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City of Ghosts by V.E. Schwab

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adventurous funny mysterious medium-paced
  • Plot- or character-driven? A mix
  • Strong character development? It's complicated
  • Loveable characters? Yes
  • Diverse cast of characters? No
  • Flaws of characters a main focus? No

4.0

Cassidy Blake dovrebbe essere morta: quella caduta nel fiume ghiacciato sarebbe dovuta essere fatale, eppure, per qualche inspiegabile motivo, è stata risparmiata e ora ha un piede tanto nel mondo dei vivi quanto in quello dei morti. È per questo che ora Cassidy può attraversare quello che lei definisce il Velo, ciò che separa i due mondi, e avere accesso alla terra degli spiriti. Cass, che non ha mai rivelato a nessuno che cosa le è successo, si chiede spesso che cosa penserebbero i suoi genitori se sapessero della sua particolare capacità, proprio loro che per lavoro si occupano di fantasmi. Sarà proprio a causa di questi ultimi e del loro nuovo programma televisivo incentrato sui luoghi più infestati del mondo che Cassidy dovrà rinunciare alla tanto attesa vacanza al mare per seguirli ad Edimburgo, la prima tappa del loro show, già tremando al pensiero di cosa le riserverà una città tanto spettrale...

Victoria/V.E. Schwab è ormai diventata una garanzia per me: avendo praticamente apprezzato ogni suo libro (e graphic novel) letto, ho deciso, pian piano, di recuperare anche il resto delle sue opere (eccetto un paio che, personalmente, mi incuriosisce poco e niente); essendo Ottobre, mi è sembrato opportuno leggere finalmente City of Ghosts, il primo volume della sua trilogia middle grade paranormale. Come previsto, City of Ghosts si è rivelata la lettura perfetta per il periodo, oltre ad essere l'ennesima prova della bravura di Victoria Schwab, un'autrice su cui posso sempre contare quando ho voglia di storie uniche, interessanti ed appassionanti. Per quanto io abbia apprezzato City of Ghosts però, devo ammettere di averlo trovato, sotto certi punti di vista, leggermente inferiore rispetto agli altri libri young adult e adult della Schwab.

City of Ghosts è quel tipico primo volume (di una trilogia, di una saga, etc.) che è più un'introduzione che altro; Victoria Schwab infatti mira innanzitutto a presentarci e a farci conoscere bene la protagonista, Cassidy, questa ragazzina che dopo essere scampata a malapena alla morte può ora attraversare il confine - che lei definisce il Velo - che separa il regno dei vivi da quello dei morti e che sta ancora cercando di capire perché le è successo quello che è successo, provando nel mentre a sfruttare al meglio questa seconda possibilità di vivere che le è stata data. Ovviamente, questo primo volume è pieno pure di spiegazioni ed approfondimenti che riguardano le caratteristiche, le regole ed i limiti del Velo, del mondo dei morti e della nuova condizione di Cassidy. A tal proposito, i fantasmi rientrano probabilmente tra le creature più utilizzate in libri, film, serie tv, etc. e sebbene in City of Ghosts non manchino alcuni cliché praticamente immancabili e cose un po' viste e riviste, Victoria Schwab ci mette naturalmente del suo, con idee assolutamente innovative e particolarmente interessanti, tutte da scoprire nel corso della lettura.

City of Ghosts comunque non è solo ed esclusivamente una mera introduzione, durante il libro infatti la Schwab ci fa vivere, insieme a Cassidy e ad il suo migliore amico Jacob (che è in realtà un fantasma) un'avventura a dir poco appassionante e spettrale tra le strade ed i luoghi più famosi dell'infestata Edimburgo, non privandoci nemmeno di un bel cattivo inquietante e minaccioso che, puntualmente, darà del filo da torcere proprio alla nostra protagonista e a i suoi alleati. Personalmente, una delle cose che ho adorato di più di City of Ghosts è stato come l'autrice ha intrecciato eventi ed episodi effettivamente verificatesi con alcuni dei miti e delle leggende più noti di Edimburgo: la storia si svolge infatti nei luoghi e nelle attrazioni più famose della città, di cui a mano a mano ci viene appunto raccontata la vera storia ma anche i vari miti che li circondano, che però in City of Ghosts diventano indiscutibilmente reali. Un ottimo lavoro la Schwab l'ha fatto anche per quanto riguarda l'atmosfera, un altro aspetto che ho apprezzato parecchio di questo romanzo; è molto sinistra ed oscura, tanto che ha fatto venire qualche brivido pure a me e questo nonostante l'autrice si sia, in un certo senso, dovuta trattenere per quanto riguarda le descrizioni e il "fattore paura", essendo City of Ghosts comunque un middle grade.

L'unico reparto nel quale Victoria/V.E. Schwab brilla meno del solito è sicuramente quello dei personaggi. Ora, non fraintendetemi: a me i personaggi di City of Ghosts in realtà sono piaciuti; innanzitutto, ho apprezzato molto Cassidy, la protagonista, questa ragazzina che ritrovatasi di punto in bianco in una situazione decisamente inusuale, fa del suo meglio per capirla e gestirla, commettendo ovviamente degli errori e delle sciocchezze che però, considerando tutto, sono assolutamente normali e comprensibili. È poi praticamente impossibile rimanere impassibili di fronte a Jacob, il migliore amico di Cass, questo fantasma simpatico e contraddittorio - Jacob farebbe volentieri a meno di tutto ciò che potrebbe essere considerato spaventoso - avvolto anche da un leggero alone di mistero che non fa mai male. Sempre tra i personaggi più giovani, c'è poi Lara, una ragazzina più o meno della sua stessa età che Cassidy incontra ad Edimburgo, che scoprirà essere più simile a lei di quanto potesse immaginare. Nonostante un'introduzione decisamente discutibile, Lara, nel corso del romanzo, si è rivelato un personaggio tanto interessante e fondamentale quanto Cass e Jacob, sperando che nel sequel la Schwab l'abbia approfondita ancora di più. Tutto sommato poi, non mi sono dispiaciuti nemmeno i personaggi adulti, in particolare i genitori di Cassidy: nonostante qualche volta diano l'impressione di avere la testa fra le nuvole, in generale si comportano comunque in maniera abbastanza realistica (fantasmi e Velo permettendo) e da buoni genitori, soprattutto quando si tratta di Cass e delle sue improvvise "sparizioni" e/o dei suoi comportamenti inusuali. Il problema è che tutti i personaggi di City of Ghosts sono accumunati da una caratterizzazione alquanto superficiale, per cui molto aspetti - anche abbastanza importanti - o vengono poco approfonditi o completamente ignorati (e mi riferisco nello specifico a Cassidy, a tutto quello che ha passato e passa prima e durante le vicende del libro e alle inevitabili conseguenze che vengono appunto esplorate in maniera molto limitata). Ecco, trattandosi di Victoria/V.E. Schwab io mi aspettavo decisamente qualcosa di più da questo punto di vista e il fatto che City of Ghosts sia un middle grade non può di certo rappresentare una scusa/giustificazione.

Comunque, oltre ad aver apprezzato il rapporto genitori-figli, ho adorato l'amicizia che lega Cassidy e Jacob, fatta sia di siparietti esilaranti in grado di strapparti un sorriso e/o un risata sia di momenti teneri e toccanti.

Insomma, nonostante io abbia trovato Victoria Schwab un po' sottotono rispetto al solito per quanto riguarda i personaggi, a me City of Ghosts è piaciuto davvero tanto ed infatti non vedo veramente l'ora di proseguire con la trilogia e di leggere il sequel ovvero Tunnel of Bones, ambientato questa volta a Parigi! 
All Your Twisted Secrets by Diana Urban

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mysterious medium-paced
  • Plot- or character-driven? A mix
  • Strong character development? No
  • Loveable characters? No
  • Diverse cast of characters? No
  • Flaws of characters a main focus? Yes

3.0

 Amber Prescott non avrebbe mai immaginato che un giorno si sarebbe ritrovata ad una cena con Sasha, Robbie, Priya, Diego e Scott: sebbene infatti frequentino lo stesso liceo e bene o male si conoscano tutti, i sei ragazzi hanno veramente poco e niente in comune e non sceglierebbero mai volontariamente di passare una serata insieme ed in effetti l'uscita non è stata una loro idea: ogni membro del gruppo è stato scelto come vincitore di una proficua borsa di studio e la cena di stasera è stata organizzata proprio al fine di celebrare gli studenti ed i loro successi. Amber è convinta che l'aspetti una serata tranquilla seppur imbarazzante e tesa (dopotutto, ha delle questioni in sospeso con la maggior parte degli invitati), tuttavia niente avrebbe potuto prepararla a come si metteranno effettivamente le cose: lei e gli altri infatti rimarranno bloccati nella sala dove si sarebbe dovuta tenere la cena, insieme ad un siringa, una bomba ed un messaggio: in una sola ora, dovranno scegliere qualcuno da uccidere o la bomba li farà fuori tutti...

Molto spesso, per attirare l'attenzione dei lettori e far arrivare un romanzo nella mani giuste, le case editrici decidono di pubblicizzarlo paragonandolo ad altri prodotti più famosi; nel caso di All Your Twisted Secrets sono stati proprio i libri ed i film a cui è stato paragonato a spingermi a leggerlo: descritto come un mix tra The Breakfast Club (un film che pur con i suoi limiti si fa apprezzare) e Uno di noi sta mentendo (di cui non ho letto il libro ma mi è piaciuta tantissimo la serie) e con qualche richiamo alla saga di Saw, io, All Your Twisted Secrets, non potevo proprio farmelo scappare. Devo essere sincera: quando ho deciso di recuperare questo libro, non mi aspettavo di certo di leggere il mystery/thriller dell'anno, ma semplicemente una storia che mi intrattenesse cosa che, purtroppo, è riuscito a fare solo in parte a causa di alcuni difetti decisamente non trascurabili.

La premessa di base di All Your Twisted Secrets - questi sei ragazzi bloccati in una stanza costretti a scegliere tra l'omicidio o la morte - è, come succede nella maggior parte dei casi, una di quelle che può essere sviluppata in tanti modi diversi e l'approccio scelto da Diana Urban prometteva, in teoria, molto bene: in All Your Twisted Secrets sono infatti presenti due linee temporali e ad un capitolo ambientato nel presente, ovvero durante l'ora in cui i ragazzi devono compiere la loro scelta, si alterna sempre un capitolo ambientato nel passato, per cui l'autrice inizialmente ci riporta ad un anno e ad un mese prima della vicenda, facendoci poi avvicinare, a mano a mano e capitolo dopo capitolo, al presente appunto; in pratica però, almeno per quanto mi riguarda, Diana Urban non è riuscita a sfruttare e a gestire bene entrambe le linee temporali. Nello specifico, secondo me ha fatto un ottimo lavoro con i capitoli ambientati nel presente che sono di gran lunga le parti che ho preferito di più del romanzo: rinchiusi tutti insieme in un'unica stanza nemmeno tanto grande e posti di fronte ad una scelta impossibile, non passa molto prima che il panico, la disperanza ed il senso di claustrofobia inizino a prendere il sopravvento, andando ovviamente ad ostacolare la lucidità e la razionalità di tutti e sei i membri del gruppo. Nonostante questo però, Amber e gli altri cercano comunque una via d'uscita e di salvarsi senza sacrificare nessuno, domandandosi, nel frattempo, chi e perché abbia deciso di fargli una cosa del genere. La tensione e la suspense in questi momenti sono costruite bene e sono molto palpabili ed è sicuramente interessante vedere le diverse reazioni dei personaggi alla pessima situazione e le loro ipotesi su chi possa essere il colpevole. Questi capitoli poi, brevi e concisi, non lasciano praticamente spazio alla noia e si concludono spesso con una specie di cliffhanger che spinge il lettore a continuare a leggere in modo da scoprire il più in fretta possibile cosa succederà adesso. Sfortunatamente, parole così carine e positive non posso spenderle per i capitoli ambientati invece nel passato; è doveroso premettere che questi capitoli sono però assolutamente necessari ed utili: ci permettono di conoscere bene i personaggi - dopotutto, il fatto di trovarsi in una situazione di vita e di morte, letteralmente, ha un certo peso - ed i diversi legami che li uniscono, oltre a scoprire pian piano i segreti di Amber, Sasha, Robbie, Priya, Diego e Scott e a fare supposizioni su chi possa essere l'artefice di questo piano a dir poco malvagio. Il problema è che, come hanno sottolineato anche altri lettori, la maggior parte delle volte questi capitoli ammazzano la tensione e la suspense invece di accentuarle, inoltre spesso sono concentrati su situazioni, personaggi e/o relazioni che, alla fin fine, sono sostanzialmente banali ed insignificanti; per carità, capisco l'esigenza di sviare chi legge ed infatti questo l'ho apprezzato dato che così è di certo più difficile e quindi divertente individuare la mente dietro il piano, ma avrei voluto che Diana Urban avesse dato spazio ad aspetti e personaggi un po' più interessanti.

Comunque, ho aspettato di leggere il finale prima di farmi un'idea precisa di All Your Twisted Secrets, sia perché in generale sono convinta che un libro possa sempre sorprendere, sia perché soprattutto nel caso dei mystery/thriller un bel finale possa risollevare di molto la situazione; sfortunatamente però, la conclusione del romanzo, ed in particolare la risoluzione del mistero, non mi ha fatto particolarmente impazzire: innanzitutto, l'ho trovata decisamente troppo affrettata - nelle ultime 30/40 pagine di All Your Twisted Secrets succede veramente di tutto e pure velocemente e l'autrice non ha proprio il tempo materiale di soffermarsi ed esplorare le varie rivelazioni ed i colpi di scena, soprattutto però è incredibilmente incoerente e per niente credibile, se si considerano gli eventi che l'hanno preceduta e
il tipo di narrazione scelto dall'autrice
.

All Your Twisted Secrets è uno di quei mystery/thriller che oltre ad intrattenere vuole anche farsi portatore di determinati messaggi ed insegnamenti; nel corso del libro infatti vengono portati all'attenzione dei lettori temi ed argomenti come il bullismo, il cyberbullismo, le gravi conseguenze che possono avere questi tipi di attacchi, quanto è facile diventare complici del bullo/cyberbullo di turno ma anche quanto sarebbe semplice (sempre ovviamente per chi è un "semplice" testimone) farsi avanti, dire basta e cercare di cambiare le cose, la salute mentale e quanto ancora oggi sia estremamente stigmatizzata, relazioni romantiche non esattamente sane. Si tratta, insomma, di argomenti e temi tanto attuali ed importanti quanto delicati e, almeno per quanto mi riguarda, Diana Urban stava facendo veramente un ottimo lavoro nell'affrontarli ed esplorarli, certo a volte il troppo storpia e magari alcuni di questi argomenti e temi avrebbe anche potuto ometterli dato che comunque non gli viene concesso la giusta attenzione, ma stavo senza dubbio apprezzando le sue intenzioni e le varie discussioni e riflessioni. Purtroppo, anche in questo caso è stata la conclusione del romanzo/la risoluzione del mistero a rovinare le cose: il finale e la soluzione tanto attesi infatti non fanno altro che buttare all'aria gli sforzi compiuti dall'autrice fino a quel momento, lasciando tra l'altro i lettori molto confusi dato che probabilmente non sono più sicuri di quale messaggio/insegnamento volesse effettivamente trasmettere con questa storia.

Sfortunatamente poi, nemmeno i personaggi mi hanno fatto particolarmente impazzire. Come si evince dalla sinossi, Amber, Priya, Sasha, Robbie, Scott e Diego devono tutti rappresentare un determinato archetipo/stereotipo: chi l'ape regina, chi il nerd, chi l'atleta, chi l'adolescente timido e solitario, chi il fattone, etc. Generalmente a me questo presupposto non dispiace, a petto che si cerchi di sovvertire questi stereotipi, di dare ai personaggi una personalità distintiva ed una caratterizzazione complessa e questo, purtroppo, in All Your Twisted Secrets non succede mai: i vari personaggi rimangono degli stereotipi dall'inizio alla fine e anche quando fanno e dicono cose apparentemente imprevedibili, in realtà è proprio quello che ci si aspetterebbe da loro essendo, appunto, personaggi visti e rivisti. Da questo punto di vista, non ha probabilmente aiutato il punto di vista singolo - quello di Amber - che ci impedisce di conoscere intimamente gli altri personaggi, che vediamo appunto solo ed esclusivamente attraverso gli occhi della protagonista. Ora, so che è abbastanza difficile gestire più punti di vista e ogni autore ha il sacrosanto diritto di raccontare come meglio crede quella che è, in fondo, la sua storia ma quando un libro presenta un cast tanto ampio, risulterebbe sicuramente più completo ed interessante se la narrazione venisse affidata a due o più personaggi. Detto questo, non è che la nostra unica narratrice si distingua più di tanto dagli altri, ovviamente arriviamo a conoscerla e a comprenderla meglio degli altri cinque ragazzi (più o meno...) e la sua storyline non è di certo meno importante rispetto al resto dei personaggi, ma da sola fa molto fatica a trascinare avanti la storia e ci sono vari personaggi che avrebbero sicuramente meritato di più o perlomeno il suo stesso spazio.

So che probabilmente non sembra ma io in realtà non ho odiato All Your Twisted Secrets, assolutamente, semplicemente sono rimasta delusa dato che secondo me è un libro pieno di spunti interessanti, non solo per quanto riguarda i temi presenti al suo interno, ma anche il mistero, la costruzione di quest'ultimo, i personaggi, etc. e proprio per via del potenziale di questa storia un po' sprecato da Diana Urban, voglio darle una seconda possibilità, magari leggendo il suo secondo romanzo - These Deadly Games - che proprio come All Your Twisted Secrets ha una premessa a dir poco intrigante, anche se spero che questa volta io potrò dire lo stesso anche del suo sviluppo! 
All That's Left in the World by Erik J. Brown

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adventurous dark emotional hopeful inspiring reflective tense fast-paced
  • Plot- or character-driven? Character
  • Strong character development? Yes
  • Loveable characters? Yes
  • Diverse cast of characters? Yes
  • Flaws of characters a main focus? Yes

4.0

 Jamie e Andrew sono tra i pochi sopravvissuti ad un virus mortale che in brevissimo tempo ha spazzato via la maggior parte della popolazione mondiale. È da un po' che i due ragazzi sono rimasti completamente soli - a causa appunto del virus che li ha privati di tutti i loro parenti ed amici - ma per quanto la solitudine diventi spesso insostenibile, entrambi sanno che è meglio sopportare quest'ultima piuttosto che rischiare di cercare ed unirsi ad altri sopravvissuti. Quando però Andrew, gravemente ferito, in cerca di aiuto si imbatte per caso nella baita di Jamie, quest'ultimo, cedendo in parte proprio alla solitudine ed in parte alla gentilezza, decide di accoglierlo e di offriglielo. Durante la convalescenza di Andrew, lui e Jamie formano inaspettatamente un forte legame e sarà proprio ciò a dargli la forza ed il coraggio di affrontare ed esplorare questo nuovo e probabilmente pericoloso mondo in cui sono ora costretti a (soprav)vivere...

I generi post-apocalittico e/o distopico rientrano senza dubbio tra i generi che preferisco; negli ultimi anni però, questo tipo di storie l'ho guardato (film, serie tv) più che letto, per cui volevo assolutamente recuperare e fare qualche lettura a tema. L'uscita di All That’s Left in the World è quindi caduta praticamente a pennello, essendo il romanzo ambientato durante il periodo immediatamente successivo alla diffusione e devastazione causata da un virus letale. Tutto sommato, All That’s Left in the World è riuscito a soddisfarmi sotto parecchi punti di vista, io però mi aspettavo decisamente qualcosa di più.

All That’s Left in the World ha tutto quello che una buona storia post-apocalittica dovrebbe avere: un mondo ormai devastato, la popolazione decimata da un evento catastrofico (in questo caso un virus fatale), due personaggi soli e disperati che, in seguito ad un incontro casuale e contro ogni buon senso, decidono di aiutarsi e di fidarsi l'uno dell'altro, finendo per trasformare un legame inizialmente improbabile, in un rapporto forte e solido, un viaggio lungo e tortuoso alla ricerca di altri sopravvissuti o anche semplicemente di qualcosa di meglio della vita di cui avrebbero dovuto accontentarsi se fossero rimasti dov'erano, numerose riflessioni e discussioni sugli esseri umani e la loro natura, in particolare durante e dopo un'apocalisse. Nello specifico, All That’s Left in the World è ambientato negli Stati Uniti, per la precisione la vicenda ha inizio nello stato della Pennsylvania, quando ormai il virus ha ucciso quasi tutta la popolazione mondiale, risparmiando solo pochi sopravvissuti; tra questi ultimi, ci sono anche i due protagonisti - Andrew e Jamie - due adolescenti che hanno perso tutti quelli che conoscevano ed il romanzo è dedicato al loro incontro e alla loro relazione che da una riluttante conoscenza si trasforma pian piano in qualcosa di più ma soprattutto al viaggio che i due compiono attraverso un'America a questo punto desolata, saccheggiata ed annientata, che non è nemmeno più l'ombra di sé stessa. All That’s Left in the World è quindi, sostanzialmente, la storia di un viaggio e sebbene a me storie del genere generalmente piacciono, dipende sempre da come vengono gestite e per me Erik J. Brown ha fatto un buon lavoro; sebbene l'autore cada qualche volta nella trappola della monotonia - ad un certo punto il suo pattern diventa abbastanza palese: dopo cinque minuti di apparente pace e tranquillità, poco ma sicuro verrà fuori un problema di cui preoccuparsi ed occuparsi - durante la lettura di All That’s Left in the World è comunque molto difficile annoiarsi, merito ovviamente anche dell'ambientazione post-apocalittica da lui scelta: vivere in un mondo in rovina significa vivere sempre in allerta, ben consapevoli di non essere mai al sicuro perché le minacce ed in pericolo sono praticamente dietro l'angolo e tanto gli altri sopravvissuti quanto addirittura la natura stessa possono coglierti alla sopravvista e riservarti brutte sorprese in qualsiasi momento. Ciò, ovviamente, permette all'autore di delineare una storia appassionante ed imprevedibile, una di quelle che ti tengono col fiato sospeso ed incollato alle pagine. Personalmente, le uniche cose che Erik J. Brown avrebbe potuto gestire un pochino meglio sono i salti temporali; in una storia, soprattutto una come questa, è normale e necessario che ci siano, ma secondo me ad alcuni periodi piuttosto che riassumerli in poche righe e di fretta e furia avrebbe dovuto dedicare più tempo e spazio. Invece, incredibilmente, mi è piaciuto molto il finale di All That’s Left in the World: temevo sinceramente che non mi avrebbe entusiasmato, perché romanzi del genere raramente si concludono con veri e propri finali chiusi ed effettivamente il debutto young adult di Erik J. Brown ha
una fine abbastanza aperta
che però è anche
confortante e piena di speranza, una specie di lieto fine in piena regola
e questo tipo di conclusioni lo apprezzo sempre tanto!

Uno dei motivi per cui apprezzo le storie apocalittiche/post-apocalittiche è che, intenzionalmente o meno, spingono sempre a riflettere sull’umanità e sulla sua natura – chi o che cosa diventiamo quando veniamo lasciati a noi stessi in un mondo completamente distrutto? – ma anche su sé stessi, su quello che siamo disposti a fare per proteggerci o per proteggere coloro che amiamo e All That’s Left in The World, da questo punto di vista, non fa eccezione. Durante il loro arduo viaggio Jamie e Andrew si imbattono in tante persone, prospettive e situazioni diverse: c’è chi ha pensato che la fine del mondo fosse la scusa perfetta per cedere alla crudeltà, chi ha deciso che quello che gli rimane da vivere dovrebbe essere scandito da atti di gentilezza, chi vuole approfittare della tragica situazione e della disperazione dei pochi sopravvissuti per imporre il proprio predominio e assicurarsi che il mondo rimanga esattamente uguale a prima (pieno di discriminazioni, pregiudizi, differenze) e chi, invece, vuole davvero dare una seconda possibilità agli esseri umani e mettere in piedi qualcosa di veramente nuovo e migliore. In particolare però, a me All That’s Left in The World è piaciuto perché Erik J. Brown non ha risparmiato nemmeno i suoi protagonisti, facendogli vivere sulla loro pelle le conseguenze e gli effetti di una realtà post-apocalittica. Jamie e Andrew sembrano, all’apparenza, due ragazzi normalissimi: Jamie è un tipo timido e tranquillo, uno che probabilmente non farebbe del male nemmeno ad una mosca ed è sempre pronto ad aiutare, Andrew invece è molto più estroverso, più polemico, uno che il suo sarcasmo e la sua ironia non li usa per far ridere ma per proteggersi e difendersi perché non sempre gli altri si sono dimostrati gentili con lui; il fatto è che, nel mondo nel quale ora si ritrovano a vivere, un mondo drasticamente cambiato, né Andrew né Jamie possono permettersi il lusso di continuare ad essere veramente sé stessi, ad aggrapparsi alle loro vite e convinzioni passate ma devono cambiare anche loro di conseguenza. Durante il viaggio che li poterà molto lontano dallo stato della Pennsylvania, i due ragazzi si ritroveranno continuamente in situazioni pericolose, ad affrontare questioni di vita o di morte, a prendere scelte difficili e dolorose e si chiederanno spesso se l’apocalisse li abbia cambiati o se abbia semplicemente portato a galla il peggio, fino a quel momento nascosto, se le loro decisioni più discutibili sono frutto delle circostanze o della malvagità insita dentro di loro e quindi a riflettere sul bene e sul male, su su quali basi esattamente una persona può essere definita buona oppure cattiva, se un’azione moralmente sbagliata possa in realtà essere giustificata se la si compie per le giuste ragioni, perché si vuole proteggere sé stessi o qualcuno che ci è caro. Insomma, io ho trovato veramente interessante il percorso introspettivo ed emotivo che Andrew e Jamie – e quindi di conseguenza i lettori – compiono nel corso di All That’s Left in The World e credo pure che l’autore l’abbia gestito nel migliore de modi.

Un altro punto a favore di All That’s Left in The World ma soprattutto di Erik J. Brown è non aver rinunciato ad inserire ed affrontare temi che magari durante e dopo un apocalisse potrebbero sembrare insignificanti, ma che in realtà non lo sono affatto, come ci viene poi effettivamente mostrato proprio durante il romanzo: l’autore tocca quindi argomenti come l’omofobia ed, in minor parte, il razzismo ma anche, per esempio, la scoperta della propria sessualità e tutte le emozioni contrastanti che l’accompagnano, perché anche se il mondo non è più lo stesso, la vita va avanti e anche quando ce la mettiamo tutta raramente riusciamo davvero ad impedirci di non provare nulla. Quindi, così come Andrew e Jamie non potranno fare niente per i sentimenti sempre più forti che inizieranno a provare l'uno per l'altro, così alcuni personaggi non si faranno problemi a mostrare la loro ignoranza, omofobia e razzismo.

All That’s Left in The World è, senza dubbio, un romanzo importante: quante volte al centro di storie del genere vengono posti personaggi LGBTQ+? Molto ma molto raramente (e quasi mai in ruoli da protagonisti); il primo romanzo (young adult) di Erik J. Brown è quindi una ventata d’aria fresca, un passo fondamentale e necessario verso la giusta direzione. A parte questo però, bisogna anche ammettere che All That’s Left in The World non aggiunge praticamente nulla di nuovo al genere: a provocare la fine del mondo è un “semplice” (passatemi il termine) virus, di cui l’autore tra l’altro ci rivela solo il minimo indispensabile ma sinceramente, da questo punto di vista, non mi aspettavo nulla di diverso, il viaggio compiuto da Jamie ed Andrew (sia effettivo che psicologico) è un viaggio compiuto già da tanti altri prima di loro. Non fraintendetemi: non è che un prodotto per essere apprezzato e valido debba essere innovativo ed originale al 100%, anzi, io comunque ho apprezzato tantissimo All That’s Left in The World, solo che - come ho già sottolineato all’inizio di questa recensione – in questo caso le aspettative mi hanno giocato proprio un brutto scherzo dato che io mi aspettavo onestamente qualcosa di più. Oltre a ciò, non posso negare che la storia d’amore tra Jamie e Andrew mi abbia, purtroppo, convinta solo in parte. Innanzitutto, ci tengo a precisare che, per me, la storia d'amore è un elemento imprescindibile di All That’s Left in The World ed infatti non so quanto il libro mi sarebbe piaciuto senza: serve ad alleggerire la narrazione e a stemperare la tensione sempre alta, senza contare che rappresenta quel faro di luce e di speranza che in una storia per di più cupa ed angosciante come questa è d'obbligo. La storia di Andrew e Jamie dovrebbe essere uno slow burn ed effettivamente i due
si dichiarano soltanto negli ultimissimi capitoli del romanzo
, il fatto è che io ho avuto comunque l'impressione che si sia passati da una fase all'altra del loro rapporto un po' troppo velocemente - probabilmente anche a causa di quei brevi ma frequenti salti temporali - e avrei tanto voluto che l'autore si fosse soffermato di più sull'evoluzione dei sentimenti dei due protagonisti di All That’s Left in The World.

Tutto ciò però non toglie assolutamente che All That’s Left in The World sia una validissima storia post-apocalittica con una trama coinvolgente, dei bellissimi personaggi e delle riflessioni importanti che io mi sento di consigliare sia agli amanti sia a chi vuole approcciarsi per la prima volta al genere! (less) 
Amari and the Night Brothers by B.B. Alston

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adventurous emotional hopeful inspiring mysterious reflective fast-paced
  • Plot- or character-driven? A mix
  • Strong character development? Yes
  • Loveable characters? Yes
  • Diverse cast of characters? Yes
  • Flaws of characters a main focus? N/A

5.0

Sono passati sei mesi da quando Quinton Peters, il fratello maggiore di Amari, è scomparso e sebbene da allora non ci siano state novità, Amari si rifiuta di perdere la speranza: è assolutamente convinta che Quinton sia ancora vivo e che presto farà ritorno a casa, sano e salvo. Amari però non si aspettava proprio che il primo segno di vita da parte del fratello dopo così tanto tempo sarebbe arrivato sotto forma di una valigetta che ticchetta nascosta nel suo armadio contenente un invito allo stesso campo estivo frequentato anni prima anche da Quinton né tantomeno poteva immaginare che il campo fosse in realtà organizzato dal cosiddetto Bureau of Supernatural Affairs per selezionare nuove reclute che gli permettano di mantenere l'equilibro tra il mondo "normale" e quello soprannaturale, di cui Amari ignorava totalmente l'esistenza. Altrettanto sconvolgente, per Amari, è la notizia che Quinton non solo era un Agente del Bureau ma che la sua scomparsa è collegata proprio al suo lavoro. Tuttavia, è da tempo che anche l'Agenzia non riesce a trovare nuove piste da seguire, per questo motivo è disposta a permettere ad Amari di partecipare alle ricerche e alle indagini; prima però quest'ultima dovrà diventare un membro effettivo del Bureau of Supernatural Affairs e cercare quindi di superare tre difficilissime prove...

Era da veramente tanto tempo che non leggevo un bel middle grade fantasy (che raramente mi deludono!) e dopo aver dato un'occhiata ad alcune uscite più o meno recenti, ho deciso di buttarmi appunto su Amari and the Night Brothers, il primo volume di una trilogia? saga? molto popolare ed apprezzato tra i booktuber americani. Data la sua positivissima reputazione, non nego che le mie aspettative fossero più o meno alte, ma sinceramente non avrei potuto fare una scelta migliore: Amari and the Night Brothers infatti si è rivelato un libro praticamente perfetto.

Amari and the Night Brothers è un ottimo primo volume introduttivo: essendo l'inizio della Supernatural Investigations, molte pagine sono ovviamente dedicate ad impostare il mondo in cui i personaggi si muovono e a presentare bene quest'ultimi, dato che poi dovranno accompagnare i lettori per tutto questo libro e per quelli successivi. Già tenendo conto solo di questo, B.B. Alston fa un lavoro a dir poco eccellente dato che riesce a dare tutte le informazioni necessarie e a fare le dovute presentazioni senza mai risultare pesante ed evitando pure di sopraffare il lettore con numerosi approfondimenti e dettagli. Amari and the Night Brothers però è molto di più di una semplice ed essenziale introduzione alla trilogia o saga, grazie innanzitutto ad una trama interessante ed avvincente fin da subito, piena di belle scene d'azione ma anche di momenti divertenti e toccanti, con tanti assi nella manica sorprendenti e plot twist imprevedibili. Nello specifico, Amari and the Night Brothers si concentra appunto su Amari Peters mentre cerca di venire a patti con la scoperta dell'esistenza di un mondo soprannaturale e si prepara ad affrontare le tre difficilissime prove per diventare un vero e proprio membro dell'Agenzia - il Bureau of Supernatural Affairs - che si occupa appunto di tenere nascosti alle persone "normali" questo mondo e tutto ciò che lo riguarda; come se non bastasse, Amari - insieme alla sua nuova compagna di stanza, Elsie - decide anche di aprire un'indagine personale in modo da scoprire una volta per tutte che cos'è successo a suo fratello Quinton, che è tra l'altro, a suo insaputa, uno degli Agenti più famosi ed apprezzati del Bureau. Non vanno infine dimenticati gli altri segreti e misteri in cui Amari si imbatterà nel corso della storia e che le daranno non poco filo da torcere. Insomma, B.B. Alston, tra la trama principale, le varie sotto trame ed un universo tutto nuovo da costruire e perfezionare mette veramente tanta carne a fuoco, ma lo fa con cognizione di causa essendo poi bravissimo a gestire tutto e a non sacrificare praticamente nulla: né la trama appunto né tantomeno il worldbuilding ed i personaggi.

Come ho già sottolineato, la trama di Amari and the Night Brothers si sviluppa ad un ritmo molto incalzante con informazioni da assimilare, prove da superare e misteri da svelare, il lettore però non viene mai lasciato indietro e allo stesso tempo non ha nemmeno il tempo di pensare di annoiarsi. Un libro però non è fatto solo dalla trama e nel caso di Amari and the Night Brothers sarebbe un vero peccato non parlare del worldbuilding, un altro suo elemento vincente. Bisogna ammetterlo: B.B. Alston non è il primo ad immaginarsi l'esistenza di un mondo soprannaturale nascosto a coloro che non ne fanno parte né tantomeno l'esistenza di un'Agenzia dedita a proteggere questo mondo e tutte le persone e le creature che lo popolano, ciò però non significa che non abbia idee originali ed interessanti da vendere. Io personalmente ho adorato come l'autore ha strutturato il Bureau, i vari dipartimenti che lo compongono e le innumerevoli e singolari mansioni che ogni membro può svolgere e credetemi, ce ne è davvero per tutti. Di tutti i tipi sono anche le creature soprannaturali presenti in Amari and the Night Brothers, abbiamo maghi, mutaforma, sirene, troll ma anche esseri e "mostri" di storie e credenze popolari o miti come lo Yeti oppure il boogeyman, a cui B.B. Alston dà spesso il proprio tocco personale ed innovativo, per cui anche se si tratta di personaggi famosi e magari un po' visti e rivisti risultano comunque, in un certo senso, nuovi ed unici. Mi sono piaciute molto anche le prove che le nuove reclute, come Amari, devono affrontare per diventare dei membri del Bureau of Supernatural Affairs, le ho trovate tutte ben pensate e concepite dato che permettono di mettere in mostra sia la propria intelligenza, che la propria forza, che le proprie abilità nel combattimento. Per quanto mi riguarda poi, io ho particolarmente apprezzato il sistema magico/la magia sui quali si regge l'universo di Amari and the Night Brothers, di cui non voglio rivelare niente perché secondo me sono tutti da scoprire, dirò solo che pur non essendo chissà quanto complicati - merito senza dubbio delle chiare e precise spiegazioni dell'autore - sono incredibilmente creativi ed affascinanti.

A proposito dei personaggi, pure in questo caso ho solo cose positive da dire. Innanzitutto, io ho apprezzato praticamente quasi tutti i personaggi di Amari and the Night Brothers, sia i buoni che i cattivi, dato che per quanto di alcuni non condivida le idee ed il comportamento o li trovi un po' antipatici, B.B. Alston li ha caratterizzati talmente tanto bene da farmeli quantomeno comprendere. Inoltre, alcuni personaggi di questo libro appaiono molto più complessi di quelli di certi libri young adult o addirittura adult. Il mio personaggio preferito è sicuramente la protagonista, Amari; outsider sia alla scuola che frequenta a causa del fatto che è lì grazie ad una borsa di studio e poi anche al Bureau quando si scoprirà essere una maga - vi anticipo solo che i maghi, per via di vari motivi, non sono visti di buon occhio - senza contare che l'atteggiamento degli altri nei suoi confronti dipende chiaramente pure dal fatto che è nera, Amari è quel tipo di personaggio per cui non si può fare a meno di fare il tifo; la protagonista di Amari and the Night Brothers è semplicemente alla ricerca del suo posto in un mondo troppo spesso indifferente o crudele, di persone che l'accettino e la apprezzino esattamente così com'è, a cui non deve costantemente dimostrare il proprio valore, che non la giudichino per cose di sé stessa che non può cambiare, come il colore della sua pelle oppure il suo status socioeconomico che comunque non dovrebbero mai essere oggetto di giudizio o critica. La forza e la determinazione che Amari dimostra durante il corso del libro, di fronte agli ostacoli e alle difficoltà che le si parano davanti, sono assolutamente invidiabili, di questa fantastica protagonista però io ho apprezzato tantissimo anche l'astuzia, l'intelligenza e l'ironia, che più di una volta è riuscita a strapparmi un sorriso o una risata. Tra gli altri personaggi, ho adorato Elsie, la compagna di stanza di Amari, che non esita ad offrirle la sua amicizia ed il suo aiuto, ma ha anche una storyline tutta sua ed i suoi problemi da risolvere: Elsie infatti è una mutaforma, nello specifico un "drago mannaro", solo che non è ancora mai mutata e la mancata trasformazione le crea non poco disagio, vista anche la sua particolare condizione. Elsie ed Amari si ritrovano ad essere compagne di stanza e in breve tempo stringono una bellissima e forte amicizia, pura ma anche molto matura. Decisamente interessanti sono poi i gemelli Van Helsing, che pur essendo reclute come Amari (ed Elsie) hanno dalla loro parte il vantaggio di far parte di una famiglia a dir poco rinomata e quindi di aver praticamente un posto assicurato al Bureau of Supernatural Affairs. Rispetto agli altri personaggi citati, i Van Helsing sono più difficili da inquadrare, ma ciò però non vuol dire che B.B. Alston non li gestisca comunque molto bene, e anzi, il fatto che siano un po' enigmatici rappresenta soltanto un plus. Non mi sono affatto dispiaciuti nemmeno i personaggi adulti, anzi; innanzitutto la mamma di Amari e Quiton, una donna single che vuole solo il meglio per i propri figli e fa di tutto affinché ce l'abbiano, ed alcuni Agenti del Bureau, che in realtà ho trovato più che altro esilaranti.

A dimostrazione del fatto che ad Amari and the Night Brothers non manca assolutamente nulla, in esso sono presenti anche temi importanti come il razzismo, i pregiudizi, la discriminazione, ma si parla anche, per esempio, di coraggio e di che cosa significa essere coraggiosi; manco a dirlo, B.B. Alston affronta abilmente ed egregiamente questi argomenti, rimanendo in target (ricordo che il primo volume della Supernatural Investigations è un middle grade) ma senza cadere nel banale e nella semplificazione.

Non mi capita spesso, ma nemmeno se mi sforzassi troverei anche una minima critica da avanzare nei confronti di Amari and the Night Brothers, che, fortunatamente, è solo l'inizio di quella che sono sicura sarà una bellissima trilogia o saga. A tal proposito, non dovrò nemmeno aspettare poi molto per continuarla, anzi non dovrò aspettare affatto dato che mentre sto scrivendo questa recensione, il secondo volume - Amari and the Great Game - è già pure stato pubblicato! Purtroppo, non ho ancora avuto la possibilità di acquistarlo ma non appena lo farò, avrà sicuramente la precedenza su tutti gli altri libri che ho da leggere! 
Radio Silence by Alice Oseman

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dark emotional hopeful inspiring reflective sad medium-paced
  • Plot- or character-driven? Character
  • Strong character development? Yes
  • Loveable characters? Yes
  • Diverse cast of characters? Yes
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4.0

Per i suoi compagni di scuola, Frances è semplicemente la ragazza studiosa, quella che probabilmente passa talmente tanto tempo sui libri da non avere nemmeno un hobby; non sanno infatti che in realtà Frances una passione ce l'ha eccome: Universe City, un podcast creato da una persona misteriosa, che la ragazza segue quasi religiosamente e per cui, da un po' di tempo a questa parte, si impegna anche a creare delle fanart. Sarà proprio questo - la sua arte e quanto gli altri ascoltatori sembrino apprezzarla - a spingere il creatore di Universe City a contattarla e a chiederle di creare ufficialmente delle immagini per il podcast. Inizialmente, Frances è decisa a rifiutare: per quanto le piacerebbe, lavorare in via ufficiale a Universe City le toglierebbe sicuramente del tempo allo studio e alla preparazione che le servono per entrare a Cambridge. L'insistenza di sua madre ma soprattutto la casuale scoperta dell'identità del creatore di Universe City ovvero Aled Last, un ragazzo tranquillo e riservato che ha frequentato la sua stessa scuola, convinceranno Frances a cambiare idea e ad accettare. Durante il lavoro per il podcast, Frances ed Aled hanno la possibilità di conoscersi meglio e di avvicinarsi sempre di più, fino a stringere un'amicizia apparentemente forte e solida. Per un po', insomma, tutto sembra proseguire a gonfie vele, fino a quando un episodio non previsto del podcast girato da ubriachi e per scherzo ma pubblicato comunque, non diventerà virale minacciando di far venire a galla tutti i segreti di Universe City ma soprattutto di Aled...

Prima di riuscire finalmente a recuperare Radio Silence, il secondo romanzo pubblicato da Alice Oseman, di quest'ultima avevo letto "solo" Heartstopper (tutti e quattro i volumi pubblicati fino ad ora in cartaceo) e I Was Born For This, ma avendoli apprezzati tutti molto non vedevo veramente l'ora di immergermi in un'altra sua storia. Paradossalmente, è stato solo dopo aver visto l'adattamento di Netflix di Heartstopper che mi sono decisa (finalmente!) ad acquistare - ed eventualmente a leggere - tutta la sua attuale bibliografia. Dei suoi tre romanzi che mi mancavano, ho deciso di dare la precedenza proprio a Radio Silence, essendo probabilmente la sua opera più apprezzata e lodata. Tutto sommato, anche a me Radio Silence è piaciuto tantissimo e capisco assolutamente perché abbia conquistato così tanto lettori, forse io però mi ero creata delle aspettative un po' troppo alte per questo romanzo.

Innanzitutto, una delle cose che mi ha colpita fin da subito di Radio Silence è che a riportarci la storia è in realtà la Frances del futuro, che quindi sa già benissimo come sono andate le cose e come si è concluso il tutto: così, mentre la protagonista di Radio Silence ci racconta degli ultimi mesi del liceo prima dell'Università, dei dubbi crescenti su un futuro che solo fino ad un attimo prima appariva ben definito e sicuro, dell'incontro con Aled Last, della scoperta che è lui il creatore di University City, della loro collaborazione, della bella amicizia che nasce tra loro e quindi del comparire anche dei primi problemi, Frances, qua e là, arricchisce il racconto con intriganti anticipazioni oppure con qualche riflessione rivelatrice fatta col senno di poi, da una persona che ha appunto già vissuto le vicende che si susseguono nel corso del romanzo. Si tratta, insomma, di un tipo di narrazione naturalmente intrigante, che non può fare a meno di incuriosire chi legge ed infatti io non vedevo veramente l'ora di proseguire nella lettura di Radio Silence e scoprire cosa sarebbe successo a Frances, ad Aled, ad Universe City, alla loro amicizia, etc.

Essendo la maggior parte dei romanzi di Alice Oseman nettamente character driven, molto spesso sono appunto i personaggi ad essere il punto di forza delle sue storie. A proposito di che cosa io cerco in un personaggio, devo essere sincera: ci sono delle volte in cui desidero seguire personaggi completamente diversi da me, che vivono delle vite che sono praticamente l'opposto della mia, in ambientazioni nelle quali io magari - per forza di cose, più che altro - non potrei mai ritrovarmi, altre in cui invece cerco personaggi in cui, per un motivo o per un altro, è facile identificarsi, che risultino "relatable" o semplicemente realistici, personaggi, in sostanza, che potrei senza problemi incontrare pure nella vita reale e se si cercano personaggi del genere si va sul sicuro se si sceglie di leggere qualcosa di Alice Oseman, tra cui anche Radio Silence dato che i personaggi rientrano senza dubbio tra le cose che ho amato di più di questo romanzo. La protagonista assoluta di Radio Silence è sicuramente Frances, che tra l'altro è anche la voce narrante. Inizialmente, Frances sembra un personaggio semplice da inquadrare: ci viene presentata come una ragazza molto studiosa che, proprio a causa dello studio, non sembra avere mai un attimo di tempo da dedicare a sé stessa e alla sua vita (sociale) che però si concede un'unica grande passione ovvero Universe City, un podcast online a cui Frances si è appassionata talmente tanto da iniziare addirittura a creare delle fanart ispirate ad esso. Inoltre, sembra che ad aspettarla dopo il liceo ci sia un futuro veramente radioso con un'ammissione a Cambridge già praticamente sicura ed assicurata. Nel corso del romanzo però, Frances si spoglierà a mano a mano di questa immagine di ragazza solitaria, studiosa e anche un po' noiosa facendo venir fuori tutta la sua complessità, che Alice Oseman esplora veramente molto bene: innanzitutto, si faranno sempre più insistenti i dubbi su quel futuro che sembrava scritto nella pietra, sull'Università e sul corso scelti, diventerà sempre più reale la paura di aver buttati all'aria tutti quegli anni di scuola (e di vita) e di dover ora essere costretti a stravolgere tutta la propria esistenza, con l'amara consapevolezza che però la società sembra avere delle idee ben precise su quali Università e corsi di studio vanno frequentati per avere prestigio e successo, oltre a ciò Frances comincerà a sentire più che mai la mancanza di un amico o di un gruppo di amici affiatato e comprensivo, con cui lei possa essere semplicemente sé stessa senza doversi preoccupare delle loro possibili opinioni e reazioni negative di fronte alle sue passioni magari o addirittura alla sua vera personalità. Ad affiancare Frances è Aled Last, un ragazzo con cui in realtà ha tante cose in comune: come la protagonista di Radio Silence, anche Aled infatti è molto timido ed introverso - il tipo, insomma, che preferirebbe passare una bella serata tranquilla a casa piuttosto che andarsene in giro per locali - con un'invidiabile carriera scolastica alle spalle ed un futuro molto promettente davanti a sé e nemmeno una preoccupazione al mondo. Esattamente come Frances però, pure il creatore di Universe City per proteggersi, ha pensato che la cosa migliore fosse indossare una maschera, che però appare addirittura molto più salda di quella della ragazza dato che nemmeno di fronte ai suoi amici ed ai suoi partner romantici riesce ad abbassarla, dietro cui si nascondono una grande insoddisfazione e sofferenza, ma soprattutto una situazione ed un ambiente familiare incredibilmente tossici e violenti. Frances e Aled, nel corso di Radio Silence, si conoscono e diventano migliori amici ed infatti al centro di questo romanzo non c'è una storia d'amore, ma l'amicizia che appunto nasce tra i due protagonisti. Uno dei motivi per cui adoro Alice Oseman è che cerca di mettere sempre in primo piano, anche in quelle storie prettamente d'amore come Heartstopper, l'amicizia e la sua importanza. In Radio Silence, Frances e Aled ci dimostrano come anche un "semplice" rapporto d'amicizia possa cambiarti la vita, quanto possa darti ma anche toglierti, quanto possa farti stare bene ma anche male. Inoltre, e mi rendo conto che possa essere una cosa un po' stupida, ma ho apprezzato davvero tanto che l'autrice, invece di creare un gioco di opposti, ci abbia presentato e abbia fatto diventare amiche due persone veramente molto simili, visto che (incredibilmente!) non è una cosa che si vede spesso.

Radio Silence risulta ancora oggi, a ben sei anni dalla sua pubblicazione, un romanzo estremamente attuale e rilevante e non sembrerebbe nemmeno l'opera seconda di Alice Oseman, se non fosse per i personaggi secondari. Ora, non fraintendetemi: a me Daniel (un "amico" di Aled), Raine (una compagna di scuola di Frances) e Carys (la sorella gemella di Aled) non sono affatto dispiaciuti perché comunque non è che l'autrice lì butti così e tanto per nella storia, ma cerca di dare a tutti una caratterizzazione ben distintiva, di fare in modo che la loro presenza ed il loro contributo sia fondamentale sia in relazione ai due protagonisti che non. Sinceramente però, li ho trovati leggermente inferiori ai personaggi secondari del libro più recente che io ho letto di Alice Oseman ovvero I Was Born For This: in quel caso i personaggi secondari erano praticamente sullo stesso livello di quelli principali, ti colpivano e ti entravano nel cuore tanto quanto questi ultimi, merito sicuramente di un lavoro più attento ed approfondito da parte della Oseman. Detto questo, ho amato il legame quasi improbabile che nasce tra praticamente tutti i personaggi di Radio Silence (ad eccezione degli adulti e di Carys) ed il fatto che in pochissimo tempo siano già disposti a tutto pur di supportarsi e salvarsi (letteralmente).

Nei suoi libri, Alice Oseman cerca sempre di includere temi importanti ed attuali e nemmeno Radio Silence, da questo punto di vista, fa eccezione, sebbene alcuni siano più impegnativi e seri di altri. In esso, innanzitutto, l'autrice affronta quei tipici argomenti e situazioni del periodo dell'adolescenza che stanno vivendo Frances e Aled: la scoperta - o riscoperta - di sé stessi, l'ansia e la paura per la fine di una fase difficile della propria vita e l'inizio di un'altra altrettanto difficile, ma anche per cosa può avere il futuro in serbo per noi che, pure nel migliore dei casi e quando si crede di avere tutto sotto controllo, appare incerto e spaventoso. Alice Oseman parla poi di fandom, concentrandosi non più sui fan di una famosa boyband come in I Was Born For This, ma su quelli di un podcast online, Universe City, mettendo però sempre in evidenza sia i lati positivi - la possibilità per esempio di poter condividere con facilità la propria con tantissimi altre persone - sia quelli negativi - il rischio concreto che la passione si trasformi in ossessione, l'idea che un content creator possa essere giudicato e criticato senza conoscerlo effettivamente e che non ci sia niente di male ad invadere la sua vita privata. Al centro di Radio Silence però ci sono, in realtà, tantissime riflessioni e discussioni sull'istruzione, sui voti, sull'Università, sulla pressione a cui troppo spesso i giovani vengono sottoposti da parte della famiglia, della società o di entrambe, di studiare e di impegnarsi sempre di più, di non rallentare mai, nemmeno per un secondo, perché si è diffusa l'idea (sbagliata) che sono i voti e quanto si studia a riflettere il valore di una persona, a determinare se andrà incontro al successo o al fallimento. Ciò poi dipende anche dalla decisione di andare o meno all'Università, di quale Università eventualmente si finisce per scegliere, perché tuttora le lauree vengono divise in quelle di primo livello e in quelle di secondo. Tutto questo però, nella maggior parte dei casi, più che avere delle conseguenze vantaggiose porta a delle conseguenze e delle ripercussioni devastanti, sia a livello mentale che fisico, ed è proprio su queste ultime che Alice Oseman mette l'accento in Radio Silence. Nel romanzo viene inoltre trattato il tema dell'abuso, che nel caso specifico un figlio subisce da un genitore, un abuso più emotivo e mentale che fisico, quasi invisibile, ma che fa comunque un male cane e che ha degli effetti gravissimi sulla vittima. Si tratta di un argomento non facile e non è raro commettere passi falsi quando lo si affronta, Alice Oseman però - almeno secondo il mio modestissimo parere - è riuscita a discuterne con il giusto riguardo ed il giusto rispetto.

Insomma, tralasciando i personaggi secondari, che comunque ribadisco mi stavano piacendo, stavo apprezzando veramente tanto Radio Silence, peccato però che verso la fine il libro mi abbia un po' deluso. Nello specifico, fino ad un certo punto, Alice Oseman è stata bravissima a non farmi sentire la mancanza del punto di vista di Aled, grazie soprattutto alle varie trascrizioni di Universe City inserite ogni tot durante la storia che, seppur in maniera velata, fanno capire chiaramente a chi legge che cosa sta passando e provando Aled. Nei capitoli finali però, diventa praticamente necessario avere anche il suo PoV, dato che senza i lettori, per forza di cose, non possono "assistere" in prima persona a determinati momenti e conversazioni fondamentali (di Aled
con sua madre
per esempio, ma anche con
la sua sorella gemella
), per cui alla fine il percorso tanto ben gestito di Aled fino a quel momento finisce per apparire incompleto ed affrettato.

In ogni caso, io mi sento di consigliare caldamente Radio Silence, per i suoi protagonisti, per i suoi temi, perché è una storia che a tutt'oggi ha ancora tanto da dare e da dire. In questi mesi, dalla visione di Heartstopper, come ho già sottolineato ho recuperato tutti i romanzi della Oseman (in generale, mi manca solo This Winter), ora non mi resta altro che decidere se leggere prima il suo libro di debutto (Solitaire) o la sua uscita più recente (Loveless)! 
Before the Ever After by Jacqueline Woodson

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dark emotional hopeful informative inspiring reflective sad medium-paced
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  • Strong character development? It's complicated
  • Loveable characters? Yes
  • Diverse cast of characters? Yes
  • Flaws of characters a main focus? It's complicated

5.0

Per il mondo, Zachariah Johnson è senza dubbio il migliore tight end degli ultimi anni, un vero e proprio eroe del football, per ZJ invece è semplicemente suo padre, ma questo è sempre stato abbastanza: nonostante la carriera impegnativa e l'enorme popolarità infatti, il numero 44 non ha mai fatto mancare nulla a suo figlio, soprattutto l'amore. Ultimamente però, ZJ fatica a riconoscere suo padre: gli tremano costantemente le mani, la testa gli fa sempre male e per questo non viene più convocato dalla squadra per giocare, dimentica cose che ormai dovrebbe conoscere a memoria ed ha anche preso l'abitudine di gridare contro ZJ ed i suoi amici, una cosa che prima non aveva mai fatto. Purtroppo, né la sua famiglia né tantomeno i numerosi dottori che accettano di visitare il padre sanno cosa che gli sta succedendo e questi ultimi non vogliono proprio ipotizzare che la causa potrebbe essere proprio il tanto osannato football e la sua natura violenta...

Ho sentito parlare di Before The Ever After esattamente una volta prima di decidermi ad acquistarlo, ma la bella e positiva recensione in cui mi sono imbattuta è stata abbastanza da convincere anche me a recuperarlo e a leggerlo. Alla fine, sono davvero contenta di essermi fidata quasi cecamente di quest'unica recensione letta dato che anche io ho apprezzato tantissimo Before The Ever After.

In Before The Ever After, Jacqueline Woodson ci racconta l'inizio della fine della carriera di Zachariah Johnson, un popolare ed amato giocatore di football, visto però attraverso gli occhi di suo figlio ZJ. ZJ ha solo dodici anni quando, improvvisamente e senza un motivo apparente, si ritrova davanti un padre profondamente diverso, molto lontano dal padre amorevole, gentile e benvoluto da tutti conosciuto fino a quel momento: ora, Zachariah Johnson passa la maggior parte del suo tempo a casa e non su un campo da football, non è più circondato da folle adoranti che gridano il suo nome e chiedono il suo autografo perché le mani che gli tremano e i continui mal di testa gli impediscono di giocare, non sopporta più i rumori forti, alza la voce con ZJ ed i suoi amici, non riesce a ricordare cose che ormai dovrebbe conoscere alla perfezione come il nome del suo stesso figlio. Di fronte a questi cambiamenti preoccupanti e drastici, ZJ - vista la giovane età e l'incertezza della situazione - non può fare a meno di sentirsi sopraffatto dalla confusione, dalla tristezza e dalla disperazione, il ragazzo però cerca pure, con tutto sé stesso, di non perdere la speranza e di rimanere forte e ciò riesce a farlo soprattutto grazie al fatto di non essere mai solo. Al suo fianco ci sono, innanzitutto, la musica e la chitarra, le sue più grandi passioni, che in un momento tanto difficile lo aiutano sia a distrarsi quando ne ha bisogno sia ad elaborare quello che lui, la sua famiglia e suo padre stanno passando. Presenza fondamentale sono poi, ovviamente, i suoi genitori: sia la madre, che pur cercando di non nascondergli nulla, fa del suo meglio per non fargli pesare il momento tanto delicato, sia il padre stesso che nei "giorni buoni", quando torna sé stesso, cerca di recuperare tutti quelli persi e di far capire al figlio che niente potrà mai scalfire il suo affetto ed il suo supporto, ZJ invece dal canto suo vorrebbe solo rassicurare il padre su quanto lo ami e lo ammiri tanto nelle giornate belle che in quelle brutte. ZJ può poi contare sugli amici di sempre ovvero Ollie, Darry e Daniel, tre ragazzini con delle personalità e delle passioni molto diverse tra loro, uniti però da una grandissima amicizia. Se non si fosse già capito, io ho adorato praticamente tutto di Before The Ever After; innanzitutto la narrazione scelta da Jacqueline Woodson per raccontarci la storia di ZJ ovvero quella in versi che ancora una volta si è rivelata estremamente incisiva e d'impatto. Soprattutto però ho amato i personaggi - in particolare ZJ, dato che abbiamo solo il suo punto di vista - e come la Woodson ha gestito questi ultimi e le loro relazioni interpersonali. Vista la premessa del romanzo, ero ben consapevole che la relazione più prominente sarebbe stata quella padre-figlio, ovvero tra ZJ e Zachariah Johnson, ed immaginavo pure che l'autrice avrebbe fatto un ottimo lavoro per quanto riguarda la rappresentazione e l'esplorazione di questo legame durante un periodo tanto difficile ed effettivamente così è stato. Before The Ever After però, da questo punto di vista, è riuscito anche a sorprendermi piacevolmente dato che non mi aspettavo proprio che Jacqueline Woodson avrebbe dato così tanta importanza anche ad altre relazioni del protagonista, in particolare quella con i suoi amici; alla fine, il rapporto che lega ZJ, Ollie, Darry e Daniel si è addirittura guadagnato un posto tra le cose che ho preferito di più del libro: dopo lo spavento iniziale dovuto all'inconsueto comportamento di Zachariah, Ollie, Darry e Daniel si rendono conto che gli amici non si abbandonano, mai, in nessuna circostanza e fanno tutto quello che possono per aiutare ZJ e non farlo sentire solo. L'amicizia che lega i cosiddetti "Fantastici Quattro" e le parole usate dall'autrice per descriverla danno l'impressione di trovarsi di fronte ad un'amicizia molto forte, praticamente indistruttibile, un'amicizia, insomma, da invidiare. Infine, Jacqueline Woodson affronta veramente bene pure i vari temi delicati presenti all'interno di Before The Ever After, soprattutto quello principale.

Zachariah Johnson, ZJ, la loro famiglia ed il resto dei personaggi sono tutti fittizi, ma vivono un'esperienza assolutamente reale che - come ci tiene a sottolineare la stessa Jacqueline Woodson nella sua nota alla fine del romanzo - tra la fine degli anni 90 e l'inizio degli anni 2000 ha colpito tantissime famiglie, tantissimi padri, mariti, giocatori di football che, di punto in bianco, hanno iniziato a manifestare e a soffrire degli stessi sintomi e problemi del padre di ZJ: perdita di memoria, continui mal di testa, improvvisi ed inspiegabili attacchi d'ira, etc. Before The Ever After infatti è anche una storia di denuncia, una storia che mira a mettere in evidenza non solo i lati negativi dello sport, o comunque di quegli sport violenti come il football, le gravi ripercussioni sul piano sia fisico che mentale che si possono verificare ma pure la negligenza, l'ignoranza, l'accanimento, mostrati in quei primi anni dai dottori, dalle squadre, dalla National Football League che si rifiutavano di riconoscere ed accettare che potesse esserci un collegamento tra "lo sport più amato d'America" (cit. Jacqueline Woodson) e quello che stava danneggiando i giocatori di football, che in seguito, grazie al lavoro, alle ricerche e alla perseveranza del dottor Omalu, ha preso il nome di CTE ovvero encefalopatia traumatica cronica. Non è mai piacevole trattare e/o leggere di argomenti e situazioni del genere, ma è senza dubbio importante affrontarli, cercare di sensibilizzare, di informare e di informarsi visto che ancora oggi si parla veramente troppo poco della CTE e di quello che comporta.

Devo essere sincera, prima di iniziare a leggere Before The Ever After mi preoccupava non poco la sua brevità: non solo infatti il romanzo non supera nemmeno le 200 pagine, ma è scritto pure in versi per cui gli "spazi vuoi" sono, giustamente, di più. Alla fine però le mie preoccupazioni si sono rivelate del tutto infondate: Jacqueline Woodson ha saputo sfruttare sapientemente e magistralmente le 160 (circa) pagine a sua disposizione, creando una storia sicuramente triste ma anche bellissima, poetica, confortante, toccante e - bene o male - ottimista nonché necessariamente istruttiva. Una di quelle storie, insomma, destinate a rimanerti dentro per un bel po' di tempo.

Prima di decidere di leggere Before The Ever After, conoscevo già Jacqueline Woodson, sebbene solo di nome, essendo lei un'autrice ormai affermata: Before The Ever After non è né il il suo primo romanzo né tantomeno l'ultimo e difatti la Woodson vanta una lunga ed importante bibliografia e fortunatamente direi, perché dopo aver adorato così tanto questo libro, voglio recuperare al più presto qualche altra sua opera! 
L'Accademia del Bene e del Male by Alessandra Guidoni, Soman Chainani

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  • Plot- or character-driven? A mix
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  • Loveable characters? No
  • Diverse cast of characters? No
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2.0

Ogni quattro anni a Gavaldon, un piccolo paesino circondato su tutti i lati da una foresta fitta e sinistra, spariscono misteriosamente due giovani ragazzi; sebbene i genitori siano comprensibilmente spaventati ed in apprensione, nessuno di loro crede a ciò che si dice in giro: che a rapire i loro figli è il cosiddetto Gran Maestro, preside dell'Accademia del Bene e del Male dove gli studenti studiano per poi diventare i Buoni o i Cattivi delle fiabe. Sophie però, non solo crede fermamente a queste voci, ma è anche convinta che quest'anno il Gran Maestro sceglierà proprio lei come nuova studentessa dell'Accademia del Bene, vista la sua bellezza e bontà, mentre poco ma sicuro la sua migliore amica Agatha, una ragazzina cupa e solitaria, verrà scelta per frequentare quella del Male. La notte del rapimento ad essere prese sono proprio Sophie ed Agatha che però, inaspettatamente, si ritroveranno nella parte opposta a quella che immaginavano: Sophie dalla parte del Male, Agatha da quella del Bene. Entrambe le amiche sono assolutamente convinte che ci sia stato un errore madornale, in realtà però sia Agatha che Sophie sono proprio dove dovrebbero essere...

Sebbene nella mia "carriera" da lettrice io ne abbia letti relativamente pochi, trovo sempre intriganti i retelling (delle fiabe, delle favole, di famose storie popolari) o, comunque, quelle storie che incorporano al loro interno i celebri personaggi di queste favole, fiabe e storie popolari immaginando per loro una backstory e una storyline completamente nuove. È per questo che anni fa adocchiai L'Accademia del Bene e del Male, un romanzo nel quale c'è appunto questa scuole dove vengono formati i Buoni ed i Cattivi del passato, del presente e del futuro; solo recentemente però sono riuscita a recuperare il primo (il secondo ed il terzo) volume della saga e, in vista dell'imminente uscita dell'adattamento di Netflix, ho pensato che fosse anche arrivato il momento giusto per leggerlo. Da L'Accademia del Bene e del Male mi aspettavo tante cose, ma non che sarebbe stato (almeno fino ad ora) la delusione letteraria più cocente del 2022.

Le premesse de L'Accademia del Bene e del Male sono indubbiamente interessanti: un'Accademia dove si istruiscono i futuri Buoni e Cattivi della fiabe, un preside misterioso con una storia tutta da scoprire alle spalle, due migliori amiche - Agatha e Sophie - costrette a mettere da parte la loro amicizia ed il loro affetto e a combattersi perché è inconcepibile che un Buono ed un Cattivo non siano nemici. Insomma, se sviluppate bene, sarebbe potuta venir fuori una storia veramente bella, peccato però che già proprio nei primissimi capitoli emergano delle gravi lacune che poi persisteranno per tutto il resto del romanzo e che toccano praticamente ogni aspetto della narrazione: il worldbuilding, la trama, i personaggi, lo stile di Soman Chainani. Per quanto riguarda l'Accademia del Bene e del Male in sé, dal punto di vista dell'ambientazione non ho assolutamente niente da dire: la scuola appare fiabesca e suggestiva, un luogo che varrebbe proprio la pena visitare, merito anche delle descrizioni vivide e dettagliate dell’autore; i problemi infatti stanno più che altro nelle sue caratteristiche e regole, che invece lasciano molto a desiderare. Sinceramente, ero convinta che, almeno all'inizio, non ci sarebbero stati dubbi su chi fossero i Buoni e chi i Cattivi, in quanto gli studenti buoni sarebbero stati palesemente Buoni, mentre quelli cattivi palesemente Cattivi; ovviamente, qui si parla per estremi ed infatti immaginavo pure che, nel corso de L'Accademia del Bene e del Male, sarebbe pian piano emersa l'idea che (quasi) nessuno può essere completamente bianco o nero, vista la grande complessità che caratterizza ogni persona. Invece, fin da subito i personaggi de L'Accademia del Bene e del Male risultano tutti un po' grigi - io personalmente sono rimasta scioccata da come l'autore ha scelto di presentarci quelli che dovrebbero essere gli studenti Buoni dato che a volte riescono a superare in cattiveria e in crudeltà pure quelli Cattivi - e l'unica cosa che sembra effettivamente distinguerli è il loro aspetto fisico: per cui i Cattivi sono i brutti, i grassi ed i deformi, mentre i Buoni sono i belli, i magri e quelli che hanno la pelle perfetta. Insomma, i criteri di selezione dell'Accademia del Bene e del Male sono a dir poco discutibili, così come lo sono le lezioni da frequentare e le prove da superare per decretare il/i migliore/i studente/i che sono molto spesso anche banali, spiegate male e poco entusiasmanti. Non si salvano nemmeno la magia ed il sistema magico, descritti e spiegati alla bell'e meglio dall'autore tanto che io ho ancora parecchi dubbi e domande a riguardo ma probabilmente non riceverò mai una risposta.

Così come il worldbuilding, nemmeno la trama ed il suo susseguirsi degli eventi mi hanno convinta. In pratica, una volta arrivate all'Accademia del Bene e del Male, Sophie ed Agatha passano un sacco di tempo a chiedersi perché siano state mandate alla scuola sbagliata e ad escogitare piani e soluzioni per essere trasferite a quella giusta, nel mentre però seguono comunque le lezioni della scuola che, per il momento, gli è stata assegnata. Come ho precedentemente sottolineato, le lezioni, i compiti e gli esami sono abbastanza piatti e noiosi e Agatha e Sophie non sono delle protagoniste abbastanza interessanti, in più quest'ultima è veramente irritante (mentre Agatha, almeno inizialmente, sembra un personaggio con molto potenziale), per cui già nelle prime cento pagine, il mio interesse e la mia curiosità sono stati velocemente e brutalmente sostituti dalla noia e dalla confusione. Nella prima metà de L'Accademia del Bene e del Male infatti non succede praticamente niente di degno di nota e si ripetono continuamente sempre le stesse cose (Agatha e Sophie seguono le lezioni, partecipano alle prove, prima si amano e poi si odiano, ogni tanto si sentono Buone, ogni tanto Cattive), oltre a ciò poi il romanzo è veramente tanto confusionario: non solo non sempre è chiaro come dal punto A si passi al punto B, perché un personaggio decida di fare una cosa invece di un'altra, di fidarsi improvvisamente di quel Buono o di quel Cattivo ma alcune scene sono scritte proprio male (anche se ci tengo sempre a sottolineare che è impossibile capire se la colpa sia dell'autore, e quindi in questo caso di Soman Chainani, oppure del traduttore). Arrivata a questo punto, non pensavo che la situazione sarebbe potuta ulteriormente peggiorare ma mi sono dovuta presto ricredere quando L'Accademia del Bene e del Male ha preso una svolta totalmente inaspettata e inspiegabile: l'autore ha pensato infatti che fosse una buona idea mettere al centro della storia l'amore (romantico) e delle storie (d'amore s'intende) incredibilmente insensate e brevi nonché un (a specie di) triangolo amoroso tanto terribile quanto inutile. Di conseguenza, nella seconda metà del libro il mio interesse si è spento completamente - anche perché Soman Chainani ha preferito dedicare sempre meno attenzione ad uno dei pochi aspetti interessanti di questo inzio di saga ovvero il worldbuilding - accendendosi a sprazzi e brevemente solo durante i momenti divertenti o alcuni plot twist imprevedibili (che comunque sono pochissimi).

Essendo ispirato alle fiabe e alle favole, ero ben consapevole che L'Accademia del Bene e del Male sarebbe/fosse stato un libro molto cupo e pieno di quei cliché e di quegli stereotipi tipici delle storie sopracitate, ma mi aspettavo anche che Soman Chainani li avrebbe in un certo senso sovvertiti. Per quanto riguarda il primo punto, il romanzo è effettivamente cupo, un tono che ci sta a pennello, ma è anche estremamente violento, un po' troppo se si pensa che questo primo volume dovrebbe essere indirizzato ad un pubblico di giovanissimi. Inoltre, questo tono cupo e violento è in netto contrasto con la demenzialità e la ridicolezza che caratterizzano numerosi momenti e situazioni. Come avevo sospettato poi, L'Accademia del Bene e del Male è piena di cliché e stereotipi e Soman Chainani fa molto poco per contestarli: le critiche contro le lezioni basate sul genere dell'Accademia, l'ossessione delle Buone per i ragazzi, i pregiudizi contro quelli che dovrebbero essere i Cattivi sono poche e sono pure debolucce; senza contare che quasi sempre i personaggi pensano una cosa ma poi fanno e/o dicono l'opposto. Certo, qualche bel messaggio l'autore prova a trasmetterlo: la bellezza è in realtà assolutamente soggettiva, l'autostima è fondamentale, l'opinione degli altri vale pochissimo, l'amicizia è importante tanto quanto l'amore, le ragazze/le principesse non hanno veramente bisogno dei ragazzi/dei principi in quanto possono benissimo sopravvivere e salvarsi da sole, etc., per quanto mi riguarda però l'autore doveva comunicarli in maniera più efficace. Personalmente, io nello specifico sono rimasta profondamente sconvolta dall'enorme quantità di pensieri, commenti e momenti fatfobici e misogini e sessisti, tra l'altro perpetrati spesso da quei personaggi per cui (inspiegabilmente!) i lettori dovrebbero fare il tifo. Se c'è una cosa che spero che Soman Chainani abbia eliminato dai volumi successivi è proprio tutto ciò, o spero si sia quantomeno impegnato nel metterli in cattiva luce.

Se non si fosse ancora intuito, pure i personaggi de L'Accademia del Bene e del Male sono praticamente insalvabili, a causa principalmente di una caratterizzazione non solo superficiale ma anche altamente incoerente e inconsistente, a cui non sono riuscite a sfuggire nemmeno le due protagoniste, Agatha e (soprattutto!) Sophie. Personalmente, a me quest'ultima non è piaciuta dall'inizio alla fine di questo primo volume. Innanzitutto, io devo ancora capire come mai all'inizio della storia Sophie sia fermamente convinta di essere buona, quando dice e fa cose che una persona effettivamente buona non si sognerebbe nemmeno di pensare. Il bello (si fa per dire) è che lei non arriva mai alla consapevolezza di non esserlo, né tantomeno qualcuno glielo fa presente (tranne l'Accademia del Bene e del Male stessa, che ovviamente l'assegna alla scuola del Male). In generale comunque, ho trovato Sophie un personaggio incredibilmente banale, tanto che pure
la sua "discesa nell'oscurità"
risulta poco avvincente ed interessante, oltre ad essere gestita anche molto male. Agatha, invece, ammetto che non mi stava dispiacendo: nemmeno lei è un personaggio originalissimo, in quanto è quel tipo di personaggio solitario e cupo che cerca semplicemente il suo posto nel mondo e qualcuno che gli sia amico, ma nel suo caso Soman Chainani stava facendo un lavoro di gran lunga superiore rispetto a Sophie. Peccato, però, che ad un certo punto l'autore abbia deciso di gettare i progressi di Agatha ed il suo bel character arc alle ortiche, trasformando anche lei in un personaggio molto superficiale e contraddittorio. Tuttavia, il premio per il peggior personaggio de L'Accademia del Bene e del Male se lo aggiudica senza dubbio Tedros, il grande principe/eroe della situazione che con il suo bell'aspetto ed affascinante personalità (inserire del sarcasmo qui) riesce a conquistare
non una, ma addirittura entrambe le protagoniste!
. Anche se in realtà, appunto, non si capisce né come né perché ci riesca vista la sua palese misoginia ed il suo palese sessismo...Senza contare la sua sgarbatezza e cattiveria.

Ho già detto quello che penso riguardo le storie d'amore presenti in questo primo volume (pessime, pessime, pessime) ma non ho niente di positivo da dire nemmeno per quanto riguarda tutte le altre relazioni, in particolare l'"amicizia" che lega Agatha e Sophie. Prima di tutto, da questo punto di vista, la premessa del libro è sostanzialmente ingannevole: nella sinossi le due ragazze vengono descritte come "migliori amiche", ma dopo aver iniziato a leggere la prima cosa che salta all'occhio è proprio il fatto che Agatha e Sophie sono tutto, tranne che amiche. Nel corso de L'Accademia del Bene e del Male poi, le due si amano e si odano, sono migliore amiche o
nemiche mortali
, a seconda di che cosa, in quello specifico momento, può far progredire la trama.

Insomma, io di questo primo volume ho apprezzato, purtroppo, veramente poco; avendo però trovato ad un prezzo stracciatissimo la raccolta dei primi tre volumi della saga, posseggo già sia Un mondo senza eroi che L'ultimo lieto fine. Per questo motivo - e solo per questo - proverò a dare una seconda possibilità all'Accademia del Bene e del Male leggendo almeno il secondo volume, anche perché chissà...magari ho giudicato troppo velocemente e troppo brutalmente questa saga. 
A Closed and Common Orbit. L'orbita ordinaria by Becky Chambers

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emotional hopeful relaxing slow-paced
  • Plot- or character-driven? Character
  • Strong character development? Yes
  • Loveable characters? Yes
  • Diverse cast of characters? It's complicated
  • Flaws of characters a main focus? It's complicated

4.0

 Sono passati solo pochi minuti da quando l'IA Lovelace è stata inserita in un corpo artificiale - il cosiddetto kit persona - eppure quest'ultima già non può fare a meno di pensare a quanta sia sbagliata la situazione e a quanto si senta sbagliata lei: avere un corpo e tutti i cambiamenti ed i limiti che l'accompagnano non era mai stato nei suoi piani. Lovelace però - che deciderà di farsi chiamare Sidra - sa bene di dover fare del suo meglio per abituarsi ed integrarsi: inserire un'intelligenza artificiale in un corpo infatti è illegale e, se qualcuno dovesse scoprire il suo segreto, a pagarne le conseguenze non sarebbe soltanto lei ma anche Pepper e Blue ovvero coloro che l'hanno aiutata. E l'ultima cosa che Sidra vuole è mettere in pericolo le due persone che, nel bene e nel male, gli hanno concesso una seconda opportunità e una seconda vita...

Qualche mese fa sono finalmente riuscita a recuperare The Long Way. Il lungo viaggio, il primo volume di Wayfarers, una popolarissima serie sci-fi scritta da Becky Chambers; il libro, pur non riuscendo a soddisfare completamente le mie aspettative, mi era piaciuto abbastanza, soprattutto però mi aveva fatto letteralmente innamorare del mondo creato dall'autrice e delle persone/creature che lo abitano per cui non vedevo veramente l'ora di ritornarci e conoscere e/o approfondire nuovi e vecchi personaggi presenti nel sequel. È per questo che ho deciso di continuare relativamente presto - rispetto ai miei standard s'intende - la serie o meglio di leggere l'unico altro volume tradotto fino ad ora in italiano, A Closed and Common Orbit. L'orbita ordinaria appunto. Si tratta di un prosieguo tanto smile quanto diverso dal suo predecessore, che però io sono riuscita ad apprezzare un po' di più rispetto a The Long Way. Il lungo viaggio.

Innanzitutto, per quanto riguarda le (leggere) somiglianze, la trama non è il punto di forza né del primo volume di Wayfarers né tantomeno del sequel; se infatti nel corso di The Long Way. Il lungo viaggio qualche importante accenno di trama c'è eccome - anche se poi comunque la trama inizia effettivamente ad avanzare e a dare i suoi frutti solo verso i capitoli finali - in A Closed and Common Orbit. L'orbita ordinaria quest'ultima è praticamente inesistente, nonostante si sviluppi su ben due linee temporali con protagonisti due personaggi diversi. In pratica, nella timeline ambientata nel presente seguiamo semplicemente Lovelace - che, per questioni di sicurezza e segretezza, sceglierà di farsi chiamare Sidra - mentre cerca di adattarsi ad un'esistenza (e ad un corpo) molto diversa da quella che si aspettava e per cui è stata programmata e mentre quindi fa conoscenza ed esperienza in prima persona del mondo e delle specie che lo popolano. L'altra linea temporale invece, al cui centro viene posto un altro personaggio ovvero quello di Pepper, è ambientata nel passato e nello specifico ci riporta a quando Pepper - che all'epoca veniva chiamata Jane 23 - era solo una bambina che, scappata di casa, si è ritrovata a vivere e a sopravvivere solo con l'aiuto (e la compagnia) di un'intelligenza artificiale. Sostanzialmente quindi, nel corso di A Closed and Common Orbit. L'orbita ordinaria ci viene raccontata la vita quotidiana di Sidra (adesso) e di Pepper (prima); a tal proposito, per quanto in mano a Becky Chambers la quotidianità diventi incredibilmente appassionante ed interessante, per la maggior parte del libro a farla da padrona è stata più che altro la perplessità: per tante, tantissime pagine, non si capisce dove l'autrice voglia andare a parare né appare chiaro quale sia il punto delle storie di Sidra e di Pepper, in realtà non è nemmeno sicuro che ci sia, un punto. Inoltre, stavo trovando la storyline di Jane 23/Pepper nettamente superiore a quella di Sidra; non fraintendetemi: la noia, durante la lettura di questo libro, non è mai sopraggiunta fortunatamente ed entrambe le protagoniste sono equamente affascinanti, il fatto è che il presente risulta molto più statico e monotono del passato che invece è decisamente più imprevedibile e movimentato. Comunque, così come era già successo in The Long Way. Il lungo viaggio anche nel sequel è stata la parte finale a sbloccare e a risollevare la situazione: non solo tutto ha iniziato ad acquistare un senso, ma è diventato finalmente palese come Becky Chambers avrebbe fatto intersecare le due storyline. Ancora una volta quindi, il finale e come la Chambers ha gestito la risoluzione e la conclusione della storia sono stati decisivi per quanto riguarda la mia opinione definitiva del libro, che nel caso di A Closed and Common Orbit. L'orbita ordinaria è (leggermente) più alta rispetto a quella del primo volume dato che ho preferito la fine del sequel a quella di The Long Way. Il lungo viaggio: personalmente, l'ho trovata altrettanto avvincente e toccante ma molto più soddisfacente e decisamente all'altezza del lunghissimo build-up.

Ancora prima di leggere il primo volume di Wayfarers ero ben consapevole che i veri punti di forza di questa serie sarebbero stati l'esplorazione e l'approfondimento dei suoi personaggi e dei rapporti che intercorrono tra loro e da questo punto di vista A Closed and Common Orbit. L'orbita ordinaria non mi ha affatto delusa. Innanzitutto, una delle principali differenze tra il primo ed il secondo volume riguarda proprio il cast di personaggi, che nel sequel è stato drasticamente ridotto: da circa nove protagonisti (e numerosi personaggi secondari) se ne è passati a due, più un paio di personaggi secondari importanti. Ora, in The Long Way. Il lungo viaggio, Becky Chambers era riuscita sorprendentemente bene a bilanciare e gestire tutti i personaggi principali, ma dover seguire e impararne a conoscere soltanto due in A Closed and Common Orbit. L'orbita ordinaria è stata proprio una ventata di aria fresca. All'inizio del romanzo, chi nel presente e chi nel passato, sia Sidra che Jane 23 (ovvero Pepper) si ritrovano improvvisamente coinvolte in due situazioni completamente inaspettate: la prima in un kit persona, la seconda lontano da "casa". Sidra dovrà quindi presto fare i conti con i limiti del suo nuovo corpo - una vista limitata, un udito limitato, l'impossibilità di restare per lungo tempo collegata ai linking - ed affrontare scenari e situazioni non concepiti dalla sua programmazione, senza contare il disagio di doversi ora trovare da sola dei compiti da svolgere ed uno scopo da perseguire mentre Jane/Pepper dovrà imparare a sopravvivere in un ambiente estraneo e potenzialmente ostile senza alcune fondamentali abilità e conoscenze di base che una bambina della sua età dovrebbe ormai possedere e potendo fare affidamento solo sulla sua capacità di smontare e rimontare oggetti. Nel corso di A Closed and Common Orbit. L'orbita ordinaria Sidra e Jane si imbatteranno entrambe in tantissime difficoltà, tanti saranno i momenti di assoluto sconforto e disperazione ma le nostre due protagoniste riusciranno sempre a trovare la forza e la determinazione di andare avanti, sia in sé stesse che in coloro che le circondano (Sidra per esempio potrà contare sulla stessa Pepper ed il partner Blue nonché su Tek, un* Aeluon che conoscerà e con cui farà amicizia nel corso della storia, mentre al fianco di Jane ci sarà sempre Owl, l'IA della vecchia navicella che la bambina sceglierà come rifugio). Sebbene io abbia apprezzato i capitoli ambientati nel passato - ovvero quelli dal punto di vista della Pepper bambina/adolescente - un po' di più, ho apprezzato Sidra tanto quanto Jane/Pepper e secondo me Becky Chambers ha fatto veramente un ottimo lavoro con la caratterizzazione ed il character arc e development di entrambe. Mi è dispiaciuto solo non poter entrare, nemmeno per il tempo di un brevissimo capitolo, nella mente della Pepper adulta, se non altro per approfondire, nel dettaglio, quello che pensa adesso delle sue origini, del suo passato e di quello che ha dovuto passare.

Quando si parla dei punti di forza di Wayfarers, non si può non citare il worldbuilding ed il lavoro attento, dettagliato ed affascinante fatto da questo punto di vista da Becky Chambers. In A Closed and Common Orbit. L'orbita ordinaria, oltre ai personaggi, l'autrice ha pensato di limitare anche le informazioni riguardanti l'universo da lei pensato, una scelta che a me, personalmente, non è dispiaciuta affatto: nel primo volume infatti avevo fatto un po' di fatica a stare appresso a tutti i diversi pianeti, popoli e specie mentre nel sequel sono riuscita ad assorbire tutte le informazioni e le spiegazioni senza nessun problema! Nello specifico comunque, in A Closed and Common Orbit. L'orbita ordinaria ci fa esplorare un nuovo pianeta molto diverso da quelli visti e visitati fino ad ora dai personaggi - ovvero Aganon - che scopriremo avere dietro una storia ed un segreto veramente molto oscuri. Oltre a ciò, nel sequel l'autrice, naturalmente, ne approfitta per sviluppare ulteriormente alcune specie già introdotte nel primo volume come per esempio gli Aeluon, non tralasciando praticamente nulla (né l'aspetto, né la loro biologia, né il modo in cui comunicano, né tantomeno la loro cultura), dando come al solito l'impressione che sia una specie che esista davvero; le vere protagoniste di questo secondo volume sono però, senza ombra di dubbio, le intelligenze artificiali. A tal proposito, io apprezzo tantissimo il mondo creato da Becky Chambers per questa serie soprattutto perché apre a tante riflessioni e discussioni interessanti e più che mai attuali: sulla comunicazione, sul concetto di famiglia, sulla fluidità del genere ma anche, appunto, su come uno dovrebbe considerare e porsi nei confronti delle intelligenze artificiali - vanno viste come delle semplici macchine avanzate oppure come degli esseri umani? Se sono degli esseri umani, sono inferiori o superiori agli umani in carne ed ossa? Meriterebbero anche loro dei diritti, se sì, quali? - insomma gli spunti di riflessione e conversazione offerti da Wayfarers sono davvero tanti.

Dopo A Closed and Common Orbit. L'orbita ordinaria, Becky Chambers ha aggiunto altri due volumi a Wayfarers, ovvero Record of a Spaceborn Few e The Galaxy, and the Ground Within, ancora entrambi inediti in Italia. Per questo motivo, purtroppo, almeno per il momento, non andrò avanti con la saga anche se mi piacerebbe molto ed infatti se la Fanucci Editore dovesse mai tradurli non ci penserei due volte ad acquistarli e leggerli! 
I Know What You Did Last Summer by Lois Duncan

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mysterious slow-paced
  • Plot- or character-driven? Character
  • Strong character development? No
  • Loveable characters? No
  • Diverse cast of characters? No
  • Flaws of characters a main focus? Yes

2.0

È passato un anno dall'incidente stradale causato da Barry, Ray, Julie ed Helen, da quando i quattro ragazzi hanno deciso di stingere un patto, promettendo di non farne mai parola con nessuno, soprattutto con la polizia. Da allora, Barry, Ray, Julie ed Helen, hanno cercato di andare avanti con le loro vite e di non pensare più a quell'incidente fatale, quando però Julie riceve un inquietante biglietto inviato da qualcuno che sostiene di sapere che cosa hanno fatto i quattro amici la scorsa estate, questi ultimi non solo saranno costretti ad affrontare il passato ed i loro errori ma anche a tenere gli occhi ben aperti e a guardarsi le spalle perché ora le prossime vittime potrebbero essere proprio loro...

 
I Know What You Did Last Summer è sicuramente uno dei mystery/thriller (alcuni lo considerano addirittura un horror) young adult più noti del genere e dopo aver visto entrambi gli adattamenti ispirati al romanzo - il film uscito nel 1997 e la serie di Prime Video del 2021 - ho pensato fosse arrivato il momento di leggere anche l'opera originale, appunto. Sfortunatamente però, per quanto mi riguarda l'autrice, Lois Duncan, non è riuscita a sviluppare bene l'interessante premessa di I Know What You Did Last Summer ed infatti a me il romanzo non ha fatto particolarmente impazzire.

Direi innanzitutto di affrontare (e togliere da mezzo) il cosiddetto "elefante nella stanza":I Know What You Did Last Summer  è uscito per la prima volta nel 1973 e anche se negli anni sono state pubblicate nuove versioni nel quale la storia è stata modernizzata - nella versione che ho letto io per esempio ci sono i cellulari - non sono state eliminate alcune idee e concezioni alquanto datati oppure proprio problematici ed offensivi presenti nel libro; ora, essendo già consapevole di tutto ciò, durante la lettura di I Know What You Did Last Summer ho cercato di chiudere gli occhi di fronte a certi commenti e punti di vista ed infatti il mio voto non è dipeso assolutamente dal fatto che, sotto certi aspetti, il libro è un prodotto della sua epoca, poiché se questo stesso romanzo fosse stato scritto oggi comunque non mi sarebbe piaciuto.

Se ho deciso di recuperare I Know What You Did Last Summer è stato sostanzialmente per due motivi: innanzitutto ero curiosa di scoprire come fosse riuscito ad ispirare più di un adattamento, inoltre io ho trovato sempre parecchio intrigante la sua premessa; in pratica, I Know What You Did Last Summer si concentra su questi quattro ragazzi che, dopo aver commesso un'azione terribile e aver deciso di non costituirsi, cominciano un anno dopo l'incidente ad essere presi di mira da qualcuno che sembra conoscere bene il loro segreto. Durante i primi capitoli del libro quindi, ci viene pian piano rivelato il crimine commesso da Barry, Helen, Julie e Ray l'estate scorsa e come sono andate esattamente le cose e questo è sicuramente uno degli aspetti che ho apprezzato di più di questo romanzo, dato che non sapere tutto e subito ha senza dubbio contribuito ad aumentare la mia curiosità ed il mio interesse. Nel mentre, i protagonisti di I Know What You Did Last Summer cominciano a ricevere bigliettini e ritagli di giornale minacciosi e addirittura ad essere osservati e seguiti da una persona che sembra aver scoperto che cosa hanno fatto i quattro ragazzi un anno fa. Insomma, le premesse per dar vita ad un buon mystery/thriller ci sono proprio tutte e se da un lato la parte mystery l'autrice riesce a gestirla abbastanza bene - Lois Duncan ci spinge a sospettare di più di un personaggio, è brava a disseminare indizi piccoli ed apparentemente insignificanti che sono in realtà fondamentali per risolvere il mistero e anche se avrei voluto che i personaggi facessero qualche "indagine" e ricerca in più al fine di scoprire man mano e da soli l'identità di chi li sta tormentando, riesce pure a dare una risoluzione più o meno soddisfacente e sorprendente al mistero, almeno per quanto mi riguarda - dall'altro la parte thriller è praticamente inesistente (per non parlare di quella horror e difatti io non definirei I Know What You Did Last Summer tale): la suspense è incredibilmente carente e quel senso di paura ed inquietudine che i personaggi dovrebbero sempre provare, essendo costantemente in pericolo (di vita), non si percepisce affatto, complice anche il fatto che la maggior parte delle volte i personaggi si convincono o vengono convinti che quello che gli sta succedendo è una semplice coincidenza oppure non c'entra assolutamente nulla con quello che hanno fatto la scorsa estate.

Più che essere un libro brutto però, direi che I Know What You Did Last Summer è più che altro un libro noioso: per tante pagine non succede praticamente niente - o comunque nulla di veramente rilevante - e difatti i momenti interessanti, avvincenti e spaventosi si possono contare sulle di una mano praticamente; inoltre, la noia è dovuta anche al fatto che Lois Duncan, almeno per me, non è riuscita a trovare un buon equilibro tra l'importanza data al mistero e alla sua risoluzione e quella data ai personaggi e alle loro storyline. A tal proposito, nonostante l'autrice si sia chiaramente impegnata nel dare ai protagonisti di questa storia una buona caratterizzazione (o quantomeno un qualche tipo di caratterizzazione), non è che ci sia riuscita proprio bene dato che dall'inizio alla fine Barry, Ray, Julie ed Helen appaiono come dei personaggi molto superficiali e poco interessanti, soprattutto rispetto al mistero che in questo caso sarebbe dovuto essere messo in primo piano rispetto a loro, alle loro vite quotidiane e ad i loro problemi, essendo questi ultimi niente di eccezionale e loro facilmente dimenticabili. Tra l'altro, nel corso di I Know What You Did Last Summer Lois Duncan cerca spesso di approfondire i personaggi e i loro rapporti gli uni con gli altri in circostanze veramente poco opportune.

Dopo quasi 200 pagine di noi poi, non ho trovato per niente soddisfacente il finale: ovviamente il mistero viene risolto e sia i lettori che Julie, Helen, Ray e Barry scoprono l'identità della persona che ha deciso di prenderli di mira, a non avermi convinto infatti è stato il finale in sé che è sostanzialmente un finale aperto - che non apprezzo mai particolarmente - per cui l'autrice lascia varie questioni in sospeso, senza contare che ci viene rivelato poco e niente
sul futuro e sul destino dei protagonisti
. Inoltre, I Know What You Did Last Summer si conclude con una frase che ho trovato a dir poco ridicola e stucchevole per una storia che fino a quel momento era stata impostata in maniera diversa e per un libro che dovrebbe essere un mystery/thriller/horror (anche se, ripeto, non so né come né perché).

Lois Duncan, nel corso della sua carriera, ha scritto tanti altri libri, la maggior parte con delle premesse molto interessanti proprio come nel caso di I Know What You Did Last Summer; al momento però, non ho intenzione di recuperare altro di quest'autrice, perché non so quanto potrei apprezzare le sue storie.