Reviews

My Life as a Russian Novel: A Memoir by Emmanuel Carrère

entrope's review against another edition

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adventurous informative reflective slow-paced

2.5

cianci_cianci's review against another edition

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relaxing medium-paced
  • Plot- or character-driven? Character
  • Strong character development? It's complicated
  • Loveable characters? No
  • Diverse cast of characters? Yes
  • Flaws of characters a main focus? Yes

2.0

lisamaria's review against another edition

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emotional inspiring reflective slow-paced

4.0

gef's review against another edition

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2.0

I bought this book in Paris because I wanted to get acquainted with this celebrated author, because I hoped to learn more about Russia, and because I wanted to improve and update my French. I did learn a lot of obscene vocabulary in French and I feel I became very well acquainted with Carrère's personality and obsessions, but I learned very little that was new about Russia. So I'm satisfied, though the experience was quite disagreeable.
The book is Carrère's account of two ridiculous and self-inflicted fiascos during his midlife crisis: The filming of a wandering, pointless documentary on a town in Russia he didn't even like, and was mostly too drunk to observe carefully, and a passionate love affair, or more accurately, attempt to totally control a younger, sexually attractive woman he respected so little that he misread — for lack of attention — all her cues.
The documentary on Kotelnitch, a remote and backward town 707 km. northeast of Moscow, was a pretext to recover the Russian he had heard as an infant and thus (in his mind) cling more tightly to his mother (the distinguished sovietologist and member of the French academy Hélène Carrère d'Encausse); his urgency was due to the fact that he was approaching the age (46) of the disappearance and presumed death of her father (who was not Russian but Georgian). He and his TV crew did eventually produce the video ("Return to Kotelnitch," 2003), by piecing together disconnected scenes gathered more or less randomly over several visits (he had no script), which is less about Russia than about his emotional struggle to learn the language and make sense of his life.
The misadventure with the young woman he calls Sophie (I hope for her sake that that's a pseudonym) involves a pornographic (his term) "nouvelle" in Le Monde that he demands she read on the train to visit him, and which is designed to drive her and any other female reader to semi-public masturbation. But, for complicated (and quite understandable) reasons, she misses that train, driving him and his control compulsion absolutely nuts. The nouvelle is included here, and you will see why it caused a great scandal in France, but Sophie never read it. His violent reaction is extreme and despicable and he blames her for turning him into a monster: « J'ai mal, je me déteste, je jouis de me détester…» and a little later, «…je repousse la femme qui fait de moi cet homme horrible.»
He is said to be an exceptionally good writer, and from the evidence of this book that is true in one sense: He is very very good at describing sex, as well as other emotions, at least his own. However he is barely observant about the feelings of other people, including the various Russians he deals with in Kotelnitch. Besides vivid expression, there are two other things I expect from a good writer. One is coherent structure, leading to some conclusion other than "well, that episode is over, now I go on with my life" — which is how this book ends. The other thing I hope for is more important: that the author feel some concern for something larger than himself. Maybe he does, but you wouldn't know it from his roman russe.

dariazum's review against another edition

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2.0

Scrive bene lo sapevamo già, ma la struttura del romanzo è un disastro. Sembra stesse tentando di sviluppare vari filoni per poi abbandonarli, o farli concludere nel nulla più totale. Tutta l'idea iniziale del suo collegamento con la Russia e l'esplorazione di una trama misteriosa familiare finisce per essere messa da parte a favore di cento pagine delle sue pippe mentali sulla sua fidanzata. Okay.

borislimpopo's review against another edition

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2.0

Carrére, Emmanuel (2009). La vita come un romanzo russo (Un roman russe. trad. di Margherita Botto). Torino: Einaudi. ISBN: 9788858403488. Pagine 276. 7,99 €.

A me Carrère piace, in genere. L’ho incontrato la prima volta con L’avversario: avevo visto il bel film omonimo di Nicole Garcia, con uno straordinario Daniel Auteuil. Il libro è – ma se ne può discutere – ancora più bello del film.

Poi ho letto Limonov, di cui ho scritto la recensione su questo blog alcuni anni fa (se volete leggerla, è qui). Ne ho letto anche altri, per la verità, ma vi sarete accorti che sono rimasto un po’ indietro con la promessa di recensire tutto quello che via via vado leggendo. Mi riprometto di rimediare.

Carrère ha il dono di una scrittura limpida, almeno per quello che posso giudicare io che leggo il francese in traduzione. Ma è un autore che può essere irritante: ha – come si dice – un ego smisurato. O forse è narcisista. Parla, in sostanza, sempre di sé. Scrive romanzi, o saggi, o una contaminazione dei due: comunque trova il modo di dare al tutto sempre un’impronta molto personale, autobiografica. Non c’è inquadratura in cui non sia in qualche modo presente: a volte da protagonista, a volte con un cameo di sfuggita (un po’ alla Hitchcock), a volte lasciandoci vedere un microfono o una giraffa come per distrazione (per continuare la metafora cinematografica). Il rischio, va da sé, è quello dell’autocompiacimento.

Da questo punto di vista, questo libro è il più estremo tra quelli di Carrère che ho letto. Mi aveva attratto il riferimento alla Russia (che a me affascina) e al romanzo russo (ma questo è senza dubbio un romanzo francese, anzi un romanzo di Carrère). Anzi, se non sbaglio, da nessuna parte l’autore scrive che questo è un romanzo. La chiama storia, e la conclude scrivendo:

Ho pensato: sono venuto ad allestire una tomba a un uomo la cui morte incerta ha pesato sulla mia vita, e mi ritrovo di fronte a un’altra tomba, di una donna e di un bambino che per me non erano niente, e adesso sono in lutto anche per loro.

Forse è questa, la storia. (pos. 3110)

Ma poi – c’è tutto Carrère in questo – scrive un settimo capitolo, in cui ripercorre gli avvenimenti occorsi dopo i due anni raccontati nel sei capitoli precedenti, e ci toglie ogni dubbio (o almeno intende toglierci ogni dubbio) sul fatto che stiamo parlando non di una storia qualunque, ma di un frammento di autobiografia.

Dico: è questa, la storia, ma non ne sono certo. Né che sia questa, né che tutto ciò costituisca una storia. Ho voluto raccontare due anni della mia vita, Kotel´nič, mio nonno, la lingua russa e Sophie, sperando di catturare qualcosa che mi sfugge e che mi consuma. Ma continua tuttora a sfuggirmi e a consumarmi. (pos. 3113)

Kotel´nič, suo nonno e la lingua russa ci sono, ma (secondo me) non sono il centro del libro. Quanto a Sophie, in un certo senso lo è: deuteragonista, e vittima. Protagonista e carnefice è lo stesso Carrère che prima la mette in mezzo (narrativamente, ma si sospetta anche nella vita reale, fin dalla prima scena, del sogno erotico ambientato in treno) e poi la espone ancora, come vedremo.

Si usano spesso, metaforicamente, quando si parla di autocompiacimento, termini che fanno riferimento alla masturbazione. Lo si fa nel linguaggio corrente (“Sono pippe mentali”), e lo si fa pure in ambiti meno colloquiali, come in una recensione. Ma qui (e in altre opere di Carrère) non si tratta di una metafora. La masturbazione è forse il vero centro del romanzo: il verbo masturbare/masturbarsi, in diverse coniugazioni, compare nel romanzo dieci volte (questo è facile da fare con un ebook). I temi e le situazioni collegati al concetto sono molto più frequenti. L’episodio centrale del libro è il racconto erotico che Carrère pubblica su Le monde per un gioco con Sophie, la sua compagna dell’epoca, con la speranza di una complicità che ravvivi il loro rapporto, e che invece (prevedibilmente, verrebbe da dire) conduce alla sua fine. Anche perché poi, per la verità, è Carrère stesso a non reggere, a cadere dal gioco perverso nell’agitazione, nella gelosia, nell’agitazione scomposta.

Un inciso: non è invenzione. Carrère ha effettivamente pubblicato quel racconto, «L’Usage du “Monde”», sull’edizione datata 22 luglio 2002 (ma uscita in edicola il 20). Se siete curiosi, lo trovate online qui.

Non sono un moralista (lo so, suona un po’ come “non sono un razzista ma…”) ma leggere quelle pagine mi ha fatto sentire molto a disagio, per usare un termine forse troppo debole. Forse sarebbe più appropriato dire che quelle pagine mi hanno fatto sentire proprio male. Certo, se volete l’empatia per i personaggi di un romanzo è una parte di quella suspension of disbelief che al romanzesco e al narrativo è connaturata. Ma a me è risultato molto difficile non mettermi nei panni della povera Sophie. Mentre Carrère – almeno così è sembrato a me – continua a puntare lo sguardo su sé stesso, un po’ per giustificarsi (se non assolversi), un po’ per raccontarci che in fin dei conti la vittima è lui!

Il peggio che succede a Sophia, ben prima del giochetto erotico finito malamente, è che Carrère si considera superiore a Sophie per censo e cultura e la fa sentire non alla sua altezza. E che Sophie non ha la forza o l’ardire di mandarlo a quel paese (lo farà più tardi, ma non lo fa ancora, e forse non lo fa nemmeno per questo, che è il capo d’accusa più pesante che gli avrebbe dovuto imputare).

Alla nascita, dice lei, ho avuto tutto: la cultura, la disinvoltura sociale, la padronanza dei codici […] (pos. 575)

Ho fatto fatica a finire il libro lo confesso. E ho smesso di annotare i brani che mi erano piaciuti. Per questo le citazioni a un certo punto si interrompono:

Nella maggior parte dei documentari si finge che la troupe non esista. Bisognerebbe fare esattamente il contrario […] (pos. 433)

Ricordo una frase in particolare, a mio parere un capolavoro di economia descrittiva: le montagne, dice il narratore, sono cosí alte che per quanto alzi gli occhi, non vedi mai gli uccelli stagliarsi sullo sfondo del cielo. (pos. 541)

Ma non c’è solo questo nella passione per i peli sotto le ascelle, c’è anche, come dire?, una sorta di effetto metonimico, come quando si dice vela per dire barca, l’impressione che tu vada a spasso con due piccole fiche supplementari, due piccole fiche che la buona creanza autorizza a mostrare in pubblico benché facciano irresistibilmente pensare, o perlomeno a me fanno irresistibilmente pensare, a quella che hai tra le gambe. (pos. 1370)

anfribogart's review against another edition

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3.0

Amo Carrère ma questo è veramente il suo libro più pesante da digerire. Per chi si accosta a questo scrittore per la prima volta: da leggere per ultimo!

brunatag's review against another edition

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5.0

Carrère claims to go to his psychoanalyst three times a week. And he gives him a lot of homework to do, it seems.
This intimate autobiographical diary shows unmercifully how unhappy a life of privilege can be. His life, at least.
Before reading the novel, I would have longed to be in his wife's place. Now I would just pat on her shoulder in a comforting manner. Totally lacking humour and wit, belonging to lumpen working class people, I guess.
But whatever. Five stars *****! Remarkably well written descriptions of a tormented and tormenting man. A real page-turner.

Carrère dice di andare tre volte alla settimana dallo psicanalista. Che però gli dà anche i compiti da fare a casa, sembra.
Questa diario intimo autobiografico mostra spietatamente l'infelicità della vita di un uomo che vive nei privilegi. Prima avrei guardato con invidia la sua compagna, ora mi sentirei di metterle una mano sulla spalla e di farle coraggio.
Romanzo privo totalmente di ironia, per non parlare di auto-ironia, che immagino per Carrère sia un sentimento per classi inferiori.
E comunque 5 stelle, perché non riuscivo a staccarmi dal libro e dai suoi meravigliosi tormenti.

jj_005's review against another edition

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challenging dark medium-paced

1.0

folkiara's review against another edition

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4.0

i don't know why did i choose to reread this: this book is a mess in every aspect. it's a mess, disorganized, almost jumbled in its desperate attempt at tackling way too many themes, and, despite the remarkable style, carrère writes in a stream of consciousness-esque way, following the train of his frantic thoughts. i also realised that carrère annoys me in a way no one else has, with his unbeliavable arrogance and his haughtiness and his thinking that he's better than anyone else and his constant denigration of people, including his own fucking girlfriend.
what i know is that this book broke my heart more than once. what i know is that i found myself in carrère's anguish and his fears and his lack of trust towards the people he loves. whay i know is that a terrible feeling of loneliness, of helpnessness permeate this book, a reflection on how fleeting life actually is.
there are some books that just find you.