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A review by misty_h
Oblomov by Ivan Goncharov
5.0
Una volta superato lo scoglio delle 100/200 pagine il romanzo decolla e diventa più scorrevole e più godibile.
È difficilissimo non simpatizzare con Oblomov, o non essersi sentito come lui almeno una volta nella vita. E questo è ciò che apprezzo di più della letteratura russa: nonostante i romanzi appartengano ad un'epoca così lontana, i personaggi riescono a non invecchiare e, per quanto sgradevoli, è impossibile non riconoscersi nell'ambiguità che li caratterizza.
Oblomov è un proprietario terriero che trascorre le sue giornate a poltrire dentro casa, rimandando continuamente al domani ciò che potrebbe fare oggi e curandosi poco dei suoi affari e della situazione disastrata in cui versa la sua tenuta. Nonostante questo ritratto estremamente negativo, Oblomov è ben lontano dall'essere un personaggio bidimensionale: la sua personalità non è altro che il risultato di un'infanzia troppo privilegiata e il suo rifiuto di mischiarsi in una società che ritiene focalizzata su sciocchezze, convenzioni soffocanti e finta gentilezza ha perfettamente senso.
Mentre Oblomov lo scopo della vita non lo ha ancora trovato, si confronta con il suo migliore amico Stoltz, il cui obiettivo è il lavoro, l'accumulo di capitali e la scoperta del mondo. I due amici rappresentano due facce della stessa medaglia: da un lato l'uomo "vecchio", che non riesce a comprendere e ad adeguarsi alle nuove regole della società, e dall'altro l'uomo "nuovo", che ha fatto suoi i nuovi ideali della nascente società capitalista e li persegue con smania quasi religiosa. È inevitabile non amare Stoltz, che cerca di tirar fuori Oblomov dalla sua accidia, pur rappresentando anche lui un tipo d'uomo che racchiude in sé molteplici contraddizioni.
Il finale, con quella che sembra essere proprio un cameo dello stesso autore del romanzo, è davvero commovente. Nonostante la mole, è uno di quei libri che consiglierei a chiunque di leggere o che, dal mio punto di vista, andrebbe letto almeno una volta nella vita.
È difficilissimo non simpatizzare con Oblomov, o non essersi sentito come lui almeno una volta nella vita. E questo è ciò che apprezzo di più della letteratura russa: nonostante i romanzi appartengano ad un'epoca così lontana, i personaggi riescono a non invecchiare e, per quanto sgradevoli, è impossibile non riconoscersi nell'ambiguità che li caratterizza.
Oblomov è un proprietario terriero che trascorre le sue giornate a poltrire dentro casa, rimandando continuamente al domani ciò che potrebbe fare oggi e curandosi poco dei suoi affari e della situazione disastrata in cui versa la sua tenuta. Nonostante questo ritratto estremamente negativo, Oblomov è ben lontano dall'essere un personaggio bidimensionale: la sua personalità non è altro che il risultato di un'infanzia troppo privilegiata e il suo rifiuto di mischiarsi in una società che ritiene focalizzata su sciocchezze, convenzioni soffocanti e finta gentilezza ha perfettamente senso.
Mentre Oblomov lo scopo della vita non lo ha ancora trovato, si confronta con il suo migliore amico Stoltz, il cui obiettivo è il lavoro, l'accumulo di capitali e la scoperta del mondo. I due amici rappresentano due facce della stessa medaglia: da un lato l'uomo "vecchio", che non riesce a comprendere e ad adeguarsi alle nuove regole della società, e dall'altro l'uomo "nuovo", che ha fatto suoi i nuovi ideali della nascente società capitalista e li persegue con smania quasi religiosa. È inevitabile non amare Stoltz, che cerca di tirar fuori Oblomov dalla sua accidia, pur rappresentando anche lui un tipo d'uomo che racchiude in sé molteplici contraddizioni.
Il finale, con quella che sembra essere proprio un cameo dello stesso autore del romanzo, è davvero commovente. Nonostante la mole, è uno di quei libri che consiglierei a chiunque di leggere o che, dal mio punto di vista, andrebbe letto almeno una volta nella vita.