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stephthepanda's reviews
100 reviews
La casa sul mare celeste by TJ Klune
4.0
Sono davvero entusiasta di aver finalmente recuperato questa lettura!
Questo libro è una di quelle opere che, con una dolcezza disarmante e una delicatezza unica, ti spingono a guardarti dentro. Non solo nel "qui e ora" (nel mio caso, quello di una giovane adulta), ma anche nel passato. Ti porta a riflettere sull’adolescente che eri, sul bambino che sei stato, su ciò che hai fatto e su ciò che non hai avuto il coraggio di fare.
Ti costringe a chiederti quanto il pregiudizio e la paura (sia dell’ignoto sia della mancata comprensione) abbiano condizionato le tue scelte e influenzato la tua vita.
E questa riflessione non arriva con forzature, ma con una naturalezza sorprendente, ma soprattutto senza alcun giudizio. Come Linus Baker, il protagonista, comincia a porsi domande, a mettere in discussione le sue certezze e a permettersi di cambiare prospettiva, anche tu, lettore, ti ritrovi a fare lo stesso.
Quello che Arthur fa con Linus e con i SUOI bambini, lo fa anche con noi; ci prende, ci accoglie, ci fa mettere in discussione e ci insegna.
Il ritmo della narrazione è incalzante, fluido e dinamico, eppure non sacrifica mai i momenti importanti né, soprattutto, i personaggi. E questo è fondamentale, considerando il numero di figure presenti: Linus, Arthur, i ragazzi dell’orfanotrofio (Chauncey, Talia, Lucy, Sal, Phee e Teo), Zoe, i membri del DIMAM e molti altri.
Come si fa a gestire tanti personaggi senza che nessuno risulti trascurato o poco definito? Io non saprei dirlo, ma T.J. Klune ci riesce magistralmente. Ognuno di loro ha una personalità unica, una storia ben costruita, un perché che lo rende vivo. Nessuno è lasciato indietro, nemmeno quello apparentemente più silenzioso di tutti (Sal, mi ha toccato nell'animo).
Devo ammettere che all’inizio temevo che alcuni bambini potessero finire in ombra, soprattutto considerando il carisma irresistibile di Lucy. Lui, con il suo magnetismo, cattura per forza di cose l’attenzione (e, in alcuni momenti, quasi si impone come co-protagonista). Eppure, con mia grande sorpresa e felicità, questa paura si è rivelata infondata: Lucy non ruba mai la scena agli altri. Ogni personaggio ha il proprio spazio, ogni momento è dedicato a qualcuno in modo esclusivo.
Quando, ad esempio, Talia, la gnoma, si prende cura del suo giardino, sei lì con lei, immerso nel suo borbottare sulla voglia di scavare "buche", e mentre lo fai, sai che altrove Chauncey sta provando davanti al suo amato specchio battute per diventare il miglior concierge della città. La narrazione riesce a darti la sensazione che il mondo sia in movimento, senza però mai distrarti dal cuore della scena che stai leggendo.
L’ambientazione è pura magia. Spesso mi sono ritrovata con la sensazione di trovarmi anch’io sull’isola, accanto a Linus e agli altri, ero con loro in cucina, ero con loro in quelle tanto amate ed allo stesso tempo odiate avventure (anche io come loro, con dei discutibili pantaloni color cachi), o persino in quella soffocante cantina (vi avviso: prendete dei fazzoletti appena Linus entra lì dentro). Ogni dettaglio è così vivido che non puoi fare a meno di sentirti parte della storia.
Se proprio devo trovare un difetto, direi che il climax della storia avrebbe potuto essere più carico di tensione. Non fraintendetemi: c’è stato un momento in cui mi sono preoccupata, ma mi aspettavo di arrivare al punto di disperarmi.
Questo, però, non toglie valore al viaggio complessivo, che rimane straordinario. È un percorso fatto di paure, pregiudizi e dubbi, ma anche di crescita, accettazione e scoperta di sé. Un viaggio che ci ricorda quanto sia importante accogliere gli altri e, soprattutto, noi stessi.
Infine, credo fermamente che questo libro debba essere portato nelle scuole, parla di accettazione, diversità, pregiudizio, sentimenti e di dignità.
Questo libro è una di quelle opere che, con una dolcezza disarmante e una delicatezza unica, ti spingono a guardarti dentro. Non solo nel "qui e ora" (nel mio caso, quello di una giovane adulta), ma anche nel passato. Ti porta a riflettere sull’adolescente che eri, sul bambino che sei stato, su ciò che hai fatto e su ciò che non hai avuto il coraggio di fare.
Ti costringe a chiederti quanto il pregiudizio e la paura (sia dell’ignoto sia della mancata comprensione) abbiano condizionato le tue scelte e influenzato la tua vita.
E questa riflessione non arriva con forzature, ma con una naturalezza sorprendente, ma soprattutto senza alcun giudizio. Come Linus Baker, il protagonista, comincia a porsi domande, a mettere in discussione le sue certezze e a permettersi di cambiare prospettiva, anche tu, lettore, ti ritrovi a fare lo stesso.
Quello che Arthur fa con Linus e con i SUOI bambini, lo fa anche con noi; ci prende, ci accoglie, ci fa mettere in discussione e ci insegna.
Il ritmo della narrazione è incalzante, fluido e dinamico, eppure non sacrifica mai i momenti importanti né, soprattutto, i personaggi. E questo è fondamentale, considerando il numero di figure presenti: Linus, Arthur, i ragazzi dell’orfanotrofio (Chauncey, Talia, Lucy, Sal, Phee e Teo), Zoe, i membri del DIMAM e molti altri.
Come si fa a gestire tanti personaggi senza che nessuno risulti trascurato o poco definito? Io non saprei dirlo, ma T.J. Klune ci riesce magistralmente. Ognuno di loro ha una personalità unica, una storia ben costruita, un perché che lo rende vivo. Nessuno è lasciato indietro, nemmeno quello apparentemente più silenzioso di tutti (Sal, mi ha toccato nell'animo).
Devo ammettere che all’inizio temevo che alcuni bambini potessero finire in ombra, soprattutto considerando il carisma irresistibile di Lucy. Lui, con il suo magnetismo, cattura per forza di cose l’attenzione (e, in alcuni momenti, quasi si impone come co-protagonista). Eppure, con mia grande sorpresa e felicità, questa paura si è rivelata infondata: Lucy non ruba mai la scena agli altri. Ogni personaggio ha il proprio spazio, ogni momento è dedicato a qualcuno in modo esclusivo.
Quando, ad esempio, Talia, la gnoma, si prende cura del suo giardino, sei lì con lei, immerso nel suo borbottare sulla voglia di scavare "buche", e mentre lo fai, sai che altrove Chauncey sta provando davanti al suo amato specchio battute per diventare il miglior concierge della città. La narrazione riesce a darti la sensazione che il mondo sia in movimento, senza però mai distrarti dal cuore della scena che stai leggendo.
L’ambientazione è pura magia. Spesso mi sono ritrovata con la sensazione di trovarmi anch’io sull’isola, accanto a Linus e agli altri, ero con loro in cucina, ero con loro in quelle tanto amate ed allo stesso tempo odiate avventure (anche io come loro, con dei discutibili pantaloni color cachi), o persino in quella soffocante cantina (vi avviso: prendete dei fazzoletti appena Linus entra lì dentro). Ogni dettaglio è così vivido che non puoi fare a meno di sentirti parte della storia.
Se proprio devo trovare un difetto, direi che il climax della storia avrebbe potuto essere più carico di tensione. Non fraintendetemi: c’è stato un momento in cui mi sono preoccupata, ma mi aspettavo di arrivare al punto di disperarmi.
Questo, però, non toglie valore al viaggio complessivo, che rimane straordinario. È un percorso fatto di paure, pregiudizi e dubbi, ma anche di crescita, accettazione e scoperta di sé. Un viaggio che ci ricorda quanto sia importante accogliere gli altri e, soprattutto, noi stessi.
Infine, credo fermamente che questo libro debba essere portato nelle scuole, parla di accettazione, diversità, pregiudizio, sentimenti e di dignità.
Cara Giulia. Quello che ho imparato da mia figlia by Marco Franzoso, Gino Cecchettin
5.0
Questa lettera d'addio, è dolce, quanto straziante.
Il dolore di Gino, dei fratelli di Giulia ed il dolore di una società che si ritrova ad affrontare qualcosa che si spera sempre possa essere il più lontano possibile, qualcosa che in un mondo ideale non esisterebbe.
E' il tentativo di riscatto ed allo stesso tempo la promessa da parte di Gino a Giulia ed allo stesso tempo che Gino fa a tutte le donne vittime di femminicidio. E' una promessa alla società.
Giulia non sarà più solo uno di quegli odiosi numeri, non più un ORRIBILE dato statistico, bensì sarà un simbolo ed una lezione, l'inizio di un qualcosa di migliore, l'inizio di una speranza più grande.
E' sicuramente anche un tentativo di andare a patti con una delle più grandi ferite che un padre possa subire ed è proprio questo che rende il tutto più doloroso ed allo stesso tempo fin troppo reale, si percepisce in queste pagine la voglia di riscatto da parte di un uomo che si rimprovera di non aver fatto abbastanza e che allo stesso tempo sta provando a rialzarsi da una delle cadute più critiche che possa aver subito e lo fa per lui, per i suoi figli, per Giulia, per la sua dolce ed amata moglie.
Gino non si preoccupa di nascondere la propria fragilità, ne parla apertamente e si rende conto di quanto alcuni precetti odierni possano averlo obbligato a tenere nascosto se stesso (vedasi quando Gino parla di come abbia subito la sua prima "shitstorm" perché non era sembrato abbastanza sconvolto dalla notizia su Giulia ed invece stava cercando di mascherare il più possibile quell'atroce dolore perché secondo lui era questo, quello che avrebbe dovuto fare, quello che la società silenziosamente gli aveva imposto).
Quanto effettivamente alle volte, il dover sopprimere una realtà, ovvero che OGNUNO di noi prova emozioni ed ha il SACROSANTO DIRITTO di essere fragile sia una "violenza", specialmente perché altrimenti che senso avrebbe vantarsi continuamente di essere diversi dalle bestie in quanto dotati di raziocinio ed umanità?
Perché questa "emotività" deve essere perennemente nascosta? Perché un uomo non ha il diritto di essere emotivo? Perché altrimenti non si è abbastanza "maschio"? E chi lo dice? Chi lo ha stabilito?
Gino quindi si prende carico di tutto questo, di tutte queste riflessioni e cerca di fare un ultimo e disperato tentativo di aiutare Giulia, come se volesse dimostrarle che lei, insieme alla sua adorata mamma, possano essere fieri di lui anche da lì.
Ad oggi, a più di un anno dall'uscita del libro, posso dire che lo ha fatto e lo sta facendo.
Questo infatti, a mio modesto parere, è uno di quei libri che dovrebbe essere portato nelle scuole, per far si che giovani possano comprendere di non essere soli, che possono avere una speranza, che non sono costretti a soccombere a se stessi, che la loro emotività è parte integrante di loro e che non devono sopprimerla. Che questo libro sia anche di aiuto agli adulti, che si facciano un esame di coscienza, proprio come fa Gino stesso, il quale mette in dubbio il suo passato, mette in dubbio se stesso, mette in dubbio i suoi genitori. Si rende conto di come anche "piccole" cose, possano avere un impatto nella realtà attuale un impatto più forte di quanto possiamo mai immaginare; mette in dubbio se stesso in quanto genitore.
In questo libro c'è tutto: dolore, tristezza, tantissimo amore ed anche rabbia; forse uno dei momenti più strazianti è proprio quando Gino non riesce più a nascondere questa emozione, la rabbia di aver perso una figlia, la rabbia di rendersi conto che quell'immagine della Giulia adulta, la Giulia mamma e la Giulia illustratrice non potrà esistere; è solo un'ideale, è solo una amara fantasia.
Però, nonostante ciò, che anche speranza.
Quindi io ve ne consiglio assolutamente la lettura, inoltre con l'acquisto di questo libro, si contribuisce a finanziare la fondazione Giulia Cecchettin, che si impegna a promuovere l'educazione e la sensibilizzazione sul tema della violenza di genere.
Il dolore di Gino, dei fratelli di Giulia ed il dolore di una società che si ritrova ad affrontare qualcosa che si spera sempre possa essere il più lontano possibile, qualcosa che in un mondo ideale non esisterebbe.
E' il tentativo di riscatto ed allo stesso tempo la promessa da parte di Gino a Giulia ed allo stesso tempo che Gino fa a tutte le donne vittime di femminicidio. E' una promessa alla società.
Giulia non sarà più solo uno di quegli odiosi numeri, non più un ORRIBILE dato statistico, bensì sarà un simbolo ed una lezione, l'inizio di un qualcosa di migliore, l'inizio di una speranza più grande.
E' sicuramente anche un tentativo di andare a patti con una delle più grandi ferite che un padre possa subire ed è proprio questo che rende il tutto più doloroso ed allo stesso tempo fin troppo reale, si percepisce in queste pagine la voglia di riscatto da parte di un uomo che si rimprovera di non aver fatto abbastanza e che allo stesso tempo sta provando a rialzarsi da una delle cadute più critiche che possa aver subito e lo fa per lui, per i suoi figli, per Giulia, per la sua dolce ed amata moglie.
Gino non si preoccupa di nascondere la propria fragilità, ne parla apertamente e si rende conto di quanto alcuni precetti odierni possano averlo obbligato a tenere nascosto se stesso (vedasi quando Gino parla di come abbia subito la sua prima "shitstorm" perché non era sembrato abbastanza sconvolto dalla notizia su Giulia ed invece stava cercando di mascherare il più possibile quell'atroce dolore perché secondo lui era questo, quello che avrebbe dovuto fare, quello che la società silenziosamente gli aveva imposto).
Quanto effettivamente alle volte, il dover sopprimere una realtà, ovvero che OGNUNO di noi prova emozioni ed ha il SACROSANTO DIRITTO di essere fragile sia una "violenza", specialmente perché altrimenti che senso avrebbe vantarsi continuamente di essere diversi dalle bestie in quanto dotati di raziocinio ed umanità?
Perché questa "emotività" deve essere perennemente nascosta? Perché un uomo non ha il diritto di essere emotivo? Perché altrimenti non si è abbastanza "maschio"? E chi lo dice? Chi lo ha stabilito?
Gino quindi si prende carico di tutto questo, di tutte queste riflessioni e cerca di fare un ultimo e disperato tentativo di aiutare Giulia, come se volesse dimostrarle che lei, insieme alla sua adorata mamma, possano essere fieri di lui anche da lì.
Ad oggi, a più di un anno dall'uscita del libro, posso dire che lo ha fatto e lo sta facendo.
Questo infatti, a mio modesto parere, è uno di quei libri che dovrebbe essere portato nelle scuole, per far si che giovani possano comprendere di non essere soli, che possono avere una speranza, che non sono costretti a soccombere a se stessi, che la loro emotività è parte integrante di loro e che non devono sopprimerla. Che questo libro sia anche di aiuto agli adulti, che si facciano un esame di coscienza, proprio come fa Gino stesso, il quale mette in dubbio il suo passato, mette in dubbio se stesso, mette in dubbio i suoi genitori. Si rende conto di come anche "piccole" cose, possano avere un impatto nella realtà attuale un impatto più forte di quanto possiamo mai immaginare; mette in dubbio se stesso in quanto genitore.
In questo libro c'è tutto: dolore, tristezza, tantissimo amore ed anche rabbia; forse uno dei momenti più strazianti è proprio quando Gino non riesce più a nascondere questa emozione, la rabbia di aver perso una figlia, la rabbia di rendersi conto che quell'immagine della Giulia adulta, la Giulia mamma e la Giulia illustratrice non potrà esistere; è solo un'ideale, è solo una amara fantasia.
Però, nonostante ciò, che anche speranza.
Quindi io ve ne consiglio assolutamente la lettura, inoltre con l'acquisto di questo libro, si contribuisce a finanziare la fondazione Giulia Cecchettin, che si impegna a promuovere l'educazione e la sensibilizzazione sul tema della violenza di genere.
The Beast by Jenika Snow
2.0
La Bella e la Bestia, versione peperoncina e con meno messaggio morale.
Sarò onesta, non mi è dispiaciuto, ma allo stesso tempo non mi ha nemmeno conquistata. Perché mi aspettavo il contrario? Perché io AMO "La Bella e la Bestia" ed ero piuttosto convinta che mi avrebbe fatta impazzire, gongolare e sghignazzare sotto le coperte; invece, tutto ciò non è avvenuto.
Si, ogni tanto ho sorriso, però allo stesso tempo era tutto così "insipido".
L'unico momento che mi è piaciuto e mi ha fatta urlare? E' quando la Bestia decide di staccare letteralmente la testa a quel montato di Gaston, il che è assurdo quando al centro dell'attenzione ci dovrebbe essere l'innamoramento tra i nostri protagonisti.
A proposito di ciò, è stato così veloce che non ho esattamente compreso quando Belle abbia cambiato idea sul nostro protagonista; che lui fosse interessato (sotto certi punti di vista ossessionato) da lei, lo comprendiamo ma lei?
E' sembrato solo che Belle lo abbia usato come capro espiatorio per andarsene dalla figura paterna (che tutto ha fatto tranne amarla, in questo libro) e per esplorare un lato più peperoncino di sè. FINE.
Ce ne vuole per sbagliare il rielaborare una trama che è stata già scritta, riscritta e rivista tante volte, eppure...
Tralasciando il mio senso di amarezza, la storia è oggettivamente scorrevole e le ambientazioni sono oggettivamente scritte bene; si riesce tranquillamente ad immaginare in quale luogo si trovano i protagonisti. Anche le scene più piccanti (che sono tendenzialmente alla fine della storia), non sono state male ed hanno permesso di esplorare un paio di aspetti che non erano stati approfonditi/citati precedentemente per quanto riguarda i nostri due protagonisti.
Sarò onesta, non mi è dispiaciuto, ma allo stesso tempo non mi ha nemmeno conquistata. Perché mi aspettavo il contrario? Perché io AMO "La Bella e la Bestia" ed ero piuttosto convinta che mi avrebbe fatta impazzire, gongolare e sghignazzare sotto le coperte; invece, tutto ciò non è avvenuto.
Si, ogni tanto ho sorriso, però allo stesso tempo era tutto così "insipido".
L'unico momento che mi è piaciuto e mi ha fatta urlare? E' quando la Bestia decide di staccare letteralmente la testa a quel montato di Gaston, il che è assurdo quando al centro dell'attenzione ci dovrebbe essere l'innamoramento tra i nostri protagonisti.
A proposito di ciò, è stato così veloce che non ho esattamente compreso quando Belle abbia cambiato idea sul nostro protagonista; che lui fosse interessato (sotto certi punti di vista ossessionato) da lei, lo comprendiamo ma lei?
E' sembrato solo che Belle lo abbia usato come capro espiatorio per andarsene dalla figura paterna (che tutto ha fatto tranne amarla, in questo libro) e per esplorare un lato più peperoncino di sè. FINE.
Ce ne vuole per sbagliare il rielaborare una trama che è stata già scritta, riscritta e rivista tante volte, eppure...
Tralasciando il mio senso di amarezza, la storia è oggettivamente scorrevole e le ambientazioni sono oggettivamente scritte bene; si riesce tranquillamente ad immaginare in quale luogo si trovano i protagonisti. Anche le scene più piccanti (che sono tendenzialmente alla fine della storia), non sono state male ed hanno permesso di esplorare un paio di aspetti che non erano stati approfonditi/citati precedentemente per quanto riguarda i nostri due protagonisti.
Tomorrow, and Tomorrow, and Tomorrow by Gabrielle Zevin
4.0
Questo libro è come se fosse una dolce favola per nerd (ma con l'attenzione di chi vuole regalare questa favola anche ad un pubblico più ampio).
Io che non sono una grande giocatrice e che non sono una grande appassionata di videogiochi, ho veramente ADORATO il citare i videogiochi e il richiamo alla cultura "nerd" videoludica. Ho molto apprezzato come lo stile di scrittura ti faccia quasi sentire di essere lì, insieme ai protagonisti della storia, come se stessi progettando insieme a loro, come se fossi uno dei protagonisti dei loro giochi.
Quindi se io, che non sono considerabile una "nerd" in senso stretto, ho apprezzato questo libro, figuriamoci una persona che invece si definisce tale. E questo discorso vale ancora di più, quando si scopre che l'autrice è una di quei nerd che ha visto ed ha giocato ad ognuno dei giochi citati nel libro.
Questo libro mi ha ricordato, sotto certi aspetti: "persone normali", perché Sam e Sadie sono personaggi decisamente complessi, dalle mille sfaccettature e che in certi momenti ti fanno una rabbia terribile. Sono anime così affini che allo stesso tempo risultano così lontane che questo le porta a scontrarsi; anime "figlie dei loro traumi" e non vi nego di aver pensato quanto fosse ironico il momento in cui Sadie si lamenta che "i giovani d'oggi non facciano altro che ripetere questa frase", perché probabilmente lei più di tutti odia il dover riconoscere questo aspetto di sé.
E' vittima del suo passato, è vittima del suo essere asociale, è vittima del suo non sapersi approcciare alla gente, è vittima delle sue paure e dei sensi di colpa.
Stesso discorso vale per Sam, però è vittima di una delle più grandi perdite della sua vita (quello della madre), è vittima del pregiudizio che l'avere un piede non propriamente funzionante causa, ed allo stesso tempo quello stesso piede lo rende vittima di un perenne flashback di quel giorno, è vittima del pregiudizio che il suo essere per metà coreano in un'America che non era ancora abbastanza aperta di mente da accettare ed includere etnie diverse.
E' proprio in questo essere vittima di se stessi e degli altri che loro due trovano un punto in comune, un linguaggio in comune e questa cosa io l'ho apprezzata particolarmente.
Se c'è una cosa che è messa in chiaro, infatti, è che Sam e Sadie non sanno come comunicare normalmente (ora ditemi che non vi ricordano Marianne e Connell), ma imparano a farlo solo attraverso un intermezzo: i giochi.
La loro amicizia è come se fosse una perenne partita, si perde ma si ricomincia daccapo.
E' questo infatti, l'ingrediente segreto che ti porta a immergere nella storia.
Il ritmo è scorrevole, nonostante non vi posso negare che in alcuni momenti linguaggi particolarmente specifici del mondo videoludico e della programmazione mi abbiano messo in difficoltà.
E' un libro che parla a tutti.
Ho riso, mi sono arrabbiata (e credetemi, ce n'è da arrabbiarsi con i nostri due protagonisti) e mi sono commossa, specialmente quando scopri il perché del titolo.
Quando ho realizzato io ero un fiume in piena, io ero uno tsunami, io ero la grande onda di Kanagawa rappresentata sulla copertina (infatti questo libro nasconde anche del grande simbolismo dentro le sue pagine).
Sam e Sadie non sono solo amici, sono molto di più: anime gemelle platoniche.
Io che non sono una grande giocatrice e che non sono una grande appassionata di videogiochi, ho veramente ADORATO il citare i videogiochi e il richiamo alla cultura "nerd" videoludica. Ho molto apprezzato come lo stile di scrittura ti faccia quasi sentire di essere lì, insieme ai protagonisti della storia, come se stessi progettando insieme a loro, come se fossi uno dei protagonisti dei loro giochi.
Quindi se io, che non sono considerabile una "nerd" in senso stretto, ho apprezzato questo libro, figuriamoci una persona che invece si definisce tale. E questo discorso vale ancora di più, quando si scopre che l'autrice è una di quei nerd che ha visto ed ha giocato ad ognuno dei giochi citati nel libro.
Questo libro mi ha ricordato, sotto certi aspetti: "persone normali", perché Sam e Sadie sono personaggi decisamente complessi, dalle mille sfaccettature e che in certi momenti ti fanno una rabbia terribile. Sono anime così affini che allo stesso tempo risultano così lontane che questo le porta a scontrarsi; anime "figlie dei loro traumi" e non vi nego di aver pensato quanto fosse ironico il momento in cui Sadie si lamenta che "i giovani d'oggi non facciano altro che ripetere questa frase", perché probabilmente lei più di tutti odia il dover riconoscere questo aspetto di sé.
E' vittima del suo passato, è vittima del suo essere asociale, è vittima del suo non sapersi approcciare alla gente, è vittima delle sue paure e dei sensi di colpa.
Stesso discorso vale per Sam, però è vittima di una delle più grandi perdite della sua vita (quello della madre), è vittima del pregiudizio che l'avere un piede non propriamente funzionante causa, ed allo stesso tempo quello stesso piede lo rende vittima di un perenne flashback di quel giorno, è vittima del pregiudizio che il suo essere per metà coreano in un'America che non era ancora abbastanza aperta di mente da accettare ed includere etnie diverse.
E' proprio in questo essere vittima di se stessi e degli altri che loro due trovano un punto in comune, un linguaggio in comune e questa cosa io l'ho apprezzata particolarmente.
Se c'è una cosa che è messa in chiaro, infatti, è che Sam e Sadie non sanno come comunicare normalmente (ora ditemi che non vi ricordano Marianne e Connell), ma imparano a farlo solo attraverso un intermezzo: i giochi.
La loro amicizia è come se fosse una perenne partita, si perde ma si ricomincia daccapo.
E' questo infatti, l'ingrediente segreto che ti porta a immergere nella storia.
Il ritmo è scorrevole, nonostante non vi posso negare che in alcuni momenti linguaggi particolarmente specifici del mondo videoludico e della programmazione mi abbiano messo in difficoltà.
E' un libro che parla a tutti.
Ho riso, mi sono arrabbiata (e credetemi, ce n'è da arrabbiarsi con i nostri due protagonisti) e mi sono commossa, specialmente quando scopri il perché del titolo.
Quando ho realizzato io ero un fiume in piena, io ero uno tsunami, io ero la grande onda di Kanagawa rappresentata sulla copertina (infatti questo libro nasconde anche del grande simbolismo dentro le sue pagine).
Sam e Sadie non sono solo amici, sono molto di più: anime gemelle platoniche.
Morning Glory Milking Farm by C.M. Nascosta
3.0
Recensione breve:
World building un po' confusionario, elementi fantastici buttati un po' a random, giusto per rendere più "normale" quello che è il pretesto della storia d'amore tra i due protagonisti e poi la realtà che loro vivono.
Loro due sono molto carini, generalmente non sono una fan dei colpi di fulmine, ma in questo caso, nonostante l'assurdità del loro incontro (perché potrebbe sembrare effettivamente "male"), è stato ben inserito.
Per il resto senza infamia e senza lode.
Forse avrebbero potuto approfondire un po' di più l'amicizia tra la protagonista e la vampira.
Lo spicy funziona abbastanza bene, non è mai al limite dell'assurdo anzi, a tratti mi sono ritrovata a ridere sotto le coperte piacevolmente imbarazzata.
World building un po' confusionario, elementi fantastici buttati un po' a random, giusto per rendere più "normale" quello che è il pretesto della storia d'amore tra i due protagonisti e poi la realtà che loro vivono.
Loro due sono molto carini, generalmente non sono una fan dei colpi di fulmine, ma in questo caso, nonostante l'assurdità del loro incontro (perché potrebbe sembrare effettivamente "male"), è stato ben inserito.
Per il resto senza infamia e senza lode.
Forse avrebbero potuto approfondire un po' di più l'amicizia tra la protagonista e la vampira.
Lo spicy funziona abbastanza bene, non è mai al limite dell'assurdo anzi, a tratti mi sono ritrovata a ridere sotto le coperte piacevolmente imbarazzata.
Intermezzo by Sally Rooney
4.0
Mi è piaciuto? Si, ma..
Se c'è una certezza per quanto mi riguarda è che per un motivo o per un altro, Sally Rooney, mi è sempre portata a detestare e ad arrabbiarmi particolarmente con i suoi personaggi, specialmente perché la maggior parte delle dinamiche degli scontri, si sarebbero risolte con un semplice e REALE dialogo.
In questo caso, io ho ottenuto quello che ho sempre desiderato di trovare nei libri dell'autrice, ovvero i protagonisti che imparano a comunicare, che imparano ad esprimere i loro desideri ma soprattutto i loro dolori (perché se Sally Rooney non tenta di portarti sull'orlo delle lacrime, non è contenta), eppure è come se mi sia mancato quello che è il marchio di fabbrica della Rooney.
Siamo abituati alla nostra autrice che per un motivo o per un altro, in una maniera diretta ed allo stesso tempo indiretta, porta i protagonisti a scontrarsi; in questo caso, però lo scontro tra i due fratelli, non dico che non ci sia, ma è come se il potenziale dello stesso, non fosse stato sfruttato al meglio.
Se il libro deve analizzare il rapporto tra i fratelli, se deve analizzare il tentativo di ritrovare un equilibrio dopo che l'unica persona che li aveva tenuti ancora "legati", se deve parlare di due fratelli che stanno affrontano quello che è il senso di tradimento di uno nei confronti dell'altro, perché non giocare su questa cosa? Perché possiamo ricondurre lo "scontro" solo ad un'unica scena? Perché sprecare tutto quello che sarebbe stato il potenziale?
Io posso comprendere che sia totalmente difficile, specialmente perché abbiamo un Ivan (con tratti appartenenti allo spettro autistico), che è un fratello minore che si sente tradito dal fratello maggiore.
Ivan ha sempre visto come un idolo, come un punto di arrivo, come un esempio da seguire il maggiore ed è dovuto andare a patti (anche nei limiti del caso), per una serie di motivi, che quella persona che lui ha sempre idealizzato non esiste, che quella persona in cui lui ha sempre pensato di poter riporre fiducia, che quella persona che credeva l'avrebbe protetto e/o compreso, è stata solo frutto di "fantasia".
Allo stesso tempo abbiamo Peter, forse il personaggio che ho più detestato (penso sia volutamente pensato/scritto così), specialmente perché è quasi fastidioso il modo con cui lui si erge a "giudice". Lui crede di essere il migliore, perché lui è un avvocato , perché lui al contrario di altri, si è fatto il mazzo per potersi guadagnare il suo posto, perché lui la cultura se l'è dovuta conquistare.
In più occasioni, mi sono trovata a pensare "okay, ma se solo scendessi da quel piedistallo e ti guardassi a quel dannato specchio, renditi conto che quello di cui accusi gli altri, dovrebbe essere la stessa accusa che rivolgi a te stesso", infatti, penso che sia proprio questo, la chiave di lettura per quella che poi è effettivamente la crescita di Peter (comunque una crescita non indifferente).
Non vi nego, però, che questa crescita avrei voluto fosse in seguito anche a scontri reali con il fratello e non a scontri invisibili con se stesso e discussioni con le sue damigelle (quella sottospecie di "troppia" per me è un grande no).
Ho percepito come se fosse mancato quel "pizzico di sale" per potermi portare a dire che questo libro sarebbe stato per me memorabile
Se c'è una certezza per quanto mi riguarda è che per un motivo o per un altro, Sally Rooney, mi è sempre portata a detestare e ad arrabbiarmi particolarmente con i suoi personaggi, specialmente perché la maggior parte delle dinamiche degli scontri, si sarebbero risolte con un semplice e REALE dialogo.
In questo caso, io ho ottenuto quello che ho sempre desiderato di trovare nei libri dell'autrice, ovvero i protagonisti che imparano a comunicare, che imparano ad esprimere i loro desideri ma soprattutto i loro dolori (perché se Sally Rooney non tenta di portarti sull'orlo delle lacrime, non è contenta), eppure è come se mi sia mancato quello che è il marchio di fabbrica della Rooney.
Siamo abituati alla nostra autrice che per un motivo o per un altro, in una maniera diretta ed allo stesso tempo indiretta, porta i protagonisti a scontrarsi; in questo caso, però lo scontro tra i due fratelli, non dico che non ci sia, ma è come se il potenziale dello stesso, non fosse stato sfruttato al meglio.
Se il libro deve analizzare il rapporto tra i fratelli, se deve analizzare il tentativo di ritrovare un equilibrio dopo che l'unica persona che li aveva tenuti ancora "legati", se deve parlare di due fratelli che stanno affrontano quello che è il senso di tradimento di uno nei confronti dell'altro, perché non giocare su questa cosa? Perché possiamo ricondurre lo "scontro" solo ad un'unica scena? Perché sprecare tutto quello che sarebbe stato il potenziale?
Io posso comprendere che sia totalmente difficile, specialmente perché abbiamo un Ivan (con tratti appartenenti allo spettro autistico), che è un fratello minore che si sente tradito dal fratello maggiore.
Ivan ha sempre visto come un idolo, come un punto di arrivo, come un esempio da seguire il maggiore ed è dovuto andare a patti (anche nei limiti del caso), per una serie di motivi, che quella persona che lui ha sempre idealizzato non esiste, che quella persona in cui lui ha sempre pensato di poter riporre fiducia, che quella persona che credeva l'avrebbe protetto e/o compreso, è stata solo frutto di "fantasia".
Allo stesso tempo abbiamo Peter, forse il personaggio che ho più detestato (penso sia volutamente pensato/scritto così), specialmente perché è quasi fastidioso il modo con cui lui si erge a "giudice". Lui crede di essere il migliore, perché lui è un avvocato , perché lui al contrario di altri, si è fatto il mazzo per potersi guadagnare il suo posto, perché lui la cultura se l'è dovuta conquistare.
In più occasioni, mi sono trovata a pensare "okay, ma se solo scendessi da quel piedistallo e ti guardassi a quel dannato specchio, renditi conto che quello di cui accusi gli altri, dovrebbe essere la stessa accusa che rivolgi a te stesso", infatti, penso che sia proprio questo, la chiave di lettura per quella che poi è effettivamente la crescita di Peter (comunque una crescita non indifferente).
Non vi nego, però, che questa crescita avrei voluto fosse in seguito anche a scontri reali con il fratello e non a scontri invisibili con se stesso e discussioni con le sue damigelle (quella sottospecie di "troppia" per me è un grande no).
Ho percepito come se fosse mancato quel "pizzico di sale" per potermi portare a dire che questo libro sarebbe stato per me memorabile
Chemical Hearts by Ribes Halley
3.0
Non lo nego, se non fosse per affetto alla storia letta su Wattpad, probabilmente questo libro non lo avrei continuato.
Il problema sta proprio nel meccanismo che sulla piattaforma su cui era precedentemente, funzionava, in formato cartaceo non così tanto.
Inoltre, penso non sia oggettivamente una scelta vincente quella della suddivisione della storia in due libri separati.
Se andava fatta questa scelta, a mio modesto parere, era necessario fare un lavoro di editing a livello di "taglia e cuci" per far si che la storia vedesse il suo potenziale sfruttato al meglio.
Il primo libro dovrebbe portare almeno ad una conclusione dal punto di vista di una dinamica, ovvero quella della nascita dell'amore tra i due protagonisti ed oggettivamente non si può dire che questo, avvenga.
Lana continua a mentire a se stessa, raccontandosi una serie di bugie a cui non crede nessuno, men che meno lei. Seth, invece, sembra solo il "tipico" professore frustrato dalla vita, che si ritrova a fare una cosa che non gli piace (tecnicamente insegnare), con un palese bipolarismo non diagnosticato.
Io non pretendo che alla fine di questo primo libro, si arrivi alla dichiarazione d'amore, perché non sarebbe corretto e non avrebbe senso, ma mi aspetto che per quanto il loro rapporto non possa essere oggettivamente lineare, almeno inizi a prendere una certa via.
Comprendo le rispettive difficoltà di ognuno dei personaggi, ma mi rendo conto di comprenderle perché, almeno in parte, so cosa succede nel seguito.
Se si è deciso di mantenere la parte d'azione ed il vero dramma nel secondo libro (di cui posso comprendere le ragioni) perché non giocare meglio su altro?
Inoltre, non nego che avrei apprezzato la presenza di un doppio pov o se, non fattibile (perché avrebbe implicato svelare quello che poi sarà il cliffhanger alla fine della storia), almeno giocare sulla complicità tra Lana e Seth, che porta la prima a "intortare" spesso il secondo e a permetterle di farsi sfuggire qualcosa sullo stato d'animo del medico bello, dannato e frustrato.
Tutto ciò che vi ho precedentemente accennato, mi fa ancora più rabbia, specialmente perché la costruzione della chimica e della "passione" tra i due protagonisti è oggettivamente alle stelle, specialmente dopo (quella che secondo me è) la "scena madre" legata a Noah e all'intervento. I due sono complici in tutto e per tutto.
Peccato anche per alcuni personaggi secondari che in alcuni momenti sembrano solo delle macchiette, delle comparse di cui a malapena ti rendi conto, se non per il personaggio di Thomas che invece sembra essere curato di più (perché oggettivamente ha anche più interazioni essendo più presente nelle loro dinamiche).
Il problema sta proprio nel meccanismo che sulla piattaforma su cui era precedentemente, funzionava, in formato cartaceo non così tanto.
Inoltre, penso non sia oggettivamente una scelta vincente quella della suddivisione della storia in due libri separati.
Se andava fatta questa scelta, a mio modesto parere, era necessario fare un lavoro di editing a livello di "taglia e cuci" per far si che la storia vedesse il suo potenziale sfruttato al meglio.
Il primo libro dovrebbe portare almeno ad una conclusione dal punto di vista di una dinamica, ovvero quella della nascita dell'amore tra i due protagonisti ed oggettivamente non si può dire che questo, avvenga.
Lana continua a mentire a se stessa, raccontandosi una serie di bugie a cui non crede nessuno, men che meno lei. Seth, invece, sembra solo il "tipico" professore frustrato dalla vita, che si ritrova a fare una cosa che non gli piace (tecnicamente insegnare), con un palese bipolarismo non diagnosticato.
Io non pretendo che alla fine di questo primo libro, si arrivi alla dichiarazione d'amore, perché non sarebbe corretto e non avrebbe senso, ma mi aspetto che per quanto il loro rapporto non possa essere oggettivamente lineare, almeno inizi a prendere una certa via.
Comprendo le rispettive difficoltà di ognuno dei personaggi, ma mi rendo conto di comprenderle perché, almeno in parte, so cosa succede nel seguito.
Se si è deciso di mantenere la parte d'azione ed il vero dramma nel secondo libro (di cui posso comprendere le ragioni) perché non giocare meglio su altro?
Inoltre, non nego che avrei apprezzato la presenza di un doppio pov o se, non fattibile (perché avrebbe implicato svelare quello che poi sarà il cliffhanger alla fine della storia), almeno giocare sulla complicità tra Lana e Seth, che porta la prima a "intortare" spesso il secondo e a permetterle di farsi sfuggire qualcosa sullo stato d'animo del medico bello, dannato e frustrato.
Tutto ciò che vi ho precedentemente accennato, mi fa ancora più rabbia, specialmente perché la costruzione della chimica e della "passione" tra i due protagonisti è oggettivamente alle stelle, specialmente dopo (quella che secondo me è) la "scena madre" legata a Noah e all'intervento. I due sono complici in tutto e per tutto.
Peccato anche per alcuni personaggi secondari che in alcuni momenti sembrano solo delle macchiette, delle comparse di cui a malapena ti rendi conto, se non per il personaggio di Thomas che invece sembra essere curato di più (perché oggettivamente ha anche più interazioni essendo più presente nelle loro dinamiche).
Brutale (Mafia Romance) by A. Coppola, A. Coppola
1.0
Io non sono una fan dei finali drammatici, sono sempre per il "e vissero tutti felici e contenti", ma mi credete se vi dico che per UNA volta avrei preferito il finale alla Romeo e Giulietta?
BENE! ECCOCI QUA!
Non so perché ho deciso di farmi così tanto male e portare avanti la lettura.
Forse perché la mia sindrome da crocerossina stava vincendo anche contro un libro che era irrecuperabile? Forse perché il filo conduttore di fondo in qualche modo poteva interessarmi? Forse perché ero curiosa di come avrebbe sbrogliato la situazione la nostra autrice? Chi lo sa!
Perché infondo, non lo nego, la trama di base non è nemmeno così male.
Sia chiaro, rimaniamo sempre nei limiti e nella surrealtà dei mafia romance, che per forza di cose non sono proprio super pertinenti a quella che sarebbe la realtà, però insomma.. la storia poteva giocarsela decisamente meglio.
Allora se di base la storia poteva giocarsela, perché ho parlato di libro "irrecuperabile"?
Perché quello che qui manca, a mio modesto parere, è un grande lavoro di editing: le scene hanno troppi ritmi diversi (prima abbiamo tempi biblici, poi abbiamo salti temporali, poi l'innamoramento che è quasi istantaneao e non distanzato nel tempo), vengono buttate in mezzo mille tematiche diverse, ma non vengono affrontate minimamente.
Come:
Il poliamore, messo lì, introdotto e poi buttato in caciara tre secondi dopo, per forzare una storia e nascondersi dietro il "mommy and daddy issues".
Che sia chiaro, non dico che NON possa essere così, ma perché non far coesistere entrambe le realtà? Perché una persona che pensa di essere poliamorosa, poi, per un motivo o per un altro non può poi ritrovarsi in una relazione monogama? No, nascondiamoci dietro il "mamma non mi dava abbastanza amore" (che poi, comunque non vi nego che non si capisce bene perché la nostra protagonista fosse "innamorata" dei suoi due fidanzati all'inizio, però insomma se vuoi fare la paladina del poliamore, devi farlo con un criterio).
Il suicidio, anche quello, messo lì e poi BOH.
Io CAPISCO che ci sia un perché al perché la tematica non sia stata totalmente approfondita, ma non si può comunque parlare del senso di perdita? (cerco di rimanere il più neutrale possibile per non fare spoiler).
E poi il problema principale: le scene peperoncine.
Lasciando perdere che il più delle volte mi siano sembrate buttate lì, come un "non so cosa fare, allora li faccio fare all'ammmmore", ma sono state proprio cringe!
Ve lo dice una che ADORA leggere di scene peperoncine, che non si è fatta problemi a fantasticare di essere coinvolta in scene di altri dark romance non proprio "family friendly" (Zade mi sta guardando dal mio subconscio, palese).
Io non dico che per forza TUTTE le scene devono essere credibili, perché per carità, ci può stare che qualche scena possa perdere di impatto; ma che almeno più di una lo fosse, magari si!
Il dirty talk, proprio randomico, per nulla coinvolgente!
Sembra un perenne ammasso di "tr0i3tt4" "putt4n3ll4" e basta.
Novità dell'ultimo secondo, il dirty talk NON è quello!
Io non so se l'autrice si sia immedesimata in Odette o in Rigo, nel mentre che scriveva le scene peperoncine, ma onestamente a me non è sembrato così. Non ho percepito le sensazioni che dovevano esserci se non per poche volte e calcolando che il libro ha molte scene +18, capite che c'è un problema.
Ma poi la scena a quattro? MAH.
Un altro problema che ho riscontrato, è stato sui vari POV.
Perché?
Perché era come se ogni personaggio, sapesse i punti di vista dell'altro e proprio per questo, mi sono sembrati ripetitivi.
Esempio: leggevi di Odette che in qualche modo leggeva nella mente di Gonzalo (il padre di Rigo, nostro protagonista maschile) e tre secondi dopo, avevi il POV di Gonzalo che indovina un po'? Ti diceva esattamente quello che tre secondi prima, avevi letto nel POV di Odette.
I personaggi NON possono essere onniscienti specialmente se mi scrivi il libro al presente (anche qui ci sarebbe da approfondire, ma non approfondirò altrimenti non ne usciamo più)!
Una cosa è che leggi di ipotesi su comportamenti fatti dal personaggio X, secondo il POV di Y (e di regola le ipotesi andrebbero fatte se i personaggi si conoscono bene, però non approfondisco), una cosa è che leggi proprio la pretesa di sapere cosa stia pensando X, i perché e i percome!
I protagonisti invece, mi hanno lasciato un po' indifferente.
Odette non mi ha mai fatto impazzire, però riconosco un vago miglioramento e percorso di crescita, quindi è solo mio gusto personale.
Rigo ha il tipico bipolarismo da malessere, che da una parte ci può stare, dall'altra parte mi è sempre sembrato un po' forzato (non penso sia stato gestito bene, a maggior ragione se, pensandoci avevi la scusa bella e buona del "daddy issues").
Alcuni personaggi secondari, sarebbero potuti essere approfonditi di più: vedasi Serena, Davis e Pablo, però chi lo sa, magari sugli ultimi due proverà a farci uno spin off?
Altra cosa che non ho ben capito, è il modo con cui è stata fatta finire la storia poliamorosa.
Anche qui è sembrato molto un "so che devo farla finire, quindi eccola qui, una macchia di colore, perché so che ci deve essere, poi che non abbia una totale coerenza, sticazzi".
Riconosco però che lo stile di scrittura è stato piuttosto scorrevole, quindi è stato anche questo ad aiutarmi nel portare a termine la lettura.
BENE! ECCOCI QUA!
Non so perché ho deciso di farmi così tanto male e portare avanti la lettura.
Forse perché la mia sindrome da crocerossina stava vincendo anche contro un libro che era irrecuperabile? Forse perché il filo conduttore di fondo in qualche modo poteva interessarmi? Forse perché ero curiosa di come avrebbe sbrogliato la situazione la nostra autrice? Chi lo sa!
Perché infondo, non lo nego, la trama di base non è nemmeno così male.
Sia chiaro, rimaniamo sempre nei limiti e nella surrealtà dei mafia romance, che per forza di cose non sono proprio super pertinenti a quella che sarebbe la realtà, però insomma.. la storia poteva giocarsela decisamente meglio.
Allora se di base la storia poteva giocarsela, perché ho parlato di libro "irrecuperabile"?
Perché quello che qui manca, a mio modesto parere, è un grande lavoro di editing: le scene hanno troppi ritmi diversi (prima abbiamo tempi biblici, poi abbiamo salti temporali, poi l'innamoramento che è quasi istantaneao e non distanzato nel tempo), vengono buttate in mezzo mille tematiche diverse, ma non vengono affrontate minimamente.
Come:
Il poliamore, messo lì, introdotto e poi buttato in caciara tre secondi dopo, per forzare una storia e nascondersi dietro il "mommy and daddy issues".
Che sia chiaro, non dico che NON possa essere così, ma perché non far coesistere entrambe le realtà? Perché una persona che pensa di essere poliamorosa, poi, per un motivo o per un altro non può poi ritrovarsi in una relazione monogama? No, nascondiamoci dietro il "mamma non mi dava abbastanza amore" (che poi, comunque non vi nego che non si capisce bene perché la nostra protagonista fosse "innamorata" dei suoi due fidanzati all'inizio, però insomma se vuoi fare la paladina del poliamore, devi farlo con un criterio).
Il suicidio, anche quello, messo lì e poi BOH.
Io CAPISCO che ci sia un perché al perché la tematica non sia stata totalmente approfondita, ma non si può comunque parlare del senso di perdita? (cerco di rimanere il più neutrale possibile per non fare spoiler).
E poi il problema principale: le scene peperoncine.
Lasciando perdere che il più delle volte mi siano sembrate buttate lì, come un "non so cosa fare, allora li faccio fare all'ammmmore", ma sono state proprio cringe!
Ve lo dice una che ADORA leggere di scene peperoncine, che non si è fatta problemi a fantasticare di essere coinvolta in scene di altri dark romance non proprio "family friendly" (Zade mi sta guardando dal mio subconscio, palese).
Io non dico che per forza TUTTE le scene devono essere credibili, perché per carità, ci può stare che qualche scena possa perdere di impatto; ma che almeno più di una lo fosse, magari si!
Il dirty talk, proprio randomico, per nulla coinvolgente!
Sembra un perenne ammasso di "tr0i3tt4" "putt4n3ll4" e basta.
Novità dell'ultimo secondo, il dirty talk NON è quello!
Io non so se l'autrice si sia immedesimata in Odette o in Rigo, nel mentre che scriveva le scene peperoncine, ma onestamente a me non è sembrato così. Non ho percepito le sensazioni che dovevano esserci se non per poche volte e calcolando che il libro ha molte scene +18, capite che c'è un problema.
Ma poi la scena a quattro? MAH.
Un altro problema che ho riscontrato, è stato sui vari POV.
Perché?
Perché era come se ogni personaggio, sapesse i punti di vista dell'altro e proprio per questo, mi sono sembrati ripetitivi.
Esempio: leggevi di Odette che in qualche modo leggeva nella mente di Gonzalo (il padre di Rigo, nostro protagonista maschile) e tre secondi dopo, avevi il POV di Gonzalo che indovina un po'? Ti diceva esattamente quello che tre secondi prima, avevi letto nel POV di Odette.
I personaggi NON possono essere onniscienti specialmente se mi scrivi il libro al presente (anche qui ci sarebbe da approfondire, ma non approfondirò altrimenti non ne usciamo più)!
Una cosa è che leggi di ipotesi su comportamenti fatti dal personaggio X, secondo il POV di Y (e di regola le ipotesi andrebbero fatte se i personaggi si conoscono bene, però non approfondisco), una cosa è che leggi proprio la pretesa di sapere cosa stia pensando X, i perché e i percome!
I protagonisti invece, mi hanno lasciato un po' indifferente.
Odette non mi ha mai fatto impazzire, però riconosco un vago miglioramento e percorso di crescita, quindi è solo mio gusto personale.
Rigo ha il tipico bipolarismo da malessere, che da una parte ci può stare, dall'altra parte mi è sempre sembrato un po' forzato (non penso sia stato gestito bene, a maggior ragione se, pensandoci avevi la scusa bella e buona del "daddy issues").
Alcuni personaggi secondari, sarebbero potuti essere approfonditi di più: vedasi Serena, Davis e Pablo, però chi lo sa, magari sugli ultimi due proverà a farci uno spin off?
Altra cosa che non ho ben capito, è il modo con cui è stata fatta finire la storia poliamorosa.
Anche qui è sembrato molto un "so che devo farla finire, quindi eccola qui, una macchia di colore, perché so che ci deve essere, poi che non abbia una totale coerenza, sticazzi".
Riconosco però che lo stile di scrittura è stato piuttosto scorrevole, quindi è stato anche questo ad aiutarmi nel portare a termine la lettura.
Emolacria: It's in the blood by Samantha Grandotti, Samantha Grandotti
5.0
“Non lasciarti bruciare, sii tu a bruciare tutto. Brucia tutto mon ami.”
Come si inizia a parlare di un libro che oggettivamente ti è piaciuto così tanto al punto tale da non trovargli difetti?
Questo libro, nel caso non si fosse capito, mi è piaciuto moltissimo: i personaggi, l’ambientazione, il worldbuilding.
Sarah, la nostra protagonista femminile, fa un percorso di crescita non indifferente, un percorso che inizia sin dalle prime pagine del libro e che diventa sempre più esponenzialmente grande nel momento in cui ci si avvicina alla fine della storia.
Sarah è un personaggio che tutti (chi più, chi meno), può sentire vicino, chi per il bisogno di sentirsi sempre il migliore in qualcosa (come se da quel successo dipendesse anche solamenTe la tua vita), chi per il bisogno di nascondersi nell’oscurità, ma allo stesso tempo con il folle desiderio di cercare la luce, disposti perfino a bruciarsi, se questo significa poter provare almeno per un secondo quella sensazione di calore.
Sarah, è lo yin e lo yang, la coesistenza dell’oscurità e della luce; non è un caso che sia proprio lei a diventare simbolo di quella rivoluzione che lei per tanti anni, ha ignorato e soprattutto evitato.
Tristan, il protagonista maschile, è il personaggio che però fa il percorso di crescita più di impatto perché, se è vero che le scelte di Sarah richiedono coraggio, quella di Tristan forse lo richiede ancora di più. Si tratta di dover mettere in discussione tutto di sé, mettere in dubbio qualsiasi scelta di vita, non potersi più nascondere dietro un dito, non poter più far finta di non vedere la sofferenza/il dolore che si sta causando, non poter più credere al fatto che tutto sia a causa di un bene superiore, non poter più credere a quell’idea che chi pensavi ti stesse proteggendo, in realtà ti stesse perennemente e continuamente pugnalando alle spalle, che chi pensavi ti stesse proteggendo di ha ormai reso un’arma: un sicario del dolore.
Tristan è un personaggio complesso e non vi nego che in un momento l’ho quasi detestato; perché volevo che finalmente si schierasse, perché volevo ardentemente che aprisse gli occhi. Ma è proprio in quella complessità che la sua paura di scegliere, che la sua difficoltà di voltare le spalle a ciò che gli ha dato un briciolo di speranza, trova l’impatto di cui vi ho accennato precedentemente. È in questo contrasto, in questa sua complessità, che il personaggio risulta essere credibile, reale. Ti affanni con lui, soffri con lui, ti arrabbi e vieni tradito insieme a lui.
L’assistente del professore, poi? Una delle più belle menzogne a cui io abbia voluto credere (io un po’ come Sarah).
Marlowe, è quel personaggio di cui tu percepisci il marcio, ma allo stesso di cui non vuoi vederlo. Affascina Sarah, ma affascina anche te, lettore. È quel personaggio che ti confonde, ma lo fa in maniera così accurata, che quasi gli riesci a credere, quasi riesci a dargli ragione. È quel personaggio che ti fa sperare di avere torto, anche sapendo che non sarà così.
Lui ti fa cadere nella sua trappola, ma nel mentre te ne fa essere consapevole.
E Samantha ha trovato esattamente la frase per descrivere questo malvagio incanto: “la sua bellezza era qualcosa che ti lacerava e ti faceva desiderare di morire guardandolo”.
Ho adorato anche i personaggi secondari: Amira, Kay, Lily e infine Leon (lui, più di tutti). Ognuno con una propria caratterizzazione, ognuno con le sue fragilità, ognuno con la sua forza.
Ecco, questo libro racchiude esattamente questo gioco di contrasti, questo perenne dondolare tra paura e coraggio, tra dolore e gioia, tra fragilità e forza (il che è accurato calcolando la realtà che viene narrata nel libro).
Samantha ha dato giustizia ad ogni personaggio, anche i più crudeli e meschini, permettendoti di odiarli dal profondo del tuo cuore, facendoti ribollire il sangue come solo quella rabbia viscerale potrebbe.
E’ stata bravissima a trascinarti in questa giostra, a farti ridere ma anche a farti piangere, a logorarti dentro, ma anche a ricucirti, ricostruirti e farti rinascere, quella stessa rinascita che è stata concessa a Sarah e gli altri ritornarti.
“Mi sento come se mi avessi dissepolto da una fossa, le tue mani non hanno mai smesso di scavare, finché non mi hanno trovato.”
Come si inizia a parlare di un libro che oggettivamente ti è piaciuto così tanto al punto tale da non trovargli difetti?
Questo libro, nel caso non si fosse capito, mi è piaciuto moltissimo: i personaggi, l’ambientazione, il worldbuilding.
Sarah, la nostra protagonista femminile, fa un percorso di crescita non indifferente, un percorso che inizia sin dalle prime pagine del libro e che diventa sempre più esponenzialmente grande nel momento in cui ci si avvicina alla fine della storia.
Sarah è un personaggio che tutti (chi più, chi meno), può sentire vicino, chi per il bisogno di sentirsi sempre il migliore in qualcosa (come se da quel successo dipendesse anche solamenTe la tua vita), chi per il bisogno di nascondersi nell’oscurità, ma allo stesso tempo con il folle desiderio di cercare la luce, disposti perfino a bruciarsi, se questo significa poter provare almeno per un secondo quella sensazione di calore.
Sarah, è lo yin e lo yang, la coesistenza dell’oscurità e della luce; non è un caso che sia proprio lei a diventare simbolo di quella rivoluzione che lei per tanti anni, ha ignorato e soprattutto evitato.
Tristan, il protagonista maschile, è il personaggio che però fa il percorso di crescita più di impatto perché, se è vero che le scelte di Sarah richiedono coraggio, quella di Tristan forse lo richiede ancora di più. Si tratta di dover mettere in discussione tutto di sé, mettere in dubbio qualsiasi scelta di vita, non potersi più nascondere dietro un dito, non poter più far finta di non vedere la sofferenza/il dolore che si sta causando, non poter più credere al fatto che tutto sia a causa di un bene superiore, non poter più credere a quell’idea che chi pensavi ti stesse proteggendo, in realtà ti stesse perennemente e continuamente pugnalando alle spalle, che chi pensavi ti stesse proteggendo di ha ormai reso un’arma: un sicario del dolore.
Tristan è un personaggio complesso e non vi nego che in un momento l’ho quasi detestato; perché volevo che finalmente si schierasse, perché volevo ardentemente che aprisse gli occhi. Ma è proprio in quella complessità che la sua paura di scegliere, che la sua difficoltà di voltare le spalle a ciò che gli ha dato un briciolo di speranza, trova l’impatto di cui vi ho accennato precedentemente. È in questo contrasto, in questa sua complessità, che il personaggio risulta essere credibile, reale. Ti affanni con lui, soffri con lui, ti arrabbi e vieni tradito insieme a lui.
L’assistente del professore, poi? Una delle più belle menzogne a cui io abbia voluto credere (io un po’ come Sarah).
Marlowe, è quel personaggio di cui tu percepisci il marcio, ma allo stesso di cui non vuoi vederlo. Affascina Sarah, ma affascina anche te, lettore. È quel personaggio che ti confonde, ma lo fa in maniera così accurata, che quasi gli riesci a credere, quasi riesci a dargli ragione. È quel personaggio che ti fa sperare di avere torto, anche sapendo che non sarà così.
Lui ti fa cadere nella sua trappola, ma nel mentre te ne fa essere consapevole.
E Samantha ha trovato esattamente la frase per descrivere questo malvagio incanto: “la sua bellezza era qualcosa che ti lacerava e ti faceva desiderare di morire guardandolo”.
Ho adorato anche i personaggi secondari: Amira, Kay, Lily e infine Leon (lui, più di tutti). Ognuno con una propria caratterizzazione, ognuno con le sue fragilità, ognuno con la sua forza.
Ecco, questo libro racchiude esattamente questo gioco di contrasti, questo perenne dondolare tra paura e coraggio, tra dolore e gioia, tra fragilità e forza (il che è accurato calcolando la realtà che viene narrata nel libro).
Samantha ha dato giustizia ad ogni personaggio, anche i più crudeli e meschini, permettendoti di odiarli dal profondo del tuo cuore, facendoti ribollire il sangue come solo quella rabbia viscerale potrebbe.
E’ stata bravissima a trascinarti in questa giostra, a farti ridere ma anche a farti piangere, a logorarti dentro, ma anche a ricucirti, ricostruirti e farti rinascere, quella stessa rinascita che è stata concessa a Sarah e gli altri ritornarti.
“Mi sento come se mi avessi dissepolto da una fossa, le tue mani non hanno mai smesso di scavare, finché non mi hanno trovato.”