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Il lato oscuro delle storie: Come lo storytelling cementa le società e talvolta le distrugge
by Jonathan Gottschall
Mai fidarsi di uno che racconta storie
Sentiamo un gruppo di persone promuovere il terrapiattismo e pensiamo "che banda di ignoranti!". Ma è un po' più complicata di così. Questa idea - e cioè che per credere che la Terra sia piatta non è indispensabile essere degli zoticoni - mi girava in testa già da qualche tempo. In particolare, dal prendere atto che persone più colte di me o, almeno, con un curriculum di studi decisamente superiore al mio, negavano recisamente l'esistenza della crisi climatica.
Nel 2012 Jonathan Gottschall pubblicò L'istinto di narrare. Come le storie ci hanno reso umani, un libro per me davvero importante, che mi ha aiutato a capire l'importanza della narrazione in modo concreto e preciso. Il lato oscuro delle storie credo si possa definire una sorta di seconda puntata, però un po' inquietante.
Non c'è partita
Detta in sintesi: se persone più colte di me credono che il cambiamento climatico sia una fandonia, non è perché loro hanno ragione: sia chiaro, sarebbe bello avessero ragione loro, ma non è così. La spiegazione è che le storie che hanno coinvolto queste persone sono state forti, fortissime, invincibili.
Tra una buona storia e una spiegazione razionale non c'è partita, vince la prima. Viviamo Immersi nelle storie, per citare un terzo libro, scritto da Frank Rose.
Storie che possono sostenere valori, unità, anche diritti. Contro lo stigma verso l'AIDS ha fatto più Philadelphia, il film del 1993, o la divulgazione medico scientifica? Contro il razzismo hanno fatto di più Mississipi Burning, Radici o le conferenze? Si potrebbe dire che, contro il razzismo, molto hanno fatto anche le vite di Martin Luther King, Malcolm X, Rosa Parks e Nelson Mandela. Ma i racconti delle loro vite, non sono storie anche quelle?
Post verità
Gottschall spiega che la connessione tra la storia e la verità è ben poco influente, sul successo della storia. Le storie possono essere al servizio della battaglia contro le discriminazioni delle donne (che esistono davvero) o promuovere le rivendicazioni dei suprematisti bianchi (rivendicazioni che si basano su menzogne). Poco cambia, per il successo della storia, anzi: a decidere cos'è verita e cosa non lo è, sono le storie stesse.
Il momento è cruciale, perché i social network hanno amplificato la possibilità di costruire storie, il che potrebbe essere un bene ma non lo è perché la fruizione delle storie stesse è diventato qualcosa di individuale. Così, se un tempo le storie avevano la possibilità di costruire un sentire comune, adesso hanno l'effetto di costruire storie che lottano l'una contro l'altra.
Trump è bugiardo incallito pericolo per la democrazia oppure è un eroe che si schiera senza timore a difesa della democrazia stessa? Sono due narrazioni molto ben costruite e sarebbe davvero troppo semplice dire che alla prima credono le persone informate e dotate di buon senso, alla seconda degli sprovveduti disposti a sfasciare tutto. È un po' più complicata di così ma, in ogni caso, Facebook e simili non costruiscono ponti, li distruggono.
Libero arbitrio?
Le conclusioni di Gottschall non le riporto. Non c'è pericolo di fare spoiler, ma il libro propone un percorso che, secondo me, va seguito con ordine. Chiudo con un paio di cose che non mi hanno convinto del tutto.
Gottschall riporta alcuni studi secondo cui ciascuno di noi si comporta come si comporta in conseguenza ai propri geni e al condizionamento culturale. Lo spazio per fare delle scelte consapevoli, in altre parole, sarebbe estremamente ridotto. Il che non è del tutto un male: questa consapevolezza dovrebbe aiutarci a essere maggiormente indulgenti verso chi non la pensa come noi.
Può darsi, però è difficile pensare che chi sceglie di torturare o uccidere deliberatamente dei bambini lo faccia esclusivamente perché costretto dai geni o dal condizionamento culturale. Difficile pensare che non ci sia spazio per la scelta, quando ci si comporta in modo da far soffrire altre persone.
Certo, si potrebbe obiettare che pensiamo al torturare e all'uccidere bambini come cose orribili perché hanno vinto le narrazioni che le ritengono tali, quindi si torna al punto di partenza. Però, boh: mi piace pensare che scegliere di non fare del male sia una scelta possibile e che alle spalle di questa convizione ci sia un percorso storico che non va buttato a mare.
Che ce ne facciamo della cultura?
Gottschall mette in luce un problema del mondo accademico, a cui lui appartiene, e cioè il fatto che sia fortemente sbilanciato a sinistra. Nelle università e negli spazi della ricerca, la grande maggioranza delle persone è progressista. L'autore parla degli USA ma credo sia così anche in Europa.
Secondo lui è un problema: tra le persone non accademiche c'è molto più equilibrio, tra destra e sinistra, e questo fa sì che tra chi si schiera a destra ci sia sempre meno fiducia verso il mondo dell'istruzione superiore.
Mi pare però che Gottschall eviti di chiedersi perché siamo in questa situazione. Perché le persone che lavorano nelle università e nella ricerca sono di solito più progressiste che conservatrici? Non ho la risposta, sia chiaro, ma qualche idea la si potrebbe avere. Banalmente potrebbe essere perché storicamente le forze di sinistra hanno - almeno in Occidente - investito di più in cultura e istruzione superiore di quello che hanno fatto quelle di destra. Non lo so, ripeto, ma il dubbio rimane e Gottschall non lo affronta.
Grammatica universale
Le storie, in ogni tempo e in ogni angolo del mondo, rispondono ad almeno due criteri. Primo, parlano di persone in situazioni difficili che cercano di risolvere i propri problemi. Secondo, hanno una profonda dimensione morale. Ci saranno anche storie che sfuggono a questa grammatica universale e magari incantano pure i critici e i letterati, ma non fanno molta strada. È questo un dato interessante e, mi sembra, anche parecchio inquietante.
Sentiamo un gruppo di persone promuovere il terrapiattismo e pensiamo "che banda di ignoranti!". Ma è un po' più complicata di così. Questa idea - e cioè che per credere che la Terra sia piatta non è indispensabile essere degli zoticoni - mi girava in testa già da qualche tempo. In particolare, dal prendere atto che persone più colte di me o, almeno, con un curriculum di studi decisamente superiore al mio, negavano recisamente l'esistenza della crisi climatica.
Nel 2012 Jonathan Gottschall pubblicò L'istinto di narrare. Come le storie ci hanno reso umani, un libro per me davvero importante, che mi ha aiutato a capire l'importanza della narrazione in modo concreto e preciso. Il lato oscuro delle storie credo si possa definire una sorta di seconda puntata, però un po' inquietante.
Non c'è partita
Detta in sintesi: se persone più colte di me credono che il cambiamento climatico sia una fandonia, non è perché loro hanno ragione: sia chiaro, sarebbe bello avessero ragione loro, ma non è così. La spiegazione è che le storie che hanno coinvolto queste persone sono state forti, fortissime, invincibili.
Tra una buona storia e una spiegazione razionale non c'è partita, vince la prima. Viviamo Immersi nelle storie, per citare un terzo libro, scritto da Frank Rose.
Storie che possono sostenere valori, unità, anche diritti. Contro lo stigma verso l'AIDS ha fatto più Philadelphia, il film del 1993, o la divulgazione medico scientifica? Contro il razzismo hanno fatto di più Mississipi Burning, Radici o le conferenze? Si potrebbe dire che, contro il razzismo, molto hanno fatto anche le vite di Martin Luther King, Malcolm X, Rosa Parks e Nelson Mandela. Ma i racconti delle loro vite, non sono storie anche quelle?
Post verità
Gottschall spiega che la connessione tra la storia e la verità è ben poco influente, sul successo della storia. Le storie possono essere al servizio della battaglia contro le discriminazioni delle donne (che esistono davvero) o promuovere le rivendicazioni dei suprematisti bianchi (rivendicazioni che si basano su menzogne). Poco cambia, per il successo della storia, anzi: a decidere cos'è verita e cosa non lo è, sono le storie stesse.
Il momento è cruciale, perché i social network hanno amplificato la possibilità di costruire storie, il che potrebbe essere un bene ma non lo è perché la fruizione delle storie stesse è diventato qualcosa di individuale. Così, se un tempo le storie avevano la possibilità di costruire un sentire comune, adesso hanno l'effetto di costruire storie che lottano l'una contro l'altra.
Trump è bugiardo incallito pericolo per la democrazia oppure è un eroe che si schiera senza timore a difesa della democrazia stessa? Sono due narrazioni molto ben costruite e sarebbe davvero troppo semplice dire che alla prima credono le persone informate e dotate di buon senso, alla seconda degli sprovveduti disposti a sfasciare tutto. È un po' più complicata di così ma, in ogni caso, Facebook e simili non costruiscono ponti, li distruggono.
Libero arbitrio?
Le conclusioni di Gottschall non le riporto. Non c'è pericolo di fare spoiler, ma il libro propone un percorso che, secondo me, va seguito con ordine. Chiudo con un paio di cose che non mi hanno convinto del tutto.
Gottschall riporta alcuni studi secondo cui ciascuno di noi si comporta come si comporta in conseguenza ai propri geni e al condizionamento culturale. Lo spazio per fare delle scelte consapevoli, in altre parole, sarebbe estremamente ridotto. Il che non è del tutto un male: questa consapevolezza dovrebbe aiutarci a essere maggiormente indulgenti verso chi non la pensa come noi.
Può darsi, però è difficile pensare che chi sceglie di torturare o uccidere deliberatamente dei bambini lo faccia esclusivamente perché costretto dai geni o dal condizionamento culturale. Difficile pensare che non ci sia spazio per la scelta, quando ci si comporta in modo da far soffrire altre persone.
Certo, si potrebbe obiettare che pensiamo al torturare e all'uccidere bambini come cose orribili perché hanno vinto le narrazioni che le ritengono tali, quindi si torna al punto di partenza. Però, boh: mi piace pensare che scegliere di non fare del male sia una scelta possibile e che alle spalle di questa convizione ci sia un percorso storico che non va buttato a mare.
Che ce ne facciamo della cultura?
Gottschall mette in luce un problema del mondo accademico, a cui lui appartiene, e cioè il fatto che sia fortemente sbilanciato a sinistra. Nelle università e negli spazi della ricerca, la grande maggioranza delle persone è progressista. L'autore parla degli USA ma credo sia così anche in Europa.
Secondo lui è un problema: tra le persone non accademiche c'è molto più equilibrio, tra destra e sinistra, e questo fa sì che tra chi si schiera a destra ci sia sempre meno fiducia verso il mondo dell'istruzione superiore.
Mi pare però che Gottschall eviti di chiedersi perché siamo in questa situazione. Perché le persone che lavorano nelle università e nella ricerca sono di solito più progressiste che conservatrici? Non ho la risposta, sia chiaro, ma qualche idea la si potrebbe avere. Banalmente potrebbe essere perché storicamente le forze di sinistra hanno - almeno in Occidente - investito di più in cultura e istruzione superiore di quello che hanno fatto quelle di destra. Non lo so, ripeto, ma il dubbio rimane e Gottschall non lo affronta.
Grammatica universale
Le storie, in ogni tempo e in ogni angolo del mondo, rispondono ad almeno due criteri. Primo, parlano di persone in situazioni difficili che cercano di risolvere i propri problemi. Secondo, hanno una profonda dimensione morale. Ci saranno anche storie che sfuggono a questa grammatica universale e magari incantano pure i critici e i letterati, ma non fanno molta strada. È questo un dato interessante e, mi sembra, anche parecchio inquietante.