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cristinabia's review against another edition
4.0
Scrivere di DFW mi fa sentire "stroncata tra le pale dei mulini". Oltre alla peggior voyer. Un avvoltoio che tenta di carpire brandelli della vita di uno scrittore tra le righe di un altro che ne parla. Io non avevo capito che era stato così male così a lungo. Io mi sento in colpa nei suoi confronti. Mi sento in colpa per l'interesse un po' morboso (la peggior voyer, come dicevo) che mi suscita la sua vita, la sua malattia, il suo percorso. Cercavo i dettagli delle sue paranoie e delle sue dipendenze, un po' simile a quegli individui che grattano il fondo del barile e si imbattono nei residui scadenti di quello che in origine poteva essere ottimo.
Mi sento in colpa perché mi sento un'orfana illegittima ed egoista, l'ho già detto nel commento di "tennis tv...", chi sono io per piangere le parole che non scriverà quando dovrei rispettosamente tacere grata per quelle che ha scritto e lasciare il dolore a che gli è stato vicino?
Mi sento in colpa perché ho amato i suoi saggi più dei suoi racconti (IJ mi aspetta, non appena recupererò un attimino di serenità nei confronti di questi cazzo di scrittori disturbanti che hanno attanagliato l'ultimo periodo), senza sospettare quanto lo addolorasse la facilità con cui tirava fuori questa non-fiction quando avrebbe voluto concentrarsi sulla narrativa.
Mi sento in colpa perché sono (del tutto illegittimamente) arrabbiata con la moglie di DFW che non l'ha guardato a vista quando stava così evidentemente affondando, e ha detto in un'intervista di un paio d'anni fa che il suo genio e la sua follia erano fusi nella solita persona solo per un caso fortuito, non autoalimentati, due facce indissolubili di una stupenda precaria medaglia, come (ancora, totalmente illegittimamente) pretendo di sostenere io.
Mi sentivo tanto più in colpa quanto più procedevo nella lettura di queste pagine. David non si è mai fermato. Ha combattuto non solo sul fronte, tutto personale, della malattia, ma ha portato avanti anche quella battaglia universale che ognuno di noi dovrebbe tenere a mente, costantemente, la perpetua scalata al migliorarsi e a non indulgere nell'assoluzione di quei difetti di cui talvolta arriviamo a diventare fieri, ostentando sufficienza e nascondendo i dietro un "sono fatta così". Nonostante l'assedio lui è andato avanti. Ha ricostruito indefesso tra le macerie di una depressione invalidante. Avrei voluto che continuasse questa sua guerra. Immagino si debba dire che a un certo punto l'ha persa. Non posso però pensare che questo tolga qualcosa al suo immenso valore, come scrittore e come uomo.
Mi sento in colpa perché mi sento un'orfana illegittima ed egoista, l'ho già detto nel commento di "tennis tv...", chi sono io per piangere le parole che non scriverà quando dovrei rispettosamente tacere grata per quelle che ha scritto e lasciare il dolore a che gli è stato vicino?
Mi sento in colpa perché ho amato i suoi saggi più dei suoi racconti (IJ mi aspetta, non appena recupererò un attimino di serenità nei confronti di questi cazzo di scrittori disturbanti che hanno attanagliato l'ultimo periodo), senza sospettare quanto lo addolorasse la facilità con cui tirava fuori questa non-fiction quando avrebbe voluto concentrarsi sulla narrativa.
Mi sento in colpa perché sono (del tutto illegittimamente) arrabbiata con la moglie di DFW che non l'ha guardato a vista quando stava così evidentemente affondando, e ha detto in un'intervista di un paio d'anni fa che il suo genio e la sua follia erano fusi nella solita persona solo per un caso fortuito, non autoalimentati, due facce indissolubili di una stupenda precaria medaglia, come (ancora, totalmente illegittimamente) pretendo di sostenere io.
Mi sentivo tanto più in colpa quanto più procedevo nella lettura di queste pagine. David non si è mai fermato. Ha combattuto non solo sul fronte, tutto personale, della malattia, ma ha portato avanti anche quella battaglia universale che ognuno di noi dovrebbe tenere a mente, costantemente, la perpetua scalata al migliorarsi e a non indulgere nell'assoluzione di quei difetti di cui talvolta arriviamo a diventare fieri, ostentando sufficienza e nascondendo i dietro un "sono fatta così". Nonostante l'assedio lui è andato avanti. Ha ricostruito indefesso tra le macerie di una depressione invalidante. Avrei voluto che continuasse questa sua guerra. Immagino si debba dire che a un certo punto l'ha persa. Non posso però pensare che questo tolga qualcosa al suo immenso valore, come scrittore e come uomo.
patrickwreed's review against another edition
2.0
I can't think of any other time I've read a biography and come off liking the subject *less* as a result. Max consistently fails to capture anything of the manic style of Wallace, or his sense of irony, instead creating a dull, po-faced account of his college years that make him sound like little more than a petulant, egotistical spoilt brat at worst and terminally dull at best. He discusses the author's depression in terms of "futility" and little else, and the whole thing comes across as a succession of unrelated facts, with nothing in the way of insight or explanation. The choice of quotes from Wallace's work, littered throughout this book, come across as smarmy and self-satisfied out of context.
If I'd never read Wallace's own work, I'd have come away wondering what all the fuss was about, and certainly wouldn't have been compelled to rush out and buy any of it.
If I'd never read Wallace's own work, I'd have come away wondering what all the fuss was about, and certainly wouldn't have been compelled to rush out and buy any of it.
colepsmith42's review against another edition
4.0
I read my first DFW--Brief Interviews with Hideous Men--right after college and kind of hated it, thought it was experimental in a way that didn't benefit the story in any way, but one of the stories still sticks with me to this day, so obviously more effective than I gave it credit for. I came around after reading Infinite Jest and think The Pale King is maybe one of the biggest unfinished literary losses of this generation, though still fantastic in the form it came out in. Anyway, a great bio, a fascinating figure, really gives insight into how he thought about literature, his writing process and its wild fluctuations, and how the preoccupations of his books weave their way thorughout his life.
gnomicsans's review against another edition
4.0
A terrific biography. Exhilarating when it looks at the man's work and creative process, damning when showing how poorly he treated those around him. I left with a much more nuanced view of a writer whose work I admire.
jervonyc's review against another edition
5.0
An essential read for the obsessive DFW fan, which I've been since IJ first arrived. It's very thorough, and, of course, very sad. But it's also, ultimately, very illuminating and now I feel compelled to read all of his books (again).
rocketiza's review against another edition
2.0
A wonderful job of amassing a lot of information, but I felt like the problem here was the author had no storytelling ability. Often I felt like significant things were tossed out as throwaway thoughts, while other things that really just felt insignificant were given way more focus than needed.
tsharris's review against another edition
3.0
The first half of this book was almost painful, a linear narrative full of DFW trivia. This book is really only worth reading for the genesis of Infinite Jest, which I really want to go back and read, and, sadly, DFW's decline and suicide. I was intrigued to read that towards the end of his life Wallace was reading Camus, because their "projects" were actually quite similar. They both of course saw life as without any inherent meaning but nevertheless sought to show a way for human beings to live with dignity in a meaningless universe. Both seemed to conclude that meaning and purpose were to be found in community and belonging (cf. The Plague). Anyway, I wish I could give this book a higher rating, because I did enjoy reading it, but I just think that there was so much more Max could have done with his subject. There's no real discussion of his place in American literature, his legacy, whether his project will leave a mark on American discourse. Max's "just the facts, m'am" style just doesn't satisfy, because there is more to assessing a life than adding up the facts about a person.
thesinginglights's review against another edition
4.0
This is a rigorous insight into the life of a very interesting writer. Max did well to shine some light on DFW, a subject of my intellectual infatuation as of late. Where he made literary analyses it fell a little flat but, as a fellow reviewer has said, because the subject matter is so interesting, you can learn to get over it.