A review by capodoglio
In acque profonde. Meditazione e creatività by David Lynch

3.0

Con piglio molto informale (a volte fin troppo per riuscire a carpirgli qualche segreto) David Lynch si racconta nel corso di 84 capitoli di una brevità al limite dell’aforisma, spaziando dall’autobiografia alla vocazione artistica, dalla pittura al cinema, dalla confessione personale all’aneddotica, con un montaggio vagamente cronologico e tipicamente lynchiano.

Molto spazio è accordato alla meditazione trascendentale, di cui Lynch è praticante entusiasta per i suoi benefici sulla vita quotidiana, e in particolare sulla creatività. La meditazione “ti accompagna in un oceano di coscienza pura, di ricettività pura. È familiare, però: quest’oceano sei tu. Immediatamente affiora una sensazione di felicità: un capolavoro, un’intensa felicità”. Ritorna costantemente nelle sue parole l’immagine dell’immersione nella coscienza pura — da cui anche il titolo del libro; una pratica che allarga la conoscenza del Sé di cui parlano anche le Upanishad, eliminando “ansie e paure”.
Interessante, per contro, che l’autore confessi di aver abbandonato senza remore una seduta psicanalitica appena iniziata, nel timore che la terapia danneggiasse la sua creatività. Significativa anche questa osservazione: “Adoro la logica dei sogni; mi piace appunto il modo in cui si svolgono. Raramente, però, ho preso spunto da essi”.

A prescindere dall’insight nella forma mentis del regista, più interessanti per gli appassionati risulteranno forse i capitoli più prettamente cinematografici: dai criteri per la scelta della colonna sonora o degli attori (“Incontrai casualmente Laura Dern per strada, scoprendo che era la mia nuova vicina di casa. Disse: «David, dobbiamo rimetterci a lavorare insieme». Le risposi: «Certamente»”) alla caparbietà con cui Lynch persegue l’ispirazione di idee e intuizioni non sempre razionali. Il libro è del 2006, quindi ci sono aneddoti anche sugli ultimi film. E il regista di culto si svela anzitutto grande cinefilo: scopre da testimoni diretti che il film preferito di Kubrick è Eraserhead; incontra fortuitamente, grazie a conoscenze comuni, Fellini in ospedale: “Non penso di avergli fatto molte domande. Lo ascoltai tantissimo e basta. Mi parlò dei vecchi tempi, di come andassero le cose. […] Era venerdì sera, la domenica entrò in coma e non si risvegliò più”.

Non è mancato chi ha fatto notare una vaga discrepanza tra il contenuto tormentato dei suoi film e il benessere e la serenità espressi da Lynch, che scrive: “Nelle storie, nei mondi che possiamo visitare, c’è dolore, confusione, oscurità, tensione e rabbia. […] Per mostrare la sofferenza, però, il regista non deve per forza soffrire. […] Lascia che a soffrire siano i tuoi personaggi”.

Una lettura veloce ed episodica, fruibile anche come un manuale da parte di praticanti o curiosi della meditazione, artisti alla ricerca della propria strada, cineasti… Gli altri potrebbero trovare fuori luogo il proselitismo, o piuttosto l'insistenza con cui è propinato; per quanto il sottotitolo del testo potrebbe essere “Meditazione trascendentale applicata al vissuto di David Lynch, da lui raccontato”.
Chi si aspettava segreti sul significato dei film dimostra di non aver capito nulla del “suo regista preferito”: un tipetto che ammette che il senso di Eraserhead gli è stato svelato casualmente da una frase della Bibbia che lui non ha alcuna intenzione di rivelare (so much for hypertextuality, per inciso, e per chi ritiene questo libro troppo semplicistico).