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A review by lilirose
Via da Gormenghast by Mervyn Peake
adventurous
dark
medium-paced
- Plot- or character-driven? A mix
- Strong character development? Yes
- Loveable characters? No
- Diverse cast of characters? No
- Flaws of characters a main focus? Yes
3.5
Ultimo volume della trilogia di Gormenghast (non per scelta ma per il deteriorarsi delle condizioni di salute dell'autore), che riprende esattamente da dove ci eravamo fermati: col giovane Tito che scappa dal regno e dai suoi doveri in cerca di qualcosa che neanche lui sa definire.
Devo ammettere che ero scettica, Gormenghast è una presenza così preponderante negli altri libri che temevo se ne avvertisse troppo la mancanza; per fortuna Peake è stato abilissimo nel giocare con questa mancanza in modo da renderla viva e palpabile: "l'assenza" di Gormenghast diventa uno dei temi portanti del romanzo, con Tito che si strugge di nostalgia e al tempo stesso comincia a dubitare della veridicità dei suoi ricordi. Quello del protagonista in fondo è un viaggio più simbolico che reale, durante il quale tramite il classico meccanismo di caduta e risalita non troverà risposte ma se stesso. Niente paura però, il focus stavolta potrà essere più introspettivo ma non rimarremo mai a corto di luoghi immaginifici e personaggi grotteschi, che si muovono su quella linea sottile al confine tra il grandioso ed il patetico tanto cara all'autore.
Proprio per la sovrabbondanza di ambienti e persone l'inizio può risultare frammentario e ci vorrà un po' prima di entrare nel vivo, ma saremo ripagati da un'ultima parte molto intensa in cui tutti i nodi verranno al pettine.
Tirando le somme forse qui non troveremo il fascino descrittivo del primo volume (ma per fortuna neanche quella prosa iperbarocca) o la potenza narrativa del secondo che è inarrivabile, ma la considero una conclusione più che degna per una trilogia che è riuscita a fare dell'originalità il suo punto di forza.
Devo ammettere che ero scettica, Gormenghast è una presenza così preponderante negli altri libri che temevo se ne avvertisse troppo la mancanza; per fortuna Peake è stato abilissimo nel giocare con questa mancanza in modo da renderla viva e palpabile: "l'assenza" di Gormenghast diventa uno dei temi portanti del romanzo, con Tito che si strugge di nostalgia e al tempo stesso comincia a dubitare della veridicità dei suoi ricordi. Quello del protagonista in fondo è un viaggio più simbolico che reale, durante il quale tramite il classico meccanismo di caduta e risalita non troverà risposte ma se stesso. Niente paura però, il focus stavolta potrà essere più introspettivo ma non rimarremo mai a corto di luoghi immaginifici e personaggi grotteschi, che si muovono su quella linea sottile al confine tra il grandioso ed il patetico tanto cara all'autore.
Proprio per la sovrabbondanza di ambienti e persone l'inizio può risultare frammentario e ci vorrà un po' prima di entrare nel vivo, ma saremo ripagati da un'ultima parte molto intensa in cui tutti i nodi verranno al pettine.
Tirando le somme forse qui non troveremo il fascino descrittivo del primo volume (ma per fortuna neanche quella prosa iperbarocca) o la potenza narrativa del secondo che è inarrivabile, ma la considero una conclusione più che degna per una trilogia che è riuscita a fare dell'originalità il suo punto di forza.