Take a photo of a barcode or cover
Non sono solita lasciare libri a metà, ma questa volta gettò la spugna. Ho provato in tutti i modi a farmi piacere questo libro e a continuare a leggerlo ma non ci riesco. Ogni volta che provo ad andare avanti mi rendo conto di non riuscire a concentrarmi sulla storia perché, fondamentalmente, questa non mi sta raccontando niente e non mi riesce a coinvolgere.
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La prima volta che ho cercato di leggere un libro di Gramellini (L'ultima riga delle favole) ho miseramente fallito. Il libro non mi era minimamente piaciuto e l'avevo abbandonato a metà. Questa volta ci ho riprovato, spinta dalla voglia di leggere qualcosa di semplice dopo la sessione esami e spinta anche (e soprattutto) dall'insistenza di mia madre a cui questo libro era piaciuto parecchio. E questa volta è stato un successo.
Il libro, autobiografico, racconta la storia di un bambino che da piccolo perde la madre e sarà segnato per sempre da questa perdita, che lo accompagnerà come un'ombra minacciosa per tutta la vita. Vita che sarà caratterizzata da una forte insicurezza e, soprattutto, dall'incapacità di creare dei legami forti e stabili con qualcuno per paura di essere abbandonato.
Il racconto è caratterizzato da una sorta di malinconia di fondo, una sensazione di lieve tristezza che accompagna costantemente il lettore, quasi fondamentale e necessaria, vista la natura della storia. La lettura però è molto piacevole e scorre bene: il libro si divora in poche ore e non è difficile essere coinvolti nella vita del protagonista.
Tutto questo condito dall'incantevole prosa di un ottimo scrittore quale è Gramellini. In fondo, una seconda opportunità va concessa a tutti.
Il libro, autobiografico, racconta la storia di un bambino che da piccolo perde la madre e sarà segnato per sempre da questa perdita, che lo accompagnerà come un'ombra minacciosa per tutta la vita. Vita che sarà caratterizzata da una forte insicurezza e, soprattutto, dall'incapacità di creare dei legami forti e stabili con qualcuno per paura di essere abbandonato.
Il racconto è caratterizzato da una sorta di malinconia di fondo, una sensazione di lieve tristezza che accompagna costantemente il lettore, quasi fondamentale e necessaria, vista la natura della storia. La lettura però è molto piacevole e scorre bene: il libro si divora in poche ore e non è difficile essere coinvolti nella vita del protagonista.
Tutto questo condito dall'incantevole prosa di un ottimo scrittore quale è Gramellini. In fondo, una seconda opportunità va concessa a tutti.
fast-paced
Massimo you're a fucking crybaby (not in a good way)
Memoir con uno stile molto confusionario, in cui ogni paragrafo sembra distaccato dagli altri, pensieri sessisti e comportamenti da vittima da parte dell'autore, da quando ha subito il lutto a nove anni fino ai suoi quarantanove.
Credevo che i temi della mascolinità tossica e di uomini senza sentimenti fossero introdotti per farci vedere come l'autore fosse cresciuto in questo ambiente negativo, ma poi questa retorica non è mai denunciata, ma normalizzata.
Tra i vari esempi: •"Per colmare in parte l'abisso di una madre che muore bisogna essere dei maschi femmina. Severi all'occorrenza, ma sensibili. Invece papà era maschio e basta, cresciuto nel mito di due uomini forti: nonna Elena e Napoleone” (ah yes, i maschi normali non hanno sentimenti e le donne normali non sono forti, quindi questo è divertente)
•"Mi aveva attirato verso il Buddha con la tecnica irresistibile - un alternarsi di allusioni e sguardi dolenti - che le donne utilizzano quando vogliono indurti a fare qualcosa senza chiedertelo” (ah yes, le donne, classiche calcolatrici)
•"E noi maschi non riusciamo a fare due cose insieme" (ah yes, maschi stupidi).
Nel corso della sua vita, Gramellini prova sempre ad addossare il suo lutto su qualcun altro. Capisco questa retorica quando lui è solo un bambino, la apprezzo, adoro l'introspezione emotiva dei ragazzini, ma se tu a quarant'anni continui a essere una povera vittima incel di merda dilaniato da quella cattivona di tua madre morta, lì non mi piace più.
Cit memorabili sono:
•"Però così non cresco, mamma. Persino il giorno delle nozze non ero uno sposo, ma il solito orfano”
(ah yes, accusa tua madre del fatto che tu non riesca a crescere)
•"Ma forse non era una sorella. Era una fidanzata. O una mamma. O tutte e tre” (credo che Gramellini di nome dovrebbe fare Edipo)
•"Credevo di meritarti, comunque. E che tu avessi bisogno di me. Ma questo, forse, non lo credo più”
(classica tirata da incel perché la ragazza l'ha lasciato, anche se lei gli aveva scritto di non parlarle più perché sapeva che non avrebbe cambiato idea)
•“«Hai quarant'anni e stai a tavola come un bambino viziato. Possibile che nessuno ti abbia insegnato un po' d'educazione?»
« E chi doveva insegnarmela? Chi? Nessuno mi ha mai insegnato niente. Nessuno!»
Solcai a grandi passi il salottino del residence alla ricerca di qualcosa di appagante da distruggere.
Finché fra il divano e le tende vidi un tremolio bianco.
Billie.”
(il fatto che lui voglia distruggere qualcosa come un vero bambino viziato e si fermi solo perché una donna è spaventata (in questo caso il cane) è disgustoso. Hai quarant'anni. Non cinque)
•"Che una madre fosse stata tanto egoista da condannare la sua creatura a vivere senza di lei. Nell'ospedale di Sarajevo avevo visto donne ferite lottare con fierezza contro la morte e tendere le mani verso un figlio che non c'era più, animate dalla speranza assurda di poterlo riabbracciare ancora. Io invece ero nella stanza accanto. Vivo. Ma la mamma se n'era infischiata di me. Aveva pensato soltanto a se stessa”
(AH YES, IL SUICIDIO È EGOISTICO PERCHÉ LA MAMMA DOVEVA PENSARE AL PICCOLO MASSIMO. Nonostante avesse chiari problemi, una concezione malata della realtà, una paura immensa del dolore, il take di Massimo non è che sarebbe dovuta andare in terapia per continuare a vivere, ma avrebbe dovuto farlo per non lasciarlo solo)
La storia non posso giudicarla, perché, nonostante sia improbabile, è vera. Il tema di un genitore che muore e la consapevolezza che nessuno ti amerà mai quanto la persona che hai perso è interessante, ma Gramellini si concentra pesantemente sul fatto che lei fosse “una madre”, sempre per la retorica sessista della donna che ha i sentimenti e degli uomini che non ce l'hanno. Perché solo le madri importano. Perché gli uomini non possono avere sentimenti, oppure sarebbero maschi-femmina.
Perché le uniche persone che permettono questo cambiamento in Gramellini sono Madrina, il cane femmina Billie e Elisa (che è il classico esempio di manic pixie girl ma a quanto pare esiste davvero).
Lo consiglierei? Lo stile è spezzettato, la storia si ripete sempre, il sottotono è sessista a bestia e il protagonista è un incel orribile. No.
Memoir con uno stile molto confusionario, in cui ogni paragrafo sembra distaccato dagli altri, pensieri sessisti e comportamenti da vittima da parte dell'autore, da quando ha subito il lutto a nove anni fino ai suoi quarantanove.
Credevo che i temi della mascolinità tossica e di uomini senza sentimenti fossero introdotti per farci vedere come l'autore fosse cresciuto in questo ambiente negativo, ma poi questa retorica non è mai denunciata, ma normalizzata.
Tra i vari esempi: •"Per colmare in parte l'abisso di una madre che muore bisogna essere dei maschi femmina. Severi all'occorrenza, ma sensibili. Invece papà era maschio e basta, cresciuto nel mito di due uomini forti: nonna Elena e Napoleone” (ah yes, i maschi normali non hanno sentimenti e le donne normali non sono forti, quindi questo è divertente)
•"Mi aveva attirato verso il Buddha con la tecnica irresistibile - un alternarsi di allusioni e sguardi dolenti - che le donne utilizzano quando vogliono indurti a fare qualcosa senza chiedertelo” (ah yes, le donne, classiche calcolatrici)
•"E noi maschi non riusciamo a fare due cose insieme" (ah yes, maschi stupidi).
Nel corso della sua vita, Gramellini prova sempre ad addossare il suo lutto su qualcun altro. Capisco questa retorica quando lui è solo un bambino, la apprezzo, adoro l'introspezione emotiva dei ragazzini, ma se tu a quarant'anni continui a essere una povera vittima incel di merda dilaniato da quella cattivona di tua madre morta, lì non mi piace più.
Cit memorabili sono:
•"Però così non cresco, mamma. Persino il giorno delle nozze non ero uno sposo, ma il solito orfano”
(ah yes, accusa tua madre del fatto che tu non riesca a crescere)
•"Ma forse non era una sorella. Era una fidanzata. O una mamma. O tutte e tre” (credo che Gramellini di nome dovrebbe fare Edipo)
•"Credevo di meritarti, comunque. E che tu avessi bisogno di me. Ma questo, forse, non lo credo più”
(classica tirata da incel perché la ragazza l'ha lasciato, anche se lei gli aveva scritto di non parlarle più perché sapeva che non avrebbe cambiato idea)
•“«Hai quarant'anni e stai a tavola come un bambino viziato. Possibile che nessuno ti abbia insegnato un po' d'educazione?»
« E chi doveva insegnarmela? Chi? Nessuno mi ha mai insegnato niente. Nessuno!»
Solcai a grandi passi il salottino del residence alla ricerca di qualcosa di appagante da distruggere.
Finché fra il divano e le tende vidi un tremolio bianco.
Billie.”
(il fatto che lui voglia distruggere qualcosa come un vero bambino viziato e si fermi solo perché una donna è spaventata (in questo caso il cane) è disgustoso. Hai quarant'anni. Non cinque)
•"Che una madre fosse stata tanto egoista da condannare la sua creatura a vivere senza di lei. Nell'ospedale di Sarajevo avevo visto donne ferite lottare con fierezza contro la morte e tendere le mani verso un figlio che non c'era più, animate dalla speranza assurda di poterlo riabbracciare ancora. Io invece ero nella stanza accanto. Vivo. Ma la mamma se n'era infischiata di me. Aveva pensato soltanto a se stessa”
(AH YES, IL SUICIDIO È EGOISTICO PERCHÉ LA MAMMA DOVEVA PENSARE AL PICCOLO MASSIMO. Nonostante avesse chiari problemi, una concezione malata della realtà, una paura immensa del dolore, il take di Massimo non è che sarebbe dovuta andare in terapia per continuare a vivere, ma avrebbe dovuto farlo per non lasciarlo solo)
La storia non posso giudicarla, perché, nonostante sia improbabile, è vera. Il tema di un genitore che muore e la consapevolezza che nessuno ti amerà mai quanto la persona che hai perso è interessante, ma Gramellini si concentra pesantemente sul fatto che lei fosse “una madre”, sempre per la retorica sessista della donna che ha i sentimenti e degli uomini che non ce l'hanno. Perché solo le madri importano. Perché gli uomini non possono avere sentimenti, oppure sarebbero maschi-femmina.
Perché le uniche persone che permettono questo cambiamento in Gramellini sono Madrina, il cane femmina Billie e Elisa (che è il classico esempio di manic pixie girl ma a quanto pare esiste davvero).
Lo consiglierei? Lo stile è spezzettato, la storia si ripete sempre, il sottotono è sessista a bestia e il protagonista è un incel orribile. No.
Graphic: Death of parent
emotional
hopeful
reflective
sad
medium-paced
Scrittura meravigliosa, bella storia autobiografica che si svela sul finale
Ho molto apprezzato questo libro. Forse l'ho letto da un po' troppo piccolina e magari a breve lo riprenderò in mano, ma già allora mi è molto piaciuto.
Sono solo tre stelle perché è comunque una lettura emotivamente pesante e forse appunto per la mia giovane età di allora non sono riuscita ad apprezzarla del tutto, ma ripensandoci ora credo comunque sia una di quelle opere che finirei per consigliare ad amici e parenti senza ombra di dubbio.
Gramellini ha un modo di scrivere quasi magico a tratti, che va al di sopra della semplice prosa. Lo apprezzo molto come autore.
Sono solo tre stelle perché è comunque una lettura emotivamente pesante e forse appunto per la mia giovane età di allora non sono riuscita ad apprezzarla del tutto, ma ripensandoci ora credo comunque sia una di quelle opere che finirei per consigliare ad amici e parenti senza ombra di dubbio.
Gramellini ha un modo di scrivere quasi magico a tratti, che va al di sopra della semplice prosa. Lo apprezzo molto come autore.
emotional
inspiring
reflective
sad
fast-paced
Mi è piaciuto tantissimo, l'ho trovato toccante e sincero. Certo, lo stile spesso è un po' romanzesco, ma l'autenticità della storia e la completa apertura dell'autore nel mostrare le sue fragilità di bambino e di adulto, fa davvero entrare nel cuore questo memoir. Tocca temi a me vicini, soprattutto per quanto riguarda il tema della scoperta dei dettagli della vita di una persona soltanto dopo la sua morte e, per quanto la mia perdita sia stata diversissima da quella di Gramellini, ho sentito mie molte delle sue riflessioni. Il libro è infarcito di frasi ad effetto ma, a mio avviso, sono molto ben incastonate nel fluire del romanzo (spesso a chiusura dei capitoli, probabile deformazione professionale), si scolpiscono nella mente e nel cuore e regalano grandi insegnamenti. La parte finale, dopo i ringraziamenti, è toccante e preziosa, da rileggere e imparare a memoria.
“Che disgrazia.
Così giovane.
Povero bambino.
Brutto male.
Come se fosse esistito un male bello che ti faceva l'elemosina di lasciarti vivo.”
Massimo Gramellini è un giornalista, scrittore e conduttore televisivo italiano, editorialista, ma prima di tutto è una persona. Un uomo. Spesso per noi è complicato da immaginare, d’altronde non è facile immaginare una persona di successo con problemi, dolori, insicurezze proprio come noi “comuni mortali”. Eppure, dovremmo fermarci a pensare che loro sono come noi. Persone perfettamente imperfette.
Gramellini con questo libro - ma anche con altri suoi libri - vuole fare lui un passo indietro per darci la possibilità di condividere le stesse emozioni, gli stessi dolori, senza barriere, senza nessun confine.
La storia è una storia personalissima, ma le sensazioni che descrive sono universali.
Alcuni momenti portano le lascrime agli occhi, ma non per ciò che c'è scritto, ma per quello che vi si legge.
È la storia di una perdita, una della più grandi che possa una persona vivere, ed è per questo che Gramellini dedica le sue parole a che nella vita ha uno spazio dentro dovuto ad una perdita.
Non serve dire molto, non serve una preparazione speciale per leggere questo libro, questa storia. Bisogna solo lasciarsi attraversare. Rifiutare la realtà ci porterebbe allo smarrimento.
Quello che leggiamo non fa meno male perché sono parole dette da un uomo, anzi, fanno più male perché sono parole che non ci aspetteremmo da un uomo (non in questa società, figuriamoci in una un po’ più in là con il tempo).
È una storia che ci insegna come una “bugia bianca” possa far più male di una “Bugia vera”. Non importa che la bugia sia detta ad un bambino per il suo bene, in situazioni come quelle di questa storia la verità è l’unica soluzione per lasciar curare la ferita. Cosicché, da grande si possa vedere una cicatrice che non fa più quel male atroce di quando è nata.
Massimo Gramellini è un giornalista, scrittore e conduttore televisivo italiano, editorialista, ma prima di tutto è una persona. Un uomo. Spesso per noi è complicato da immaginare, d’altronde non è facile immaginare una persona di successo con problemi, dolori, insicurezze proprio come noi “comuni mortali”. Eppure, dovremmo fermarci a pensare che loro sono come noi. Persone perfettamente imperfette.
Gramellini con questo libro - ma anche con altri suoi libri - vuole fare lui un passo indietro per darci la possibilità di condividere le stesse emozioni, gli stessi dolori, senza barriere, senza nessun confine.
La storia è una storia personalissima, ma le sensazioni che descrive sono universali.
Alcuni momenti portano le lascrime agli occhi, ma non per ciò che c'è scritto, ma per quello che vi si legge.
È la storia di una perdita, una della più grandi che possa una persona vivere, ed è per questo che Gramellini dedica le sue parole a che nella vita ha uno spazio dentro dovuto ad una perdita.
Non serve dire molto, non serve una preparazione speciale per leggere questo libro, questa storia. Bisogna solo lasciarsi attraversare. Rifiutare la realtà ci porterebbe allo smarrimento.
Quello che leggiamo non fa meno male perché sono parole dette da un uomo, anzi, fanno più male perché sono parole che non ci aspetteremmo da un uomo (non in questa società, figuriamoci in una un po’ più in là con il tempo).
È una storia che ci insegna come una “bugia bianca” possa far più male di una “Bugia vera”. Non importa che la bugia sia detta ad un bambino per il suo bene, in situazioni come quelle di questa storia la verità è l’unica soluzione per lasciar curare la ferita. Cosicché, da grande si possa vedere una cicatrice che non fa più quel male atroce di quando è nata.
emotional
reflective
tense
medium-paced
Graphic: Cancer, Suicide, Death of parent
Spinta dall'ottima recensione di parenti e amici, mi sono avventurata nella lettura di questo romanzo, seppur con molto scetticismo.
Avevo già letto il precedente libro, che mi aveva lasciata molto titubante. Ma questo, probabilmente, è stato anche peggio. L'ho trovato noioso e ridondante, oltre che assolutamente stressante.
Non mi piace molto il modo di scrivere di Gramellini, rapido e telegrafico, tipico dei giornalisti, ma non posso fargliene una colpa.
La cosa invece che più mi ha infastidito è stata la ripetizione, presente anche nel precedente libro, della sua frase a effetto (i se sono la patente dei falliti, nella vita si diventa grandi nonostante). Quasi come se, trovato il suo cavallo di battaglia, avesse bisogno di sfoderarlo ogni volta che gli si presenta la possibilità. Quasi come se fosse doveroso ricordare al mondo il suo motto.
Insomma, come il precedente, mi ha lasciata un po' delusa, e non credo darò una nuova possibilità a Gramellini e alla sua penna.
Avevo già letto il precedente libro, che mi aveva lasciata molto titubante. Ma questo, probabilmente, è stato anche peggio. L'ho trovato noioso e ridondante, oltre che assolutamente stressante.
Non mi piace molto il modo di scrivere di Gramellini, rapido e telegrafico, tipico dei giornalisti, ma non posso fargliene una colpa.
La cosa invece che più mi ha infastidito è stata la ripetizione, presente anche nel precedente libro, della sua frase a effetto (i se sono la patente dei falliti, nella vita si diventa grandi nonostante). Quasi come se, trovato il suo cavallo di battaglia, avesse bisogno di sfoderarlo ogni volta che gli si presenta la possibilità. Quasi come se fosse doveroso ricordare al mondo il suo motto.
Insomma, come il precedente, mi ha lasciata un po' delusa, e non credo darò una nuova possibilità a Gramellini e alla sua penna.