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83 reviews for:

Ateşkes

Primo Levi

4.3 AVERAGE

medium-paced

Depsite the political and philosophical penumbra, I regard this account as a travel narrative. The baggage involved is ineffable. Despite Adorno, this works and it projects.

Seguito di Se questo è un uomo, La tregua vi si discosta molto nella natura e negli intenti: sono, in pratica, due libri completamente diversi.
Al racconto dei lunghi mesi che separano la liberazione di Auschwitz dal rientro a casa ha sicuramente giovato molto non solo la distanza temporale dagli eventi narrati, ma anche la ripetizione orale con cui Levi avrà, negli anni, perfezionato il racconto stesso: il risultato è una storia che, oltre a far giustamente riflettere, appassiona e - perché no? - diverte (io ho inaspettatamente riso diverse volte durante la lettura, soprattutto grazie alla complessa e insondabile macchina burocratica russa).

Il maggior pregio di Primo Levi in questo libro è, secondo la mia umilissima opinione, la bravura con cui ha dipinto i personaggi che hanno condiviso la sua tregua: affascinanti, tragici, curiosi, entusiasti o stravaganti che fossero, li ha resi tutti vividamente, riuscendo, attraverso la sua e le loro storie, a raccontare gli uomini martirizzati dalla Storia.

dark emotional medium-paced

Levi's prose is beautiful and haunting - a stern reminder regarding the price of our humanity day in and day out: the precarious transaction of resources for vitality, our joie de vivere. I struggle with those moments in our collective history that we might call a "paradigm shift," our mentalité renewed by an event where we carve out a radically new existence. The Shoah was just one of these. We live in it's shadow every day. We cannot recapitulate the humanity that was lost. Levi's written memory is testament to this truth. It's message is among the most important for our time: we needn't justify the paradigm, only recount it with the most accuracy and replace hatred or vengeance with reason, testimony, and justice.

Profondamente diverso rispetto al precedente libro [b:Se questo è un uomo|1541765|Se questo è un uomo|Primo Levi|https://images.gr-assets.com/books/1296224487s/1541765.jpg|851110] di [a:Primo Levi|4187|Primo Levi|https://images.gr-assets.com/authors/1397346875p2/4187.jpg], l'autore narra la sua Odissea: sono passati ormai mesi da quando è stato liberato dal campo di concentramento, ma la strada per il ritorno è ancora lunga. Tra campi di sosta, stazione ferroviarie e lunghe e snervanti giorni trascorsi nei vagoni merci di una vecchia locomotiva a vapore, l'autore narra della sua speranza, del suo desiderio e della sua nostalgia di casa; degli espedienti con cui è sopravvissuto a quest'ennesima avventura; delle persone che ha incontrato e dell'accoglienza che ha ricevuto dal popolo russo.

Tra tutti i racconti di vita di cui il romanzo è imbevuto, mi sono rimasti particolarmente nel cuore due personaggi: il Moro ed una tedesca che si è fermamente opposta a Hitler.
Del Moro mi ha colpito la sua storia, che forse spiega il suo carattere "particolare".

Il Signor Unverdorben sapeva sul Moro assai più cose di noi: apprendemmo in quella occasione che il Moro non era (o non era soltanto) un vecchio lunatico. L'involto aveva un perchè, e così pure lo aveva la vita errante del vecchio. Vedovo da molti anni, aveva una figlia, una sola, ormai quasi cinquantenne, e questa era a letto paralizzata: non sarebbe guarita mai. Per questa figlia il Moro viveva: le scriveva ogni settimane lettere destinate a non pervenirle; per lei sola aveva lavorato per tutta la vita, ed era diventato moro come il legno di noce e duro come la pietra. Per lei sola, in giro per il mondo da emigrante, il Moro insaccava tutto quanto gli capitava a tiro, qualunque oggetto che presentasse anche solo la minima possibilità di essere goduto o scambiato.


Della tedesca residente in Polonia il suo coraggio, il rispetto e la stima provata nei suoi confronti; l'avermi portato a pensare quanti piccoli eroi esistevano a quei tempi, il pericolo che hanno corso; il domandarmi se le persone "comuni" possono avere tanta forza e coraggio da influenzare minimamente la storia, far sentire la propria voce; a domandarmi il fatidico "se".

Era consapevole di Auschwitz, e tutto quanto riguardava Auschwitz la interessava, perchè aveva rischiato di andarci. Non era polacca, era tedesca: a suo tempo, teneva bottega a Berlino, con suo marito. A loro, Hitler non era mai piaciuto, e forse erano stati troppo incauti nel lasciar trapelare fra il vicinato queste loro opinioni singolari: nel 1935 suo marito era stato portato via dalla Gestapo, e non ne aveva mai più saputo niente. Era stato un grande dolore, ma mangiare bisogna, e lei aveva continuato nel suo commercio fino al '38, quando Hitler, "der Lump", aveva fatto alla radio il famoso discorso in cui dichiarava che voleva fare la guerra.
Allora lei si era indignata e gli aveva scritto. Gli aveva scritto personalmente, "Al Signor Adolf Hitler, Cancelliere del Reich, Berlino", mandandogli una lunga lettera in cui gli consigliava fermamente di non fare la guerra perchè troppe persone sarebbero morte, e inoltre gli dimostrava che se l'avesse fatta l'avrebbe perduta, perchè la Germania non poteva vincere contro tutto il mondo, e anche un bambino l'avrebbe capito. Aveva firmato con nome, cognome e indirizzo: poi si era messa ad aspettare.
Cinque giorni dopo erano venute le camicie brune, e col pretesto di fare una perquisizione le avevano saccheggiato e sconquassato casa e bottega. Cosa avevano trovato? Nulla, lei non faceva della politica: soltanto la minuta della lettera. Due settimane dopo l'avevano chiamata alla Gestapo. Pensava che l'avrebbero picchiata e spedita in Lager: invece l'avevano trattata con disprezzo sguaiato, le avevano detto che avrebbero dovuto impiccarla, ma si erano convinti che lei era solo "eine alte blöde Ziege", una vecchia stupida capra, e che per lei la corda sarebbe stata sprecata. Però le avevano ritirato la licenza di commercio e l'avevano espulsa da Berlino.
Aveva vivacchiato in Slesia di borsa nera e di espedienti, finchè, secondo le sue previsioni, i tedeschi non avevano perso la guerra. Allora, poichè tutto il vicinato sapeva quello che lei aveva fatto, le autorità polacche non avevano tardato a concederle la licenza per un negozio di commestibili. Così ora viveva in pace, fortificata dal pensiero di quanto migliore sarebbe stato il mondo se i grandi della terra avessero seguito i suoi consigli.
emotional reflective sad medium-paced

El segundo libro que publicó [a:Primo Levi|4187|Primo Levi|https://images.gr-assets.com/authors/1397346875p2/4187.jpg] sobre su paso por Auschwitz fue este, “La tregua”. Escrito y publicado 20 años después de su liberación.

Retoma el relato de [b:Si esto es un hombre|49034752|Si esto es un hombre|Primo Levi|https://i.gr-assets.com/images/S/compressed.photo.goodreads.com/books/1575235655l/49034752._SY75_.jpg|43004540], contándonos su periplo personal desde la liberación por parte de los soviéticos del campo de concentración (aunque allí ya no quedaba nadie del ejército alemán) hasta su vuelta a casa en Italia. Y aunque tiene muchas reflexiones profundas, innumerables anécdotas y personajes, no es tan impactante y profundo como su primer libro.

Levi cuenta ese largo tiempo donde él y casi mil cuatrocientos italianos más, estaban bajo la tutela del ejército soviético, libres pero en tierra ajena, superando desde la miseria y momentos de altibajos el trauma del que habían escapado y en el que, en cierta manera, seguían atrapados. Las anécdotas y hechos que narra en este libro, como decía, no son tan duras como las de su estancia en el Lager, pero muestran otros aspectos diferentes, heredados, consecuencias, de una Europa arrasada por la guerra, con refugiados de todas las nacionalidades y condiciones recorriendo cada aldea y pueblo.

Lo cierto es que este recorrido por sus recuerdos parece más un intento de no dejar nada atrás, contar su experiencia y no olvidar a nadie. Hace un repaso tan amplio, con fechas, nombres y anécdotas después de veinte años que uno no sabe si Levi tiene una memoria prodigiosa o su pluma ha rellenado lagunas de su memoria. También su claridad e inmaculada moral, en la que durante toda la narración Levi no comete ninguna vergüenza incriminatoria salvo en la que es arrastrado por los demás, llama la atención ante la situación que le rodea. Esto, que puede ser una opinión personal, le quita fuerza al relato y me hace recordar de nuevo las reflexiones de [a:Paul Steinberg|411599|Paul Steinberg|https://images.gr-assets.com/authors/1428627888p2/411599.jpg] en su [b:Crónicas del mundo oscuro|35139468|Crónicas del mundo oscuro|Paul Steinberg|https://i.gr-assets.com/images/S/compressed.photo.goodreads.com/books/1494846646l/35139468._SX50_.jpg|769423], donde la supervivencia es el primer instinto que se dispara en una situación tan adversa.

Pese a todo, es una lectura amena y recomendable. Reflexiva, dura y coetánea. Nunca quedará fuera de contexto histórico. Puede que nosotros no vivamos una situación parecida. Pero mientras tú estás leyendo estas líneas, en otro lugar, igual no muy lejos de donde vives, mucha gente se encuentra en un lugar que no es el suyo, sobreviviendo en el día a día, sin saber qué le va a deparar el mañana ni si podrá comer, dormir, ducharse o tendrá acceso a zapatillas con las que protegerse los pies. Refugiados, sin techo, exiliados… No son un problema, son personas, como tú y como yo.

Primo Levi’s legendary account of the months-long odyssey back home from Poland is at times even more heartbreaking than the previous book in which he recounts his time inside Auschwitz – if only because the hardships he endures aren’t imposed by Nazis operating a death camp, but by a liberating army and the regular folk he encounters on the way home.

Brīnišķīga, dzīva, nepārkruzuļota un neizskaistināta, bet tāda sulīga un īsta "dokumentāla atmiņu grāmata". Par to, kas notiek PĒC. Apbrīnoju cilvēkus, kuriem ir stāstnieka talants (un laba atmiņa), Levi tāds noteikti ir.