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A review by sara_fangirl98
La città di ottone by S.A. Chakraborty
5.0
Nahri non si è mai chiesta come facesse a vedere la malattia in un corpo apparentemente sano, a percepirla quasi, come fosse un parassita, pulsante, quasi nero, e vivo; non si è nemmeno mai chiesta come fosse possibile che fosse in grado di comprendere perfettamente qualunque lingua parlassero i suoi clienti superstiziosi, sempre pronti a farsi raggirare da un’astuta ladra che si fingeva una sensitiva in un quartiere come un altro del Cairo. Non si è mai curata davvero di queste cose, preferisce semplicemente lasciare che facciano parte di lei e che, in un modo o in un altro, la aiutino a sopravvivere e a permettersi almeno un pasto caldo al giorno.
Di certo non ha immaginato che una cerimonia di esorcismo come le altre l’avrebbe portata a evocare il Flagello di Qui-zi, né tantomeno che sarebbe scappata insieme a lui nel deserto africano, rincorsi da orde di ifrit assetati di sangue e altre creature che, fino a quel momento, Nahri aveva pensato esistessero solo nelle leggende popolari. La loro unica fonte di salvezza è Daevabad, una città completamente in ottone che sorge su un’isola in mezzo a un lago dalle acque lugubri e maledette. Ma lì saranno davvero al sicuro, in un luogo in cui si intrecciano trame losche, in cui la famiglia reale dei Qahtani nasconde segreti millenari, e in cui i pregiudizi e la fede religiosa stanno portando l’organizzazione sociale e politica già instabile a un crollo sempre più imminente?
"La Città di Ottone", scritto da S. A. Chakraborty, è uscito nelle librerie italiane nel 2017, edito Oscar Mondadori e tradotto da Lia Desotgiu.
Si tratta di un romanzo fantasy in cui sono presenti anche forti elementi distopici e soprattutto folkloristici, con continui riferirsi a miti e leggende persiane che fanno da colonna portante all’intero testo.
Le spiegazioni di questo tipo di storie sono perfettamente inserite nel romanzo, e non risultano troppo pesanti a chi legge: dopo un primo momento di disorientamento, la familiarità con nomi e denominazioni prende il sopravvento e la lettura sembra scorrere molto più facilmente. Sicuramente, ad aiutare sono anche i personaggi, che sono stati ben caratterizzati dall’autrice, specialmente i principali. Chi legge è in grado di entrare in sintonia con i protagonisti della scena e, grazie alle descrizioni dettagliate al punto giusto, riesce a immaginarsi nella storia, quasi a prendere parte agli avvenimenti narrati.
Nonostante però queste caratteristiche positive, la prima parte del romanzo scorre abbastanza lentamente: come ho detto, l’iniziale disorientamento è dato dalla scarsa conoscenza che chi legge può avere del folklore persiano, e quindi con la difficoltà nel tenere a mente tutti i nomi e le informazioni sciorinate nel corso dei capitoli. In questo caso, il glossario alla fine del testo è particolarmente utile, ma non per chi, come me, ha letto il romanzo in formato digitale, e probabilmente non era a conoscenza della presenza di questo strumento. Forse sarebbero state più comode delle note, in questo caso?
Comunque, superati i primi capitoli, dopo aver preso familiarità con nomi e personaggi, la storia sembra finalmente prendere il via e le pagine volano sotto i nostri occhi senza che siamo in grado di fermarci dal leggerle.
L’ultima parte del romanzo è stata quella che mi ha colpita maggiormente. Se nella prima si comprende che ciò che si sta leggendo è una introduzione al mondo della trilogia, arrivata alla fine ho avuto ben chiaro di trovarmi davanti a un punto di svolta nella trama, a un avvenimento che avrebbe cambiato tutto quello che avevo letto fino a quel momento. Chakraborty è stata in grado di tenermi sulle spine, con il fiato sospeso e il cuore in gola, per ben due giorni consecutivi, durante i quali ho stentato a staccare gli occhi dalle sue parole, che sembravano il più dolce miele per uno sciame d’api.
Ho apprezzato il fatto che la storia d’amore, seppur rilevante, non è ciò che conta in questa storia. A contare davvero è la politica, la strategia, la religione e il pregiudizio, e come tutte queste cose insieme possano portare una città fiorente come Daevabad dalla sua età dell’oro alla sua più totale distruzione. È un testo che non può non far pensare all’attuale situazione internazionale, in cui chi vive nella povertà viene mal vistә da chi invece nuota nelle sue ricchezze, in cui chi crede in un culto diverso dal proprio viene considerata una persona pericolosa, e in cui una donna, per poter essere libera, deve lottare con tutta se stessa contro una società altamente patriarcale che fa di tutto per metterla a tacere.
In conclusione, credo che questo sia un ottimo primo romanzo per una serie che si rivela terribilmente interessante. Se apprezzate i personaggi grigi, una storia davvero originale, e un pizzico di magia, allora sono i libri giusti per voi.
Di certo non ha immaginato che una cerimonia di esorcismo come le altre l’avrebbe portata a evocare il Flagello di Qui-zi, né tantomeno che sarebbe scappata insieme a lui nel deserto africano, rincorsi da orde di ifrit assetati di sangue e altre creature che, fino a quel momento, Nahri aveva pensato esistessero solo nelle leggende popolari. La loro unica fonte di salvezza è Daevabad, una città completamente in ottone che sorge su un’isola in mezzo a un lago dalle acque lugubri e maledette. Ma lì saranno davvero al sicuro, in un luogo in cui si intrecciano trame losche, in cui la famiglia reale dei Qahtani nasconde segreti millenari, e in cui i pregiudizi e la fede religiosa stanno portando l’organizzazione sociale e politica già instabile a un crollo sempre più imminente?
"La Città di Ottone", scritto da S. A. Chakraborty, è uscito nelle librerie italiane nel 2017, edito Oscar Mondadori e tradotto da Lia Desotgiu.
Si tratta di un romanzo fantasy in cui sono presenti anche forti elementi distopici e soprattutto folkloristici, con continui riferirsi a miti e leggende persiane che fanno da colonna portante all’intero testo.
Le spiegazioni di questo tipo di storie sono perfettamente inserite nel romanzo, e non risultano troppo pesanti a chi legge: dopo un primo momento di disorientamento, la familiarità con nomi e denominazioni prende il sopravvento e la lettura sembra scorrere molto più facilmente. Sicuramente, ad aiutare sono anche i personaggi, che sono stati ben caratterizzati dall’autrice, specialmente i principali. Chi legge è in grado di entrare in sintonia con i protagonisti della scena e, grazie alle descrizioni dettagliate al punto giusto, riesce a immaginarsi nella storia, quasi a prendere parte agli avvenimenti narrati.
Nonostante però queste caratteristiche positive, la prima parte del romanzo scorre abbastanza lentamente: come ho detto, l’iniziale disorientamento è dato dalla scarsa conoscenza che chi legge può avere del folklore persiano, e quindi con la difficoltà nel tenere a mente tutti i nomi e le informazioni sciorinate nel corso dei capitoli. In questo caso, il glossario alla fine del testo è particolarmente utile, ma non per chi, come me, ha letto il romanzo in formato digitale, e probabilmente non era a conoscenza della presenza di questo strumento. Forse sarebbero state più comode delle note, in questo caso?
Comunque, superati i primi capitoli, dopo aver preso familiarità con nomi e personaggi, la storia sembra finalmente prendere il via e le pagine volano sotto i nostri occhi senza che siamo in grado di fermarci dal leggerle.
L’ultima parte del romanzo è stata quella che mi ha colpita maggiormente. Se nella prima si comprende che ciò che si sta leggendo è una introduzione al mondo della trilogia, arrivata alla fine ho avuto ben chiaro di trovarmi davanti a un punto di svolta nella trama, a un avvenimento che avrebbe cambiato tutto quello che avevo letto fino a quel momento. Chakraborty è stata in grado di tenermi sulle spine, con il fiato sospeso e il cuore in gola, per ben due giorni consecutivi, durante i quali ho stentato a staccare gli occhi dalle sue parole, che sembravano il più dolce miele per uno sciame d’api.
Ho apprezzato il fatto che la storia d’amore, seppur rilevante, non è ciò che conta in questa storia. A contare davvero è la politica, la strategia, la religione e il pregiudizio, e come tutte queste cose insieme possano portare una città fiorente come Daevabad dalla sua età dell’oro alla sua più totale distruzione. È un testo che non può non far pensare all’attuale situazione internazionale, in cui chi vive nella povertà viene mal vistә da chi invece nuota nelle sue ricchezze, in cui chi crede in un culto diverso dal proprio viene considerata una persona pericolosa, e in cui una donna, per poter essere libera, deve lottare con tutta se stessa contro una società altamente patriarcale che fa di tutto per metterla a tacere.
In conclusione, credo che questo sia un ottimo primo romanzo per una serie che si rivela terribilmente interessante. Se apprezzate i personaggi grigi, una storia davvero originale, e un pizzico di magia, allora sono i libri giusti per voi.