errori e scivolando in ingenuità tipiche della sua età, e facendo le cose giuste nel modo in cui potrebbe farlo una ragazzina, senza strafare, e con una coerenza davvero molto apprezzabile. Eppure, qualcosa non mi ha del tutto convinta: non tanto perché la storia sia poco credibile, ma perché non l’ho trovata genuina. Ho costantemente avuto l’impressione che il punto focale di questo libro fosse insegnare qualcosa, lanciare un messaggio, esprimere dei concetti e tramandarli a un pubblico giovane, e di per sé non c’è nulla di male in tutto questo. Ma, nel complesso, il focus su questo insegnamento da voler dare ha soffocato un po’ il senso della narrazione: ho trovato il romanzo molto frammentato, con un inizio che sembra voler andare in una direzione salvo poi cambiare del tutto strada senza che ci sia una vera e propria soluzione di continuità. In un certo senso, ho apprezzato la rapidissima escalation che porta da una bulletta a una vicenda complessissima, fatta di bugie e dolore, perché, fondamentalmente, è corretto dire che il bullismo è solo una forma di prevaricazione e di violenza, e che ridurlo solo all’ambito scolastico, a un problema “da ragazzini” è un modo di distogliere lo sguardo dal problema. Però, per quanto abbia amato visceralmente le vicende di Toby, trovo che la storia così abbia perso tutto il suo equilibrio: ad un certo punto, il romanzo si piega su sé stesso, e si trasforma nel racconto di che cosa significhi essere un veterano di guerra e aver o non aver fatto delle brutte cose, ma così ci si dimentica completamente di Betty. Betty che, nonostante tutto, dovrebbe restare il motore di tutta la narrazione, ma che improvvisamente diventa solo uno strumento privo di approfondimento e con motivazioni del tutto superficiali e inspiegabili.
Ho come avuto l’impressione che il romanzo sia un po’ un’occasione sprecata, perché se solo ci fosse stata più organicità e più voglia di approfondire anche le vicende di Betty, ne sarebbe potuta nascere una storia molto più incisiva.

Resta pur sempre innegabile il fatto che non mi sarei mai aspettata un finale tanto coraggioso e onesto, e ho apprezzato molto che questa scelta sia stata fatta anche per un libro rivolto a un pubblico tanto giovane (per quanto resti convinta che le vicende di Toby siano rimaste un po’ troppo criptiche, per il target di riferimento).